Il commento al Vangelo di oggi è a cura dei padri Dehoniani.
XV settimana del tempo ordinario
III Settimana del Salterio
Il giogo del figlio
Entrambe le letture di questo giorno vanno tenute connesse a quanto abbiamo ascoltato ieri. L’Esodo ci conduce infatti nella seconda parte della rivelazione di Dio a Mosè presso il roveto ardente. Anche i versetti di Matteo non vanno separati da quanto la liturgia ha proclamato ieri. Il modo di stare di Gesù nella relazione con il Padre, come un piccolo e un povero che confida in ciò che riceve dalle sue mani, configura il modo in cui Gesù si relaziona con i suoi fratelli e sorelle, con umiltà e mitezza, portando insieme il loro giogo, dando riposo alle loro fatiche, liberandoli dalle loro oppressioni.
Quello nel quale crediamo è un Dio che libera, perché ascolta il grido degli oppressi, si prende cura del bisogno dei poveri, accoglie l’invocazione dei prigionieri. Non fa, peraltro, distinzioni o differenze tra le diverse oppressioni che gli umani possono sperimentare. Quella che gli israeliti patiscono in Egitto è una schiavitù politica ed esteriore. Sono schiavi di un sovrano che li tratta duramente, che avanza pretese ingiuste, fino a decretare la morte dei figli maschi. Gli stanchi e gli oppressi ai quali si rivolge Gesù sono gravati da pesi differenti. Probabilmente il giogo che li appesantisce fa riferimento al giogo della Torah, con le sue minuziose prescrizioni, che non soltanto curvano il credente sotto il loro peso ma soprattutto finiscono con il deformare, anzi addirittura sfigurare, il volto di Dio, il quale finisce con l’assomigliare al faraone. Un Dio-padrone, un Dio-sovrano che ci impone pesi difficili da portare, che ci costringe a curvarci sotto un gravame che non ci consente di stare in piedi davanti a lui. Viene falsificata l’immagine di Dio e di conseguenza è sfigurata la nostra immagine: da figli quali siamo diventiamo servi e schiavi.
Gesù ci libera, ci offre ristoro e riposo anzitutto perché ci rivela un volto completamente diverso di Dio. Non è il grande faraone, non è il padrone assoluto delle nostre vite, è un padre che, come ascoltavamo ieri, si compiace non di asservirci al suo potere, ma di rivelarci il suo mistero d’amore, donandoci tutto ciò di cui la nostra vita ha bisogno, e soprattutto la possibilità di vivere una relazione filiale, non più servile con lui. Il giogo che Gesù desidera portare con noi non è più quello della Torah, ma quello della relazione filiale. Quella relazione che lui per primo vive e che vuole condividere con noi. Questo è ciò che da lui dobbiamo imparare, accogliendo il suo invito di metterci alla sua scuola: dobbiamo imparare a essere figli come lui è figlio, a chiamare Dio Padre, in tutta la verità che questo appellativo ha, senza svuotarlo di senso o renderlo un che di formale.
Gesù è colui che condivide con noi il suo giogo. Suo non perché sia lui a imporcelo; suo perché è lui per primo a portarlo, nell’umiltà del suo modo di stare davanti a Dio, nella mitezza del suo relazionarsi con noi. Gesù condivide il giogo che lui per primo porta, e ciò che desidera è portarlo con noi, liberandoci dalla schiavitù di un Dio-faraone per introdurci nella relazione di un Dio di cui davvero possiamo gustare il calore e l’affetto di una paternità sincera. Il giogo di Gesù ci dice che Dio non è, come il faraone, sopra di noi né contro di noi. È con noi, come un Padre che genera suo figlio e rimane a lui legato da un vincolo di amore. Il nome misterioso e impronunciabile, rivelato a Mosè presso il roveto, il cui significato segreto affermava comunque la verità di una relazione, la promessa di un esserci, e di un essere-con, un essere-insieme, ora, in Gesù, diviene un nome pronunciabile. Un nome che assume addirittura la tenerezza e l’intimità di un vezzeggiativo: padre, abbà, papà! Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe è il Dio con noi; egli lega il suo nome al nostro. Uno stesso giogo ci appaia, come due buoi aggiogati insieme. Dio è il nostro Dio e noi siamo suoi. Nell’amore che libera, però, non nella schiavitù che imprigiona.
Padre, tu ti sei rivelato a Mosè e legando il tuo nome al suo, come avevi fatto con Abramo, con Isacco e Giacobbe, lo hai inviato perché donasse a Israele la libertà che tu vuoi. Tu ti sei rivelato nel tuo Figlio Gesù in modo pieno e definitivo, e lui ci ha insegnato che il tuo nome è Abbà. Donaci di saper portare il giogo che egli ci dona, quello della libertà filiale. Insegnaci a comprendere che non siamo più schiavi, ma neppure individui isolati e chiusi in se stessi. Siamo tuoi figli, tra di noi fratelli.
Leggi il Vangelo di oggi
Io sono mite e umile di cuore.
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 11, 28-30In quel tempo, Gesù disse:
«Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro.
Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».Parola del Signore