Commento al Vangelo del 7 Maggio 2019 – Gv 6, 30-35

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Il commento al Vangelo del 7 Maggio 2019 a cura dei Dehoniani.

III settimana di Pasqua – III settimana del salterio

Il tuo nome è Visione, alleluia!

L’ultima visione di Stefano prima di morire sembra fare tutt’uno con la sua prima ed eterna visione nella pienezza della quale il suo martirio lo fa dolcemente entrare: «Ecco, contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio» (At 7,56). La morte del primo discepolo-martire è in tutto simile a quella del Maestro per circostanze, gesti e parole. Non solo!

È come se Stefano attingesse la forza di dare la propria vita in testimonianza alla verità della risurrezione, così fortemente avversata dai notabili del popolo, in una visione che è capace di dargli la forza non solo di vivere, ma pure di morire. Mentre attorno a Stefano si scatena una violenza inaudita, è come se questi non perdesse la sua pace interiore. Questo perché non distoglie lo sguardo da ciò che fonda la sua fede ed è diventato il senso profondo e ultimo di tutta la sua vita. Essa rimane viva persino nella morte. Stefano continua a testimoniare fino alla fine e persino oltre la conclusione della sua vita.Le sue ultime parole riprendono quelle del Signore Gesù secondo la tradizione di Luca, che è anche autore degli Atti degli apostoli, e diventano il modello per ogni discepolo che testimonia fino alla fine: «Signore, non imputare loro questo peccato» (7,60).

Non si tratta solo del perdono offerto ai nemici, ma di una protesta ancora più profonda: niente e nessuno possono inclinare la visione su cui è stata fondata una vita. Questa visione non è un’idea, ma la certezza di una relazione che nella morte non potrà che essere ancora più forte e per nulla diminuita. Stefano si è nutrito della presenza di Cristo, rispondendo pienamente a quanto il Signore Gesù cerca di comunicare alla folla che è stata appena sfamata: «Non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero» (Gv 6,32).

Mentre i sommi sacerdoti, gli scribi e i farisei sono ossessionati dal bisogno di vivere il presente come una fedeltà al passato, il Signore Gesù chiede ai suoi discepoli di vivere nel presente di una relazione che dà senso al cammino già compiuto aprendo orizzonti sempre più nuovi. La metafora del nutrimento è il modo scelto dal Signore per farci comprendere che non nutriamo il corpo che siamo stati, ma la vita che stiamo vivendo per poter vivere ancora. Proprio mentre Stefano viene ucciso, dimostra di vedere oltre la morte tanto da essere già nella risurrezione.

Le parole pronunciate da Gesù nella sinagoga di Cafarnao si realizzano sotto gli occhi di quel «Sàulo [che] approvava la sua uccisione» (At 8,1), ma nulla ancora aveva capito di ciò che, in seguito, diventerà il centro della sua stessa vita: «Il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo» (Gv 6,33).

Signore risorto, il tuo discepolo Stefano non temette la morte perché era così vivo che nulla avrebbe potuto privarlo della sua speranza. Ti lodiamo e ti benediciamo perché ogni giorno ci nutri del pane della vita attraverso la tua Parola, i sacramenti e i segni quotidiani della tua presenza. Alleluia!

Non Mosè, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo.

+ Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 6, 30-35

In quel tempo, la folla disse a Gesù: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”».

Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo».

Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane».
Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

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