Introduzione – Qo 1,1: il titolo

I

Introduzione

Qo 1,1: il titolo

Parole di Qoèlet, figlio di Davide, re a Gerusalemme.

L’autore – Le prime parole del Qoèlet ci presentano il titolo del libro e anche l’autore. A motivo della formulazione, la tradizione antica, sia giudaica che cristiana, ha identificato per molto tempo l’autore con il re Salomone, figlio di Davide. Perché allora attribuire il testo al figlio di Davide? La formula iniziale «parole di X» è comune a molti altri libri biblici (cfr. Am 1,1; Ger 1,1; Pr 30,1; 31,1). Essa quindi nasconde uno scopo più teologico che storico: dare autorità al testo che segue. In nessuna parte del libro, infatti, Qoèlet si identifica esplicitamente con Salomone e ciò conferma il fatto che sia una figura letteraria creata dall’autore e dietro alla quale egli si nasconde. La paternità salomonica – meglio regale – è un’attribuzione che serve all’autore. Egli utilizza questo riferimento in modo ironico. L’autore non teme di «atteggiarsi da re» (Qo 1,12), ben consapevole di appartenere e di scrivere in un contesto e in un’epoca ben lontana dall’epoca del re Salomone.

Datazione del libro e ambiente – La data più verosimile di composizione del testo si pone intorno al 250 a.C. in piena età ellenistica. Nel III sec. la Palestina è sotto l’occupazione di una dominazione straniera, la potente famiglia dei Tolomei che governavano dall’Egitto, fautori di uno stato piccolo ma compatto, il più ricco e istruito al mondo, aperto agli scambi culturali. L’epoca è contraddistinta da un clima di pace e di benessere e prosperità economica di cui dovettero godere le classi aristocratiche locali disposte ad adeguarsi agli usi e alla mentalità ellenistica. A quanto pare emergono anche gli aspetti negativi: i benestanti erano pure indifferenti alla condizione d’ingiustizia e di sperequazione economica di cui erano vittime le classi meno abbienti (cfr. Qo 5,7-10). Sul luogo di composizione la discussione è ancora aperta ma, seppure il testo non fornisca una prova definitiva, è probabile che l’autore sia vissuto a Gerusalemme.

Chi è Qoèlet? – Qoèlet può sembrarci un «nome proprio»: il nome di colui che prende la parola in tutto il libro. Se esaminiamo con attenzione il significato di questa parola possiamo dire che forse non si tratta di un nome proprio. Il termine «Qoèlet», infatti, indica una funzione: deriva dal verbo ebraico qahal «convocare», da cui il termine «assemblea». In greco è reso con ekklesiastés (da ekklesia, da cui in italiano «chiesa»), per cui il libro è chiamato anche Ecclesiaste.

«Qoèlet» designa dunque una funzione relativa all’assemblea, senza che ci siano ulteriori spiegazioni; potrebbe essere tradotto come «uomo dell’assemblea», colui che si rivolge ad essa, che ad essa dà la propria voce, che pensa a voce alta ciò che tutti pensano, ma forse non sanno o non vogliono esprimere.

Di lui conosciamo soltanto quello che proviene dal suo stesso libro e dalle reazioni suscitate da esso. Per avere ulteriori dettagli su chi sia il personaggio è interessante leggere i versetti conclusivi, a partire da 12,9ss: «Qoèlet insegnò il sapere al popolo». Si può pensare che il riferimento sia a un’assemblea scolastica; secondo altri interpreti l’assemblea può essere intesa in riferimento alla raccolta delle parole del libro stesso. Chi scrive i versetti conclusivi lo definisce «saggio» e ne traccia un percorso coerente con quello dei saggi di Israele, scandito dai verbi tipici del cammino sapienziale (vedi p. 50). Qoèlet dapprima «ascoltò», cioè prestò attenzione al mondo, alla storia, alla tradizione, quindi «ricercò», aggiungendo all’osservazione della realtà la sua valutazione; infine «editò» letteratura in quantità. Sappiamo, tuttavia, che la sua sapienza suscitò molte perplessità. Perché?

Dire una cosa e il suo contrario – Se leggiamo il libro con attenzione dalla prima all’ultima parola noteremo delle contraddizioni. Ne elenchiamo alcune. In 7,3 il lutto è preferito al riso quando in 2,22 incontriamo lode del riso; la gioia è detta inutile (2,2-3.10-11) eppure per almeno tre volte viene lodata come dono di Dio (2,24-26, 3,14; 5,17); in 2,15-16 si denigra il valore della sapienza, che invece è affermato in 2,13; 7,11.19; 9,16-18; l’autore dice di odiare la vita (2,17), ma dice anche che la vita è bella (11,7). Se confrontiamo Qo 1,4-11 con 3,10-15, noteremo come il primo testo denunci come tutto si ripeta e nulla rimanga nella memoria quindi lascia trasparire un certo pessimismo, il secondo, invece, annunci la gioia, l’urgenza, quasi, di «procurarsi felicità durante la vita».

