Commento al Vangelo di oggi, 24 Maggio 2019 – Gv 15, 12-17

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Il commento al Vangelo di oggi è a cura dei padri Dehoniani.
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Nella  pericope  giovannea  presente  nella  liturgia  della  Parola  di ieri  ci veniva  indicata  una  dimensione  fondamentale  dell’esperienza  cristiana: il  rimanere  nell’amore  di  Cristo,  l’essere  radicati in  quell’amore  di Gesù che  passa  attraverso  il  dono  della  vita  e ci rivela l’amore stesso del Padre. Oggi, nei versetti che seguono, siamo  chiamati  a  cogliere  lo  stesso amore  in  un’angolatura  diversa, in un certo senso più «incarnata». L’amore del Padre e del Figlio  donato  ai  discepoli  ha  un  luogo  di verifica nella  relazione fraterna,  ma  ad  alcune  condizioni,  che  si  rivelano anche come  la qualità profonda dell’amore fraterno: «Questo è il mio comandamento:  che  vi  amiate  gli  uni  gli  altri  come  io  ho  amato  voi. […]

Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 15,12.17). Anzitutto   la   qualità   dell’amore   fraterno   è   data   dall’avverbio «come». Qui non si parla di amore in modo generico e neppure delle  qualità  umane  dell’amore.  Si  parla  dell’amore  di  Cristo  per noi («come io ho amato voi»): esso diventa la misura e il criterio di discernimento per l’amore reciproco. E qual è la misura dell’amore di Cristo per noi? Dove sta il «come io ho amato voi»? Gesù lo chiarisce subito: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare  la  sua  vita  per  i  propri  amici»  (15,13).  La  misura  dell’amore di  Cristo  è  il  dono  della  vita,  è  la  croce  e,  dunque,  il  dono  della vita  per  gli  amici  diventa  paradigma  e  appello  ai  discepoli  a  essere pronti a compiere la stessa radicalità nel dono.

Questo ci rivelerebbe un’altra qualità dell’amore vicendevole. Certamente il dono di sé è una qualità dell’amore, ma forse qui Gesù, più che proporsi a modello di amore, parla di se stesso, evocando la sua morte come testimonianza suprema del proprio amore. L’assolutezza dell’amore di Gesù per i suoi deve allora motivare la fedeltà quotidiana del discepolo al comandamento  dell’amore  fraterno. Ma c’è un’altra qualità dell’amore vicendevole che forse ci può sorprendere. Per ben due volte esso  è  definito  «comando».  Si  può comandare l’amore? Si può legare l’amore all’obbedienza? L’amore richiama una relazione alla pari, reciproca, l’obbedienza invece una sottomissione.

Questa è la nostra reazione immediata alla parola di Gesù. Ma se si guarda più in profondità alla dinami   ca dell’amore, si deve ammettere che l’obbedienza dà all’amore una qualità che  potremmo  chiamare  «pasquale».  Il  dono  di  sé,  la gratuità, qualità fondamentali di un autentico amore, passano sempre attraverso un esodo da sé, una fatica, un’uscita dai propri schemi per obbedire alla realtà dell’altro, alla sua vita, ai suoi bisogni. In verità, obbedienza e amore vanno insieme. «Io  farò  tutto ciò che  vorrai»  non  significa  una  parola  da  subordinato, ma da innamorato. Il volere di colui che si ama diventa la legge dell’amante, scritta nel suo cuore.

Potremmo  scorgere  infine  un’ultima  qualità  dell’amore  vicendevole.  Essa  è  espressa  da  queste  parole  di  Gesù:  «Voi  siete  miei amici,  se  fate  ciò  che  io  vi  comando»  (15,14).  L’amore  che  lega Gesù e i discepoli è un amore di «amicizia», dunque un rapporto confidente tra persone, un dialogo. E questo rapporto amicale si esprime in tre dimensioni: in un’estrema dedizione (il dono della vita  per  gli  amici),  in  una  confidente  familiarità  e  in  una  scelta gratuita.  L’amicizia  di  Gesù  è  un  dono  che  trasforma  i  discepoli, liberandoli da ogni forma di servitù e donando loro quella libertà e  quella  vicinanza  con  Dio  che  li  rende  amici  di  Dio.  Se  la  scelta caratterizza  il  rapporto  di  amicizia,  tuttavia  non  rimane  chiusa  e autoreferenziale.

L’amicizia  che  connota  il  legame  di  Gesù  con  i discepoli  deve  essere  collocata  all’interno  del  progetto  del  Dio unico,  un  progetto  universale.  Se  Dio  ha  scelto  Israele,  questa scelta non è per il solo Israele, ma perché esso sia testimone davanti agli altri popoli. È ciò che Gesù dice ai suoi discepoli: «Non voi  avete  scelto  me,  ma  io  ho  scelto  voi  e  vi  ho  costituiti  perché  andiate  e  portiate  frutto  e  il  vostro  frutto  rimanga»  (15,16).

In  questa  prospettiva  l’amore  vicendevole  esce  dal  chiuso  della reciprocità  e  si  dilata,  spinge  a  una  partenza.  Ma  qual  è  il  frutto che  i  discepoli  devono  portare,  quel  frutto  che  rimane?  Il  frutto atteso  dai  discepoli,  il  frutto  che  rende  feconda  la  loro  vita  è  la dilatazione,  nel  mondo,  della  loro  fede  e  del  loro  amore;  in  essi continuerà  a  rivelarsi  agli  uomini  l’amore  stesso  del  Padre  e  del Figlio.

Signore Gesù, tu hai avuto l’umiltà e il coraggio di scegliere ciascuno di noi per farci tuoi discepoli. Hai guardato con misericordia la nostra povertà e l’hai trasformata con il tuo amore. Hai dato la vita per noi e ci hai chiamati amici. Non siamo stati noi a scegliere te; ma fa’ che ogni giorno possiamo scegliere di camminare con te.

Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri.

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 15, 12-17

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:

«Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici.

Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.

Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

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