Il commento al Vangelo di oggi è a cura dei padri Dehoniani.
Ss. Gioacchino e Anna, genitori della B.V. Maria (memoria)
XVI settimana del tempo ordinario
IV Settimana del Salterio
Il terreno buono
Abbiamo appena ascoltato nella liturgia della Parola la parabola del seminatore e del seme che cade su vari tipi di terreno, e siamo rimasti stupiti di fronte alla gratuità di questo contadino e alla tenacia di questo piccolo seme, che non si scoraggia di fronte agli ostacoli che incontra per la sua crescita, anche se il risultato finale, il frutto atteso, alla fine è molto diverso. Ora la spiegazione che Gesù dà alla parabola non solo ci rivela chi è il seminatore (Dio) e dove sta la forza del seme (è la parola del Regno), ma ci pone di fronte alla varietà dei terreni obbligandoci a un confronto con essi. La diversità con cui i terreni accolgono e fanno fruttare o meno il seme rivela la qualità del cuore dell’uomo. Tutti i terreni accolgono il seme; tutti ascoltano la parola del Regno.
Tuttavia un solo terreno dà la possibilità a questo seme di crescere e portare frutto. Gesù paragona questo terreno a «colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno» (Mt 13,23). Dunque non è sufficiente ascoltare la Parola, non basta accogliere il seme; è necessario vigilare sulla qualità del terreno, sulla qualità del cuore. La parola del Regno può essere minacciata, nel cuore dell’uomo, da tante forze e ostacoli che ne impediscono la crescita. Gesù ne elenca alcuni (cf. 13,19-22): il Maligno che «ruba ciò che è stato seminato» nel cuore; l’incostanza e la superficialità per cui «appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno»; e infine, «la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto».
L’efficacia della Parola non è messa in dubbio, ma è d’altra parte condizionata dal tipo di terreno in cui si imbatte. Se non scende in profondità, non può fecondare la vita dell’uomo. Spontaneamente, di fonte a questa parabola, ci paragoniamo a questo o a quel terreno, coscienti della nostra inadeguatezza di fronte alla Parola di Dio che viene seminata in noi, della nostra incapacità di custodirla, della nostra incostanza e superficialità, della nostra durezza. Forse scopriamo anche che il nostro cuore è un miscuglio di terreni sterili e fecondi, capace di accogliere la Parola e lasciarla germinare, ma anche resistente alla sua azione.
Tutte queste reazioni di fronte alla parabola sono vere e ci aiutano a verificare il nostro rapporto con la Parola di Dio. Ma forse rischiano di concentrare troppo l’attenzione su di noi e alla fine possono anche creare in noi tristezza e un certo senso di inadeguatezza: ma come possiamo essere quel terreno buono che «ascolta la Parola e la comprende» e «dà frutto e produce il cento, il sessanta e il trenta per uno» (13,23)? Il nostro sguardo deve spostarsi sugli altri due protagonisti della parabola: il seminatore e il seme.
Allora l’orizzonte che si apre davanti a noi allarga il nostro cuore, ci libera dall’angoscia di non essere mai all’altezza della Parola che Dio ci dona e ci riempie di speranza e fiducia. Si tratta di credere che il seme della Parola abbia la forza di cambiare la nostra vita, il nostro cuore, spezzando resistenze e durezze, e che Dio non cessi di donarci la sua Parola di vita, senza calcolo, in abbondanza. Se Dio, il seminatore, ci considera capaci di accogliere la sua Parola, la semina in noi anche quando scorge nel nostro cuore rovi e sassi, cioè se lui stesso ha fiducia in noi, perché mai dovremmo lasciarci prendere dallo sconforto? La fiducia che Dio ha in noi ci rende consapevoli che possiamo essere davvero un terreno buono, capace di far maturare quella vita che ci viene donata. Certo non viene annullata la nostra responsabilità. Sappiamo bene che molte realtà possono condizionare o soffocare quella fecondità nascosta in noi. Se il nostro cuore non è custodito, se è incostante, se si lascia catturare da preoccupazioni, se si lascia sedurre dal mondo, può bloccare la crescita del seme. Ma forse il seme della Parola, per la sua capacità di fare chiarezza, può anche aiutarci a scoprire nella verità ciò che abita il nostro cuore: e non solo rovi e sassi, ma anche quei desideri buoni che rendono feconda la nostra vita e che la trasformano in quel terreno buono capace di portare frutto.
Padre onnipotente, hai nascosto nella terra del nostro cuore la tua Parola come seme fecondo. Donaci la grazia di custodirla come il tesoro più prezioso, di farla crescere come albero di vita, e di raccogliere da essa il frutto che tu gradisci. Te lo chiediamo per Cristo, tua Parola vivente.
Leggi il Vangelo di oggi
Colui che ascolta la Parola e la comprende, questi dà frutto
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 13, 18-23In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».Parola del Signore.