Il commento al Vangelo di oggi è a cura dei padri Dehoniani.
S. Giacomo, apostolo (festa)
XVI settimana del tempo ordinario
IV Settimana del Salterio
Essere il primo
Mentre camminava lungo il mare di Galilea, Gesù vide «due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono» (Mt 4,21-22). Così l’evangelista Matteo ci narra la chiamata dell’apostolo Giacomo. Una risposta immediata alla chiamata di Gesù, senza ripensamenti, entusiasta. Tale è il carattere di Giacomo: diretto, impetuoso, ardente, tanto da meritare l’appellativo di «figlio del tuono» (cf. Mc 3,17).
Ama appassionatamente il suo Maestro, tanto da conoscere, assieme al fratello Giovanni e a Pietro, momenti di particolare intimità con Gesù, divenendo testimone della gloria della trasfigurazione, della risurrezione della figlia di Giairo, dell’agonia al Getsemani. Il volto sofferente di Cristo, l’esperienza dell’angosciata preghiera nell’orto degli Ulivi e la drammatica morte in croce trasformeranno radicalmente la vita di questo apostolo. Infatti Giacomo sarà il primo tra gli apostoli a seguire Gesù anche nella morte violenta, fatto uccidere di spada da Erode Agrippa a Gerusalemme (cf. At 12,2).
In questo apostolo si compiva quella parola profetica che Gesù un giorno gli aveva rivolto: anche lui, come discepolo fedele, avrebbe seguito il suo Maestro sino al martirio, bevendo il calice della passione. In questa morte violenta che configura Giacomo a Cristo, si è realizzata quella parola dell’apostolo Paolo ai corinzi: «… portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo» (2Cor 4,10).
Tuttavia l’apostolo Giacomo è giunto alla consapevolezza che il discepolo non può essere più grande del maestro solo dopo aver attraversato, nella sua sequela, dubbi e resistenze, solo dopo essersi scontrato con desideri e aspirazioni tutt’altro che conformi al cammino di Gesù. La profezia di Gesù sul martirio del discepolo avviene in risposta a una richiesta molto lontana dalla prospettiva di una morte violenta.
È una richiesta piena di pretese, degna di un meschino arrivista, tanto da esser messa in bocca alla madre di Giacomo e Giovanni, quasi che Matteo avesse un certo pudore a farla pronunciare direttamente dai due discepoli (come invece fa l’evangelista Marco). Ecco la richiesta fatta dalla madre dei figli di Zebedeo a Gesù: «Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno» (Mt 20,21). Gesù ha appena annunciato, per la terza volta, il suo destino che si compirà a Gerusalemme: il dono della propria vita nella passione e morte in croce e la risurrezione il terzo giorno. I discepoli non comprendono queste parole, le rimuovono dal loro cuore perché il loro orizzonte di aspettative è ben diverso.
E ciò che chiede la madre di Giacomo e Giovanni svela quali aspirazioni abitano nel cuore dei discepoli: la gloria, i primi posti, una grandezza umana. È la pretesa del potere che contrasta con la logica e la via scelta da Gesù, e che lui stesso rivelerà con queste parole: «Chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (20,26-28).
C’è certamente una gloria a cui il discepolo è chiamato a prendere parte; c’è un primo posto e una grandezza a cui il discepolo deve aspirare e per la quale deve giocare tutta la sua vita. È quella che passa attraverso la croce, attraverso la sequela di colui che dona la propria vita per i fratelli, attraverso l’umile servizio. Questa è l’unica via che il discepolo deve e può seguire; altrimenti cade in quella logica mondana che è caratterizzata dal dominio e dal potere: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dòminano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così» (20,2526). La grandezza da ricercare è l’anti-potere per eccellenza: è la grandezza di chi serve, di chi si fa schiavo, di chi è senza ruolo e senza prestigio, di chi sa donare la vita perché altri vivano. L’apostolo Giacomo alla fine lo ha compreso. Sulle sue labbra potremmo porre queste parole di Paolo: «In noi agisce la morte, in voi la vita» (2Cor 4,12). Questa è la grandezza del vero discepolo!
Signore, tu ci hai indicato la via del servizio umile ai fratelli stando in mezzo a noi come colui che serve. Libera il nostro cuore dall’orgoglio, dalla pretesa di stare al di sopra degli altri, dalla ricerca del primo posto. Rendici tuoi veri discepoli.
Leggi il Vangelo di oggi
Il mio calice, lo berrete.
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 20, 20-28In quel tempo, si avvicinò a Gesù la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Ed egli disse loro: «Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato».
Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli. Ma Gesù li chiamò a sé e disse: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dòminano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».Parola del Signore