Già la tradizione rabbinica aveva avvertito un certo imbarazzo di fronte allo stile del libro, eppure il Libro è stato accolto prima di tutto nelle Sacre Scritture giudaiche (quindi è un libro canonico anche per noi cristiani): «I saggi volevano nascondere il libro del Qoèlet perché le sue parole si contraddicono. Perché non lo esclusero? Perché si inizia con le parole di Torah e termina con le parole di Torah». Cosa possiamo dire di questo stile?

Ambiguità del testo e ambiguità della vita – In questi esempi avvertiamo qualcosa che non funziona, per lo meno si ha l’impressione che il pessimismo iniziale entri in contraddizione con uno spiraglio di ottimismo conclusivo, o viceversa. Questo dato dovrebbe offrirci una prima indicazione utile per la lettura: prendere sul serio un singolo brano, o un singolo versetto, soprattutto in Qoèlet è molto pericoloso, come lo è per tutti gli altri libri biblici. Quelle che ai nostri orecchi sono delle contraddizioni, infatti, non sembrano proprio casuali. Spesso l’ambiguità è un ricorso stilistico caratteristico dell’autore. Egli gioca sull’incomprensione del lettore: c’è quello che l’autore intende dire e quello che invece il lettore crede di avere compreso; così il motto iniziale, «tutto è hebel», crea una prima impressione di fugacità e persino di assurdità, che sembra confermata nel poema iniziale (1,4-11); ma giunto a 3,10-15, il lettore dovrà rivedere la sua idea; e così avviene per tutto il resto del libro.

Qoèlet, infatti, ama volentieri accompagnare il lettore e poi sorprenderlo con idee e osservazioni che non sono propriamente coerenti con quello che aveva detto all’inizio. Anzi: con quello che il lettore avrebbe pensato di comprendere all’inizio.

Chi ha scritto Qo 1,3-11 e 3,10-15, o 1,18 e 11,6, e le differenti prospettive che abbiamo constatato, o il brano di 7,15-20, non era sprovveduto e condotto da un’ingenua ignoranza su queste differenze, contrasti e ambiguità. Egli non ha semplicemente fatto «collezione di contrasti»; nemmeno si potrebbe dedurre che il tempo gli abbia fatto dimenticare che qualche capitolo prima si era espresso in modo diverso. Le tensioni sono volute, sono giustapposte e messe una di seguito all’altra tali da far avvertire una sorta di corrispondenza tra i movimenti opposti e contrari, mai risolti, a cui ti conduce questo tipo di lettura, con gli stessi sbandamenti che incontri nell’arco dell’esistenza. La contrarietà del testo è la contrarietà delle vicende umane. Chi di noi vive cercando di armonizzare, cercando di razionalizzare, di avere risposte su tutto, forse non si troverà a proprio agio con questo modo di procedere, ma se si lascerà condurre dall’autore, potrà imparare cosa significhi vivere nella complessità senza per forza avere una risposta su tutto, senza far finta che non ci sia.

Ironia e ambiguità – Qoèlet adotta volentieri «l’ironia» come una modalità con cui esprimere un pensiero, farlo conoscere. Ironizzare per lui è importante: significa decostruzione e ridimensionamento della illusoria pretesa di sapere e di dominare quanto in realtà resta indisponibile alla condizione umana. Egli pone in contrasto chi vanta delle certezze, che sono però solo presunte, e chi invece preferisce fare domande.

Se si legge con attenzione, si può respirare una certa ironia diffusa in tutto il libro. Tutto Qoèlet può essere identificato in questo atteggiamento riflessivo di ironica autocoscienza e divisione interiore. L’ironia di Qoèlet libera non un semplice riso, ma anche un pensiero profondo.

Ecco perché è stato scelto un titolo suggestivo, provocante: «quale ironia salverà il mondo?». Mai come oggi l’ironia può essere una chiave interpretativa per comprendere la nostra esistenza, per salvarci da ciò che prendiamo troppo sul serio, ciò che magari consideriamo capace di salvezza, invece nasconde solo una menzogna, o una grande delusione.

