Il commento al Vangelo di oggi è a cura dei padri Dehoniani.
Ss. Ponziano e Ippolito, martiri (memoria facoltativa)
XIX settimana del tempo ordinario
I Settimana del Salterio
Gesù-Giosuè
Mosè è consapevole di essere ormai prossimo alla morte. Sa anche che potrà vedere la terra da lontano, senza entrarvi. Si fa così da parte e sceglie Giosuè perché prenda il suo posto e porti a compimento l’opera iniziata. «Sii forte e fatti animo, perché tu condurrai questo popolo nella terra che il Signore giurò ai loro padri di darvi: tu gliene darai il possesso» (Dt 31,7).
In un momento così delicato nella storia di Israele, che vede venir meno colui che li aveva liberati, nel quale aveva riposto tutta la propria fiducia, l’anziano Mosè percepisce l’urgenza di dire parole che incoraggino, diano fiducia, sostengano la fede. Come sempre, prima di preoccuparsi di sé, egli si preoccupa del popolo che Dio gli ha affidato e dell’opera ricevuta in vocazione. Se egli non potrà portarla a compimento, l’essenziale è che qualcun altro possa farlo. Le sue parole sono significative anche perché vengono rivolte, in modo simile, prima a tutto il popolo (v. 6) e poi al solo Giosuè (vv. 7-9).
Entrambi devono essere forti, farsi animo, non spaventarsi, nella certezza che sarà il Signore a camminare tanto con Israele quanto con Giosuè. Così facendo, è come se Mosè volesse ricordare loro che devono aiutarsi e sostenersi vicendevolmente. La fiducia del popolo nutrirà quella di Giosuè; il coraggio di Giosuè sosterrà il cammino del popolo. Ed entrambi dovranno vivere questi atteggiamenti nella consapevolezza che è il Signore a camminare con loro, come ha fatto fino a ora. Anche quando il popolo, a motivo del suo peccato, ha abbandonato Dio, egli è rimasto fedele e continuerà a farlo: «Non ti lascerà e non ti abbandonerà» (31,6.8).
Emerge così una bella visione comunitaria della fede, secondo la cui dinamica ci si sostiene e ci si incoraggia insieme, gli uni con gli altri. Si tratta, in fondo, della stessa visione che ascolteremo in questi giorni nel capitolo diciottesimo di Matteo, del quale iniziamo oggi la lettura. Si tratta del quarto grande discorso di Gesù in Matteo, dedicato alle dinamiche comunitarie della vita cristiana. Tutti e cinque i discorsi di Gesù nel primo vangelo hanno come contenuto essenziale l’annuncio del Regno. Quel Regno dei cieli che Gesù ha proclamato nel discorso della montagna (cc. 5–7), che ha inviato i discepoli ad annunciare (c. 10), che ha rivelato in parabole (c. 13), che inviterà ad attendere con vigilanza e fede (cc. 24 e 25), deve essere accolto in modo tale che possa trasformare non solo la nostra vita personale, ma anche la qualità delle nostre relazioni fraterne (c. 18).
Gesù torna a rassicurare i discepoli con parole diverse, ma che hanno grande assonanza con il contenuto fondamentale del discorso di Mosè. Se Israele deve essere consapevole che il Signore gli cammina davanti, senza abbandonarlo, anche la comunità dei discepoli deve edificare la propria vita sulla certezza della presenza del Signore. Egli è al centro della sua vita, come afferma Gesù con il gesto di mettere un bambino al centro della comunità, per rispondere alla domanda dei discepoli su chi di loro fosse da considerare più grande nel Regno dei cieli. La comunità non si fonda sulla centralità delle nostre capacità, risorse o ambizioni di grandezza, ma sulla disponibilità di mettere al centro il più piccolo, il più bisognoso, il più fragile. Così facendo, infatti, si pone al centro il Signore Gesù, perché «chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me» (Mt 18,5).
Ora, nel mistero dell’incarnazione e della pasqua, Dio non solo cammina davanti a noi, ma nel Figlio vive in mezzo alla sua comunità. È lui, con questa sua presenza, a sostenerci, incoraggiarci, guidarci verso il Regno dei cieli, vera terra promessa. Giosuè e Gesù sono due varianti dello stesso nome ebraico. Gesù è il nuovo e vero Giosuè che ci guida nelle vie di Dio e della sua libertà. E lo fa non soltanto camminando davanti a noi, senza abbandonarci, ma anche venendo a cercarci, come fa il pastore disposto a cercare persino l’unica pecora che si smarrisce.
Signore, non è facile, dopo aver lavorato tanto, cercando di ascoltare la tua Parola e di seguire i tuoi sentieri, accettare di non vedere compiersi la nostra opera, o lasciare che altri raccolgano i frutti della nostra semina. Donaci la mitezza e la fiducia di Mosè, il coraggio e la docilità di Giosuè. Insegnaci a divenire come bambini che si sanno custoditi dalle tue mani e confidano nelle tue promesse.
Leggi il Vangelo di oggi
Guardate di non disprezzare uno solo di questi piccoli.
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 18,1-5.10.12-14In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è più grande nel regno dei cieli?».
Allora chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse:
«In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me.
Guardate di non disprezzare uno solo di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli.
Che cosa vi pare? Se un uomo ha cento pecore e una di loro si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita? In verità io vi dico: se riesce a trovarla, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite. Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda.
Parola del Signore