Commento al Vangelo del 6 Maggio 2019 – Gv 6, 22-29

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Il commento al Vangelo del 6 Maggio 2019 a cura dei Dehoniani.

III settimana di Pasqua – III settimana del salterio

Il tuo nome è Sovversione, alleluia!

Dopo aver ascoltato e meditato i testi che la liturgia della Parola ci offre quest’oggi, si avverte un senso di stanchezza. Ciò che avviene a Gerusalemme e ciò che avviene sul lago di Tiberiade è estenuante. Nei confronti di Stefano si attiva una violenza ancora più grande di quella che fu scatenata attorno al Signore Gesù nel momento del suo arresto: «E così sollevarono il popolo, gli anziani e gli scribi, gli piombarono addosso, lo catturarono e lo condussero davanti al sinedrio» (At 6,12).

Come già nel processo contro Gesù, anche per Stefano l’unico modo di metterlo a morte è quello di inventare delle accuse contro di lui: «Lo abbiamo infatti udito dichiarare che Gesù, questo Nazareno, distruggerà questo luogo e sovvertirà le usanze che Mosè ci ha tramandato» (6,14). Come spesso avviene, in ogni menzogna si nasconde un briciolo di verità. Soprattutto quando la menzogna serve a sbarazzarsi di qualcuno in realtà non può che tradirsi. I notabili del popolo sentono il dramma di non essere riusciti a liberarsi di quella sovversione che Gesù, il «Nazareno», ha messo al cuore del popolo di Dio.

È come se nonostante tutti gli sforzi per soffocarlo questo fuoco continui ad ardere e illuminare.Sul lago di Tiberiade era già avvenuto ciò che accade a Gerusalemme. I toni sono certo più pacati, ma la fatica rimane così grande da sembrare immane. Davanti alla folla in delirio per avere trovato qualcuno che si prenda cura della sua fame, il Signore Gesù deve ingaggiare una lotta non facile, per aiutare quanti vorrebbero persino farlo re, ad andare oltre non solo la propria fame ma persino un po’ più in là della propria sazietà. Per fare questo la chiarezza è di rigore: «Voi mi cercare non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati» (Gv 6,26).

Sul lago come in prossimità del tempio si riscontra, pur in modi diversi e con diversa intensità, la stessa fatica ad aprire gli occhi per aprire il cuore a ciò che richiede di non rimanere prigionieri delle proprie aspettative e nemmeno dei propri bisogni. Le parole che il Signore Gesù rivolge alla folla potrebbero essere le stesse che Stefano avrebbe potuto indirizzare a coloro che «non riuscivano a resistere alla sapienza e allo Spirito con cui egli parlava» (At 6,10). In realtà, siamo sempre di fronte alla stessa sfida: «Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà» (Gv 6,27).

Il pane moltiplicato dal Signore Gesù è, come la parola donata dalla testimonianza ardente di Stefano, una possibilità condivisa con tutti di poter accedere a un di più di vita. Eppure, non basta l’orizzonte così ampio di una promessa per aprire il cuore fino a dare il coraggio di andare oltre ciò che già si è conosciuto e gustato. Diverso è per il Signore Gesù, che vive di una profonda consapevolezza che non tiene per sé, ma condivide con tutti: «Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo» (6,27).

Altrettanto grande doveva essere la percezione di Stefano di sentirsi al sicuro non dalla minaccia dei suoi accusatori, ma per la fiducia posta nel suo Signore. Nessuna meraviglia dunque che «fissando gli occhi su di lui, videro il suo volto come quello di un angelo» (At 6,15).

Signore risorto, anche oggi vogliamo lasciarci sconvolgere e interpellare dalla sovversione che il mistero della tua risurrezione mette al cuore della nostra vita e della storia intera. Ti rendiamo grazie per quella presenza discreta e forte che ci rende sicuri di non essere abbandonati a noi stessi, anche quando tutti ci abbandonassero fino a rivoltarsi contro di noi. Alleluia!

Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna.

+ Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 6, 22-29

Il giorno dopo, la folla, rimasta dall’altra parte del mare, vide che c’era soltanto una barca e che Gesù non era salito con i suoi discepoli sulla barca, ma i suoi discepoli erano partiti da soli. Altre barche erano giunte da Tiberìade, vicino al luogo dove avevano mangiato il pane, dopo che il Signore aveva reso grazie.

Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».

Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo».

Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

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