Carlo Miglietta – Commento al Vangelo di venerdì 25 Dicembre 2020

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Uno strano censimento

“Luca colloca la nascita di Gesù nella cornice di Betlemme, una cittadina nei pressi di Gerusalemme, patria del re Davide, in occasione di un censimento ordinato dal “governatore della Siria Quirinio” (si legga Lc 2,1-7). Pieter Bruegel il vecchio in una tela del Museo delle belle arti di Bruxelles (1566) ha rappresentato in modo delizioso l’accorrere a Betlemme, immersa nella neve, di un fitto stuolo di mercanti, contadini, straccioni per farsi registrare secondo un censimento condotto alle radici, cioè ai focolari d’origine delle famiglie, una prassi attestata nell’Egitto romano, anche se predominante era il censimento residenziale.

C’è, però, una difficoltà storica piuttosto grave. L’unico censimento documentato di Quirinio in Palestina fu eseguito nel 6-7 dopo Cristo, quando Gesù aveva almeno dodici anni e stupiva i dottori della legge nel tempio di Gerusalemme (Lc 2,41-52). Come è noto, il calcolo cronologico della nascita di Cristo è quasi certamente erroneo a causa del computo impreciso del monaco Dionigi il piccolo del VI secolo, che fissò l’evento nell’anno 753 dalla fondazione di Roma. In realtà, i Vangeli affermano che Gesù nacque sotto Erode il Grande che morì attorno al 4 avanti Cristo.

Luca, evocando quell’operazione censuale, ha forse confuso le date? Oppure l’ha fatto per imprimere alla nascita di Gesù un respiro universale? Sappiamo che i Vangeli, pur narrando la vicenda storica di una figura concreta come Gesù di Nazaret, non hanno rigorose preoccupazioni storiografiche. Tuttavia sappiamo anche che Luca è l’evangelista più attento al dato storico. È possibile, dunque, seguire due percorsi.

Da un lato, si può affermare – come scrive un importante commentatore di Luca, Heinz Schürmann – che “il tema del censimento pone la nascita di Gesù in rapporto con tutto l’impero. In lui non si compie solo l’attesa dei Giudei ma di tutta la terra. Si apre un orizzonte vasto come il mondo; è affermata l’importanza universale della nascita di Gesù”. La questione sarebbe dunque da affrontare a livello teologico e simbolico, non certo storiografico. Come scrive un altro studioso tedesco, Emil Schürer, nella sua Storia del popolo giudaico al tempo di Gesù, un’opera classica dell’Ottocento, “Luca avrebbe generalizzato in un unico evento i vari censimenti ordinati da Augusto in epoche e luoghi diversi”, così da collocare la nascita di Cristo all’interno di un respiro universale e planetario.

D’altro lato, però, si può tentare di vagliare tutti i dati storici disponibili, come hanno fatto in forme diverse vari studiosi. Ad esempio, secondo lo storico Giulio Firpo, in un suo studio del 1983 sul problema cronologico della nascita di Gesù, “il primo censimento”, come lo definisce Luca (Lc 2,2), sarebbe da inquadrare in un piano globale censuale progettato da Augusto, destinato a coinvolgere anche un regno autonomo ed esente, com’era quello di Erode, rex socius et amicus, cioè re alleato e amico di Roma. Nel 7-6 avanti Cristo si sarebbe eseguito, dunque, in Palestina un censimento amministrativo, connesso a un giuramento di fedeltà all’impero e condotto secondo il metodo tribale e non residenziale per ragioni di tattica e cautela politica. A gestirlo fu Quirinio, in quel momento reggente con incarico speciale la legazione di Siria, tenuta in via ordinaria dal governatore Sanzio Saturnino, allora impegnato in una dura guerra contro gli Armeni. Questo sarebbe il censimento durante il quale nacque Gesù. Quando diverrà responsabile, a pieno titolo della Siria, Quirinio ordinerà il secondo censimento, più noto e documentato, quello del 6-7 dopo Cristo. Certo è che, al di là delle questioni storiche -non manca neppure qualche studioso che cerca di confermare la datazione attuale dei secoli cristiani – Luca vede nella nascita di Cristo un evento dagli echi universali e dall’incidenza nella vicenda storica umana.

L’imperatore Augusto indice un censimento per tutto il suo impero, in forza del quale ogni cittadino sottomesso a Roma deve recarsi nella sua città natale per iscriversi: lo scopo è in funzione della tassazione.  A fronte di un imperatore che si crede potente perché conta i suoi sudditi mettendo in movimento un impero, c’è una famiglia oscura della Galilea che conserva il segreto di un annuncio di nascita e si mette in movimento dalla Galilea alla Giudea. Tutto sembra che accada per caso, ma nulla è casuale. Gli uomini si affannano a gestire la loro piccola storia, credendosi «grandi»: sono solo occasione di processi che sfuggono alla loro considerazione perché la nuova storia deve ripartire dalla «città di Davide»” (G. Ravasi).

