Commento al Vangelo del 18 Maggio 2019 – Gv 14, 7-14

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Il commento al Vangelo del 18 Maggio 2019 a cura dei Dehoniani.

S. Giovanni I, papa e martire (memoria facoltativa)

Vedere il Padre e fare le sue opere

Gesù,  come  abbiamo  ascoltato  ieri,  ha  appena  dichiarato  di  essere  la  via,  la  verità  e  la  vita.  Lo  è  in  quanto  piena  rivelazione del  Padre.  È  via  che  ci  conduce  nella  comunione  filiale  con  lui, verità perché ci rivela pienamente il suo volto, vita perché ci dona di  condividere  la  vita  stessa  di  Dio,  preparandoci  presso  di  lui un  posto  dove  dimorare.  In  questa  prospettiva  possiamo  meglio comprendere la risposta che Gesù dà alla richiesta di Filippo: «Da tanto  tempo  sono  con  voi  e  tu  non  mi  hai  conosciuto,  Filippo? Chi  ha  visto  me,  ha  visto  il  Padre.

Come  puoi  tu  dire:  “Mostraci il  Padre”?  Non  credi  che  io  sono  nel  Padre  e  il  Padre  è  in  me?» (Gv  14,9-10).  Vedere  Gesù  significa  vedere  il  Padre  non  soltanto perché egli ne è la perfetta rivelazione, ma soprattutto perché per vedere  il  Padre  dobbiamo  entrare  nello  stesso  sentire  del  Figlio, nel suo modo di relazionarsi con lui, di stare davanti al suo volto santo,  di  obbedire  alla  sua  Parola  compiendo  le  opere  che  egli ci affida di fare. Conosciamo il Padre entrando nei sentimenti del Figlio  o,  come  direbbe  san  Paolo,  assumendo  quel  sentire  che  è proprio  di  coloro  che  sono  in  Cristo  Gesù  (cf.  Fil  2,5).

Per  capire meglio,  possiamo  ricordare  quanto  Gesù  afferma  nel  Vangelo  di Matteo:  «Nessuno  conosce  il  Figlio  se  non  il  Padre,  e  nessuno conosce  il  Padre  se  non  il  Figlio  e  colui  al  quale  il  Figlio  vorrà rivelarlo» (Mt 11,27). Soltanto il Figlio ha la piena conoscenza del Padre; egli, tuttavia, non la trattiene gelosamente per sé, la rivela anche a noi, e lo fa introducendoci nel suo stesso modo di essere, di vivere, di atteggiarsi. Occorre imparare da lui, come Gesù precisa subito dopo: «Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (11,29).

Il giogo che occorre assumere  da  Gesù,  per  portarlo  insieme  a  lui,  in  fondo  altro  non è  che  il  giogo  dell’esperienza  filiale.  Occorre  imparare  a  essere figli come figlio è Gesù, conformandoci alla sua mitezza e alla sua umiltà, tipiche di chi sa di ricevere tutto dal Padre: «Tutto è stato dato  a  me  dal  Padre  mio»  (11,27).  Vedendo  Gesù  vediamo  il  Padre, perché in lui vediamo il Figlio che tutto riceve dal Padre. Noi, a  nostra  volta,  possiamo  vedere  il  Padre  disponendoci  davanti a  lui  come  dei  piccoli  e  dei  poveri,  in  altre  parole  come  figli  che sanno di dover ricevere la vita dalle sue mani, dal suo dono. Ecco perché Dio ama rivelarsi ai piccoli, non ai dotti e ai sapienti, come Gesù esclama nella stessa pagina di Matteo (cf. v. 25): sono loro infatti ad avere mani aperte e pronte ad accogliere, anzi addirittura a riceversi come figli dal dono paterno di Dio che tali li genera.

Ecco  allora  che  anche  il  discepolo  potrà  compiere  le  opere  del Figlio,  anzi  ne  compirà  di  più  grandi,  perché  Gesù  va  al  Padre. Lì,  come  abbiamo  ascoltato  ieri,  egli  ci  prepara  un  posto,  lì  ci fa  abitare,  ed  è  grazie  a  questa  comunione  vitale  che  possiamo compiere  anche  noi  le  grandi  opere  di  Dio,  perché  il  Padre  agirà attraverso  noi,  suoi  figli,  così  come  ha  agito  attraverso  il  suo Figlio  unigenito.

«Il  Padre  –  afferma  Gesù  –  che  rimane  in  me, compie le sue opere» (Gv 14,10). Possiamo ripeterlo a nostra volta,  con  la  stessa  verità  e  intensità:  il  Padre  compie  anche  in  noi le sue opere, se rimaniamo in lui ed egli in noi, in quella dimora che con la sua pasqua Gesù edifica per noi.

Anche la grande opera dell’evangelizzazione, di cui gli Atti continuano a darci testimonianza, è possibile e feconda se nei testimoni agisce lo Spirito di Dio e la potenza della sua Parola. Un’opera grande, che risulta efficace nonostante tutte le opposizioni    e le resistenze che incontra, il cui sigillo di autenticità è la gioia, frutto del dono dello Spirito. Da una parte c’è la gelosia amara e triste di chi si oppone al vangelo, dall’altra c’è la gioia spirituale    di chi sa accoglierlo. Vedere il Padre significa compiere le sue opere, che ci rivelano il suo volto, donandoci di gioire, come figli che abitano nella sua stessa casa.

Padre, così osiamo chiamarti, pronunciando il tuo nome, perché desideriamo essere tuoi figli condividendo il medesimo sentire di Gesù, il tuo Unigenito. Il tuo Spirito tenga fisso il nostro sguardo su di lui, affinché da lui impariamo come rimanere davanti a te, in comunione con il tuo amore, nella fecondità delle opere che tu ci concederai di compiere, per glorificare il tuo Nome e rivelarlo ai nostri fratelli e sorelle.

Chi ha visto me, ha visto il Padre.

+ Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 14, 7-14

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre. E qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò.

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

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