Commento al Vangelo del 27 Aprile 2019 – Mc 16, 9-15

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Il commento al Vangelo del 27 Aprile 2019 a cura dei Dehoniani.

Ottava di Pasqua / Tempo di Pasqua / Proprio

Tra fede e incredulità

La fede di coloro che non hanno veduto il Signore risorto, la nostra fede, si fonda sulla testimonianza dei primi discepoli. Questo è evidente. Ma qual è la qualità della testimonianza di coloro che hanno avuto la grazia di stare accanto al Signore Gesù, di ascoltare dalle sue labbra la parola dell’evangelo, di vederlo risorto? E che differenza c’è tra la loro testimonianza e la nostra? Forse una risposta a questi interrogativi possiamo trovarla nelle letture che la liturgia della Parola oggi ci propone.Il Vangelo di Marco si conclude con un piccolo riassunto delle apparizioni di Gesù risorto a Maria di Magdala, ai due discepoli in cammino verso Emmaus e agli Undici radunati nel Cenacolo.

È una breve sintesi dei racconti presenti in Matteo e Luca, aggiunta da un redattore per colmare una lacuna che la narrazione di Marco presentava rispetto agli altri vangeli: la mancanza delle apparizioni. Infatti il racconto di Marco termina con la visione dell’angelo alle donne presso il sepolcro vuoto e, significativamente, con la reazione di queste ultime alle parole di quell’uomo vestito di una veste bianca: «Esse uscirono e fuggirono via dal sepolcro, perché erano piene di spavento e di stupore. E non dissero niente a nessuno, perché erano impaurite» (Mc 16,8). La paura, lo spavento di fronte a un evento incomprensibile sembra porre il sigillo a tutto il racconto di Marco.

C’è come un interrogativo finale sulla fede di queste donne, anzi sulla fede del discepolo: che senso hanno la vicenda di Gesù, la sua morte, il sepolcro vuoto? Di fronte a quest’assenza non sembra esserci lo stupore che coglie colui che scopre il mistero di un Dio che va oltre le attese umane. C’è solo la paura, lo sconvolgimento interiore, un silenzio simile alla pietra rotolata sul sepolcro. Il discepolo da solo non può comprendere ciò che è avvenuto in quella misteriosa notte, non può andare oltre il sepolcro vuoto. La sua fede è troppo fragile e nemmeno le parole dell’angelo sono sufficienti per rotolare via la pietra dal sepolcro del suo cuore. Questo atteggiamento continua nei versetti seguenti e si rivela nella sua nuda verità: è incredulità. Di fronte alla testimonianza di Maria di Magdala gli Undici non credono; di fronte alla testimonianza dei due discepoli che lo hanno visto, «non credettero neppure a loro» (16,13).

Dovremmo concludere, a questo punto, che alla base della testimonianza dei primi discepoli c’è un fatica a credere, anzi un’incredulità. E questo, dobbiamo riconoscerlo, ce li rende compagni di viaggio. E non può essere diversamente perché la fede, per sostenere un’autentica testimonianza, ha sempre bisogno di un salto di qualità e questo avviene solo in forza di una parola e di un intervento del Signore. E lo vediamo anche negli ultimi versetti di Marco. È il Risorto stesso che apre il cuore dei discepoli alla fede e rende vera la loro testimonianza. Anzitutto rivolge una parola che spezza la durezza del loro cuore: «Li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto» (16,14).

E poi dona loro una parola carica di fiducia. Nonostante la loro incredulità, Gesù continua a fidarsi di loro tanto da dire: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura» (16,15). A questo punto la fede del discepolo è pronta a diventare testimonianza dell’evangelo. Avrà sempre bisogno del sostegno della Parola del Risorto, ma sarà in grado di lasciar trasparire la potenza e la salvezza custodite nell’evangelo. Quegli Undici discepoli paurosi, increduli e titubanti, nel libro degli Atti diventato testimoni pieni di coraggio di fronte al mondo: la loro parola non solo è rivestita di franchezza e libertà, ma comunica anche la potenza del nome di Gesù che guarisce uno storpio.

Non c’è nulla che possa fermare la testimonianza del discepolo quando in essa agisce la forza di Gesù. Ecco perché Pietro e Giovanni, di fronte alle minacce del sinedrio di abbandonare l’annuncio del «nome di Gesù», possono rispondere senza più paura: «Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (At 4,20). Ciò che il discepolo ha visto e ascoltato è il cuore della testimonianza ed essa è vera perché ha la forza del nome di Gesù. Questo vale per i primi discepoli, questo vale anche per noi!

Signore Gesù, tu conosci il nostro cuore e sai che in esso abitano fede e incredulità. Facciamo fatica a credere, eppure ti amiamo. Non cessare di rimproverarci, non cessare di donarci la tua fiducia, non cessare di sostenerci con la forza del tuo amore. Anche se in noi ci sono resistenze e paure, rendici sempre capaci di testimoniarti con franchezza e gioia.

Andate in tutto il mondo e proclamamate il vangelo.

Dal Vangelo secondo Marco
Mc 16, 9-15

Risorto al mattino, il primo giorno dopo il sabato, Gesù apparve prima a Maria di Màgdala, dalla quale aveva scacciato sette demòni. Questa andò ad annunciarlo a quanti erano stati con lui ed erano in lutto e in pianto. Ma essi, udito che era vivo e che era stato visto da lei, non credettero.

Dopo questo, apparve sotto altro aspetto a due di loro, mentre erano in cammino verso la campagna. Anch’essi ritornarono ad annunciarlo agli altri; ma non credettero neppure a loro.

Alla fine apparve anche agli Undici, mentre erano a tavola, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto. E disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura».

C: Parola del Signore.

A: Lode a Te o Cristo.

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