Il contrasto di valori

  “Nel capitolo 2° del vangelo di Luca, domina l’effetto contrasto che mette in risalto ciò che questa notte avviene e stabilisce cosa è importante e cosa è apparenza. Ciò ci induce a rivedere quali sono i nostri criteri di valutazione, il discernimento dei fatti che viviamo. Di fronte all’imperatore Cesare Augusto sta una ragazza ebrea di nome Miriam. Il potente ed una bambina.

L’imperatore governa il mondo, la ragazza è sola ed è soltanto incinta.

Da una parte, l’imperatore indice un censimento come segno di potere: contare i suoi sudditi per imporre tasse, dall’altra parte, l’oscura ragazza ebrea è in una relazione profonda con qualcun Altro a cui lascia il computo dei  giorni del suo partorire.  Il potente crede di governare il mondo e gli eventi, mentre la ragazza ebrea si accontenta di prendere coscienza che «si compirono per lei i giorni del parto» (v. 6) e si dedica alla nascita di suo figlio. Il potente pensa di governare il mondo intero, l’adolescente ebrea partorisce soltanto la Vita. L’imperatore con un solo ordine sposta milioni di persone costringendole ad ubbidirgli. Da parte sua, Maria mette in viaggio se stessa per andare a servire sua cugina Elisabetta che deve partorire: il potere e il servizio. Il potente resta fermo nella sua reggia, la donna ebrea si mette in movimento.

L’imperatore è servito e ubbidito, la donna serve e si abbandona alla volontà del suo Creatore (Lc 1,38).

Di fronte ad un imperatore che ordina, Maria si realizza nel volere di un Altro: «Oh, sì! Che possa accadere in me secondo la tua Parola» (Lc 1,38) e  in lei la «Parola carne fu fatta» (Gv 1,18). La stessa Parola che questa notte diventa Pane per nutrire la nostra sete di vita e di amore: anche la cittadina dove Gesù nasce è un annuncio profetico: Betlemme in ebraico significa Casa del pane” (P. Farinella).

La nascita di Gesù

Nel Vangelo di Luca, mentre la nascita di Giovanni è narrata in due versetti (Lc 1,57-58), a quella di Gesù vengono dedicati ben venti versetti (Lc 1,1-20). Non vi può essere contrasto più grande di quello descritto per la nascita di Gesù. Anche in confronto con Giovanni Battista, tutto è capovolto: 

1. l’annuncio della nascita di Giovanni avviene nella sontuosità del Tempio, l’annuncio della nascita di Gesù avviene a Nàzaret nella regione della Galilea equiparata alle nazioni pagane e sprezzantemente chiamata: «Galilea delle Genti» (Mt 4,15);

2. Giovanni nasce a casa sua, Gesù è emigrante e nasce in viaggio lungo la strada;

3. la nascita di Giovanni richiama parenti e vicini, la nascita di Gesù solo i pastori, legalmente impuri e socialmente emarginati. Tutta la vita di Gesù è un contrasto e un capovolgimento che ci mostra come il Dio di Gesù viene in modo inatteso e fuori da ogni schema e preconcetto.

In questo racconto Luca sintetizza il messaggio di tutto il Vangelo:

  1. la vera umanità di Gesù: “Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia” (Lc 2,12). Luca usa termini “crudi”: “brèphos” (Lc 2,12.16), che indica il feto da partorire o appena partorito, e “gennòmenon”( Lc 1,35), che designa il feto nel grembo materno;
  2. la divinità di Gesù: l’annuncio ai pastori (Lc 2,9-13) è un vero annuncio pasquale, come abbiamo visto
  3. la scelta dei poveri: Gesù nasce con i poveri del suo tempo, “deposto in una mangiatoia perchè non c’era posto per loro nel <<katalyma>>” (Lc 2,7), cioè la parte della caverna, dove alloggiava la famiglia di Giuseppe, adibita a ricovero per gli uomini e non per gli animali (stesso termine usato per la sala dell’ultima cena; ma non parla di per sé di nascita in una grotta o in una stalla). La sua nascita è annunciata non ai grandi o ai sapienti, ma agli “impuri”, come erano i pastori, che diventano i primi discepoli:
  4. il Natale in Luca è subito collegato alla Pasqua: Maria “avvolse in fasce e depose in una mangiatoia” Gesù (Lc 2,7), come Giuseppe d’Arimatea “avvolse in un lenzuolo e depose in una tomba” (Lc 23,53) il corpo del crocifisso, e tali “bende “giaceranno vuote” (Lc 24,12); a Betlemme sono  gli “impuri” pastori i primi testimoni della nascita di Gesù (Lc 2,8-20), a Gerusalemme saranno le “impure” donne le prime testimoni della sua resurrezione (Lc 23,55-24,10); in entrambi gli eventi, ci sono angeli a dare un senso al mistero (Lc 2,9-14; 24,4-7). “Nel piccolo Gesù – secondo l’orientamento dei Vangeli dell’infanzia – si intravede già il glorioso “Signore” risorto, proclamato dalla fede pasquale della Chiesa. La tipologia dell’icona russa della scuola di Novgorod (XV secolo) esplicita questo collegamento raffigurando il bambino Gesù avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia che ha la forma di un sepolcro” (Ravasi).

