Il commento al Vangelo di oggi è a cura dei padri Dehoniani.
B.V. Maria del Monte Carmelo (mem. facoltativa)
XV settimana del tempo ordinario
III Settimana del Salterio
Acque di vita
Nei capitoli iniziali dell’Esodo sono protagoniste le donne, figure di vita che si contrappongono agli uomini, in particolare al faraone, in cui ad agire è invece la morte. Anche se la liturgia omette quei versetti, vale la pena ricordare come le prime a opporsi agli ordini del faraone siano proprio le due levatrici degli ebrei, Sifra e Pua, che temono Dio anziché il potere del faraone. Di conseguenza disobbediscono all’ordine di far morire il neonato, se maschio (cf. Es 1,15-21). E le Scritture sante custodiscono e tramandano il loro nome, non quello del faraone, che rimane anonimo. Sono ricordati i nomi di coloro che generano la vita, non di coloro che producono violenza e morte. Questo è il tipico modo nel quale Dio agisce nella storia: attraverso figure deboli e indifese, fragili e marginali, come due donne, che sono nulla di fronte al potere del sovrano d’Egitto. Sono però donne e soprattutto levatrici: conoscono il segreto della vita, che il faraone ignora. E il segreto della vita, apparentemente più debole, alla fine risulterà più forte e vincente sul potere della morte.
Ancora più paradossale è che sia proprio la figlia del faraone a salvare Mosè dalla morte nelle acque del Nilo. L’ordine del faraone è raccapricciante, non solo per il suo contenuto – eliminare tutti i figli maschi degli ebrei – ma anche per il modo in cui decide l’eliminazione, come abbiamo ascoltato ieri: «Gettate nel Nilo ogni figlio maschio che nascerà» (1,22). Per l’Egitto il Nilo è il fiume della fecondità e della vita: grazie alle sue acque la terra riceve fertilità e il popolo può prosperare. Ecco il male radicale, che giunge a pervertire la realtà, trasformando luoghi di vita in luoghi di morte. È anche la più radicale opposizione a Dio, che è il Signore della vita. Dio agisce in modo opposto al faraone. Se questi trasforma i luoghi di vita in luoghi di morte, Dio suscita vita laddove il sovrano ha ordinato la morte, e lo fa peraltro attraverso colei che dal faraone ha preso vita, sua figlia. Anche in questo caso una donna, la cui vita conosce la stessa fecondità delle acque del Nilo. Dalle acque di una donna viene custodita e generata la vita, ed è una donna che torna a rendere il Nilo ciò che deve essere: acque che, anziché dare morte, generano vita. E sarà proprio lei, la figlia del faraone, a dare il nome a questo bambino, facendolo nascere una seconda volta.
Persino Mosè, diventato adulto, da maschio qual è, e da uomo potente, cresciuto alla corte del faraone, sarà tentato dalla stessa logica maschile della morte. Lo fa per motivi di giustizia, per difendere un ebreo dall’ingiusta violenza di un egiziano, ma rimane comunque prigioniero di logiche di morte, non di vita. Dio lo chiamerà a essere capo e giudice del suo popolo, ma in un modo del tutto diverso, non da uomo potente, che condivide la casa e la sovranità del faraone, ma da uomo debole, che condivide la schiavitù del suo popolo. Tale è l’agire misterioso di Dio: passa attraverso l’agire di donne e di schiavi, di persone deboli e marginali, persino perseguitate o esiliate, come lo diventa in questo momento Mosè, che deve lasciare la terra in cui è nato, la casa in cui è cresciuto, per inoltrarsi profugo nel territorio di Madian. Egli – precisa l’autore – «fuggì lontano dal faraone» (2,15). Si tratta di un allontanarsi che assume una cifra simbolica, per divenire segno della conversione che dovrà vivere: dovrà allontanarsi dalle logiche perverse del faraone, che sono logiche di potere e di morte, per aderire alle logiche di Dio, che al contrario sono logiche di libertà e di vita.
Questa è anche la conversione alla quale il Signore chiama le città del lago e, con loro, ogni comunità cristiana. A Corazin, a Betsaida, a Cafarnao Gesù ha operato segni di vita nuova, ma loro non si sono lasciate convertire (cf. Mt 11,21), rimanendo chiuse nella loro vita vecchia, segnata dalla morte. Se non si accoglie l’annuncio della vita, si precipita negli inferi, non perché il Signore ci condanni, ma perché è il nostro rifiuto della vita a lasciarci prigionieri della morte.
Signore, tu sei il Dio della vita e manifesti il tuo potere sovrano trasformando persino i luoghi della morte in luoghi di rinascita e di vita. Purificaci da tutto ciò che in noi ci rende prigionieri della morte e delle sue dinamiche. Liberaci dalla violenza che ferisce l’altro, dai mezzi sbagliati con i quali pretendiamo di conseguire fini giusti, dalla paura che ci costringe a servire il potere anziché renderci disponibili a servire la vita.
Leggi il Vangelo di oggi
Nel giorno del giudizio, Tiro e Sidòne e la terra di Sòdoma saranno trattate meno duramente di voi.
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 11, 20-24In quel tempo, Gesù si mise a rimproverare le città nelle quali era avvenuta la maggior parte dei suoi prodigi, perché non si erano convertite: «Guai a te, Corazìn! Guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidòne fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a voi, già da tempo esse, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, io vi dico: nel giorno del giudizio, Tiro e Sidòne saranno trattate meno duramente di voi.
E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai! Perché, se a Sòdoma fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a te, oggi essa esisterebbe ancora! Ebbene, io vi dico: nel giorno del giudizio, la terra di Sòdoma sarà trattata meno duramente di te!».Parola del Signore