Commento al Vangelo del 13 Maggio 2019 – Gv 10, 1-10

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Il commento al Vangelo del 13 Maggio 2019 a cura dei Dehoniani.

IV settimana di Pasqua – IV settimana del salterio

Chi ero io?

Il buon pastore, di cui ci narra Giovanni offrendoci in tal modo una profonda rivelazione dell’identità di Gesù, è consapevole di avere altre pecore che non provengono da un unico recinto. «Anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore» (Gv 10,16).

Nel contesto originario nel quale Gesù ha pronunciato queste parole, la grande separazione da superare, per giungere a questa unità, era rappresentata dalla netta divisione tra i giudei e i cosiddetti pagani, tra i circoncisi e i non circoncisi. È la divisione che Pietro stesso deve superare, entrando nella casa di un pagano, il centurione romano Cornelio, e battezzando lui e tutta la sua famiglia, senza imporre prima la circoncisione e l’osservanza della Legge mosaica.

O meglio, ad abbattere questo muro è Dio stesso con il suo santo Spirito, il quale con la sua azione previene la decisione di Pietro. Dapprima Pietro ha una visione, mentre è in preghiera a Giaffa, poi vede lo Spirito Santo discendere nella casa di Cornelio. È Dio ad agire e Pietro deve solo obbedire alla sua azione. Da sottolineare il «come» che risuona nel racconto di Pietro: «Avevo appena cominciato a parlare quando lo Spirito Santo discese su di loro, come in principio era disceso su di noi» (At 11,15).

Pietro stesso interpreta l’accaduto, riconoscendo che il dono è il medesimo: «Se dunque Dio ha dato a loro lo stesso dono che ha dato a noi, per aver creduto nel Signore Gesù Cristo, chi ero io per porre impedimento a Dio?» (11,17). Davvero qui c’è una nuova Pentecoste: come lo Spirito era disceso a Gerusalemme sugli apostoli, ora a Cesarea discende sui pagani. Ad abbattere muri, a oltrepassare confini, a superare distanze e divisioni, a intessere unità e comunione, ci pensa l’azione di Dio. Se non è lui ad agire, vani rimangono i nostri sforzi, infecondi i nostri tentativi, deludenti le nostre strategie.

Ce lo ricorda Giovanni nel suo vangelo. A radunare le pecore divise e disperse in un solo gregge è l’amore con il quale Gesù offre la sua vita per loro, per le une e per le altre: «… e do la mia vita per le pecore» (Gv 10,15). Gesù ha donato se stesso tanto per i giudei quanto per i gentili, tanto per i circoncisi quanto per i non circoncisi, perché tutti potessero dimorare in quella comunione d’amore che, nello Spirito, intesse la misteriosa relazione tra il Padre e il Figlio. «E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (12,32).

Attirandoci a sé, egli ci attira gli uni verso gli altri. Lo affermerà anche Paolo, con il suo linguaggio: «Ed ecco, per la tua conoscenza, va in rovina il debole, un fratello per il quale Cristo è morto!» (1Cor 8,11). Ciò che fonda la fraternità evangelica è il fatto che Gesù abbia dato la sua vita per me come per il fratello. Il vincolo della fraternità è lui ad averlo posto, e in modo irrevocabile, donando se stesso per tutti.

Le pecore ascoltano la sua voce, la riconoscono con gioia, la seguono con fiducia, perché in essa percepiscono non il sentire del mercenario, al quale delle pecore non importa nulla se non il guadagno che gli possono procurare, ma il sentire del pastore che ama le sue pecore fino al dono della propria vita. Il mercenario è disposto a perdere le pecore per guadagnarci lui, il pastore vero, al contrario, giunge a perdere la propria vita perché le pecore abbiano a guadagnare una vita piena, nella comunione e non nella dispersione, nella relazione e non nella solitudine.

Nel quarto vangelo, dalla pasqua di Gesù, dal suo modo di morire, dal suo fianco trafitto, sgorga quello Spirito che poi scenderà nella casa di Cornelio, per fare anche di lui e della sua famiglia, che pure non sono dello stesso recinto dei giudei, un solo gregge. L’azione di Dio attua l’unità laddove i nostri sforzi così spesso falliscono. Come afferma Pietro, a noi non è chiesto altro che vigilare per non essere di impedimento, di ostacolo (cf. At 11,17). Anche con le nostre paure, esitazioni, pregiudizi.

Padre santo, ti ringraziamo per averci donato tuo Figlio, Pastore buono, che ci difende dal lupo che disperde, dal mercenario che fugge, e in tal modo vince in noi non solo la morte e la dispersione, ma anche la paura, la sfiducia, la solitudine. Ricolma anche la nostra vita del tuo Spirito, perché, dimorando in noi, ci insegni a riconoscere, amare, seguire la voce di chi ha dato la sua vita per noi e per tutti.

Io sono la porta delle pecore.

+ Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 10, 1-10

In quel tempo, disse Gesù: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è il pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».

Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.

Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita a l’abbiano in abbondanza».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

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