Un’individualità fortemente critica – Ciò che emerge dal libro è il profilo di una profonda individualità critica che esprime con acutezza e indipendenza il proprio giudizio. Nessun libro biblico è così intensamente personale sia dal punto di vista del contenuto che dello stile. «Io Qoèlet» viene ripetuto frequentemente e introduce spesso un discorso condotto a partire dalla propria esperienza personale. L’affermazione «ho visto» (1,14; 2,13.24; 3,10.16.22; 4,4.15; 5,12.17; 6,1; 8,9.10.17; 9,13; 10,5.7) introduce non la visione profetica rivelata da un altro, ma l’acquisizione della sapienza meditata attentamente in prima persona («allora ho detto, ho concluso»); talvolta conclude «ho trovato» (3,11; 7,14.24.27-29; 8,17; 9,10.15; 11,1; 12,10), altre volte afferma «non ho trovato».

Metodo di lettura e nota per il lettore

Questo commentario non approfondisce in modo esegetico tutti i brani del Qoèlet. Per chi fosse interessato a un approfondimento sono segnalati degli studi appropriati.

È stato preferito prendere in analisi alcuni testi, che vorremo aprire con una sorta di scansione quasi teatrale: primo atto, secondo atto, terzo atto, etc. Questi testi saranno sempre accompagnati da un commento esegetico ma non solo. Le novità saranno delle finestre che sono state aperte nella lettura fatta assieme con coloro che hanno partecipato ad una due giorni dedicata. Ecco il senso del sottotitolo: «Una comunità legge il libro del Qoèlet».

Conosciamo questo modo di procedere dal noto gesuita Silvano Fausti. Noi abbiamo ripreso l’idea che si nasconde dietro l’espressione e abbiamo tentato un modo per attuarla, rendendola disponibile. Ci sembra che vi sia una sorta di accorgimento molto sapiente che non manca di avere una ricaduta anche sul significato esegetico che dal testo possiamo cogliere. «Esegesi del testo» e «vissuto dei credenti» sono due dimensioni che incontrandosi generano un certo tipo di «lettura della Parola di Dio». Cosa vuol dire? Significa tentare una lettura efficace, sinergica, attuale, rispondente al messaggio del Qoèlet ma anche alle attese dei credenti che non vivono il contesto storico di Qoèlet. A tal proposito esortiamo alla lettura dell’Esortazione apostolica post-sinodale Verbum Domini di Benedetto XVI.

Tutti hanno contribuito perché questo succeda sotto la guida dello Spirito, tutti hanno tratto proprio da questo una sorta di «Parola detta per me», ora. Naturalmente il vissuto emerso nel nostro incontro è stato così denso che quello proposto è solo una parte.

Al di là dei risultati, che certamente non possono esaurire la ricchezza e l’apporto di ciascuna delle nostre comunità, l’esperienza di una lettura pensante e orante, dentro una «convocazione» (in ebraico si dice appunto qahal da cui Qoèlet) quindi una comunità disponibile all’ascolto, costituisce certamente un luogo «teologico di eccellenza», un laboratorio vero e proprio, perché la Sacra Scrittura compia il suo guado verso ciò che poi ascoltiamo come Parola di Dio, possibile solo dove i vissuti personali ed ecclesiali si incontrano.

Il sussidio può essere usato per una lettura personale, ma sulle parole di Qoèlet invitiamo le comunità a non temere di fare le loro «convocazioni».

È possibile …

È possibile «convocare» piccole o grandi assemblee, in accordo con il proprio parroco, per meditare questo testo; in chiesa, in famiglia («per fare chiesa in casa»), nelle sale parrocchiali, in canonica.

È possibile che un animatore della parola, un «facilitatore», possa addestrarsi con semplicità ad una lettura «orante e comunitaria» del testo utilizzando del materiale non solo cartaceo ma anche audio, avendo a disposizione quindi delle meditazioni da ascoltare e poi così pregare con un preciso schema. Per accedere a questo «materiale» basta fare una richiesta a questo indirizzo: martino.signoretto@gmail.com. Vi verrà spedito via mail quanto necessario per poter impostare delle lectio divine sia nelle vostre case sia nelle sale della vostra parrocchia o in Chiesa.

È possibile seguire un metodo di lettura orante del Qoèlet in assemblea grazie ad un parroco, o un laico, che abbia voglia di prepararsi le meditazioni, evitando di invitare un esperto o di doverlo ascoltare da un registratore audio. Il materiale inviato allora serve per preparare la meditazione di ciascuna settimana. Il metodo di Lectio segue uno schema abbastanza preciso, che non si riduce solo a una meditazione da ascoltare. Vuole aiutare a pregare con la Bibbia, in modo semplice e fattibile, la comunità convocata. Questo è possibile!