L’annunciazione ai pastori

““C’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge”: queste sono le presenze che popolano il deserto di Giuda adiacente a Betlemme… Nel trattato Sanhedrin (25b) del Talmud, la grande raccolta delle tradizioni giudaiche, si legge che i pastori non potevano testimoniare in sede processuale perché considerati impuri, a causa della loro convivenza con animali, e disonesti, a causa delle loro violazioni dei confini territoriali. Il loro statuto civile era, quindi, in basso alla scala sociale e le loro condizioni di vita erano molto meno “georgiche” e idilliache di quanto ci abbiano abituato a pensare Virgilio o Teocrito.

La tradizione cristiana ha collocato il loro accampamento per quella notte nell’attuale villaggio arabo di Bet-Sahur, a tre chilometri da Betlemme, in una località detta “Campo dei pastori”, occupata nel IV-VI secolo da un monastero bizantino eretto su grotte usate dai pastori per le loro veglie notturne. Ora là si staglia una chiesa moderna (1953) che vorrebbe imitare nella sua struttura la tenda beduina e la cui cupola lascia filtrare la luce del cielo quasi in un gioco di stelle.

Dopo le annunciazioni a Maria e a Giuseppe possiamo, allora, parlare di un’annunciazione ai pastori. Anche in questo caso sono di scena gli angeli che intonano quel “Gloria in excelsis” che verrà cantato in mille e mille Messe nei secoli. Questo coro che esce dalle labbra di “tutto l’esercito celeste”, come Luca chiama biblicamente gli angeli, sarà rilanciato dalla terra al cielo quando Gesù entrerà a Gerusalemme per l’ultima settimana della sua vita. Nella notte del Natale gli angeli avevano cantato: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini (oggetto) della buona volontà (divina)” (questa è la versione più corretta di Lc 2,14, ove di scena è l’amore di Dio e non tanto la volontà umana). Alle soglie della Passione, durante l’entrata in Gerusalemme, i discepoli canteranno: “Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!” (Lc 19,38). Commenta Raymond Brown in un’importante opera su La Nascita del Messia secondo Matteo e Luca: “È un tocco pieno di fascino che la moltitudine della milizia celeste proclami la pace sulla terra, mentre la moltitudine dei discepoli proclama la pace in cielo: i due passi potrebbero diventare quasi un responsorio antifonale”.

C’è però, in mezzo alla coreografia dell’epifania angelica un messaggio specifico, indirizzato ai pastori. Nell’originale greco Luca lo definisce un “evangelo” e ha un contenuto squisitamente teologico: “Oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore” (Lc 2,11). E’ un piccolo “Credo” cristiano che ruota attorno a tre titoli fondamentali attribuiti al Bambino: Salvatore, Cristo (cioè Messia), Signore (cioè Dio). Anche Paolo conosce questo Credo e lo cita scrivendo ai cristiani di Filippi: “Aspettiamo il Salvatore, il Signore Gesù Cristo” (3,20).

Ebbene, i primi ad accorrere in pellegrinaggio a Cristo Signore sono gli ultimi della terra, anticipando un detto caro a Gesù: “I primi saranno gli ultimi e gli ultimi primi” (Mt 20,16). Tutto il racconto lucano è costellato di verbi di moto e di sorpresa: “andiamo, conosciamo, andarono, trovarono, videro, riferirono, tutti udirono, si stupirono, tornarono glorificando e lodando Dio per tutto quanto avevano udito e visto”. La famiglia di Betlemme è circondata dai pastori, i rifiutati dal Sinedrio, i marginali che Luca, però, vede come la prefigurazione della Chiesa di Cristo” (G. Ravasi).

Carlo Miglietta