Commento al Vangelo di oggi, 26 Luglio 2019 – Mt 13, 18-23

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Il commento al Vangelo di oggi è a cura dei padri Dehoniani.

Ss. Gioacchino e Anna, genitori della B.V. Maria (memoria)
XVI settimana del tempo ordinario
IV Settimana del Salterio

Il terreno buono

Abbiamo appena ascoltato nella liturgia della Parola la parabola del seminatore e del seme che cade su vari tipi di terreno, e siamo rimasti stupiti di fronte alla gratuità di questo contadino e alla tenacia di questo piccolo seme, che non si scoraggia di fronte agli ostacoli che incontra per la sua crescita, anche se il risultato finale, il frutto atteso, alla fine è molto diverso. Ora la spiegazione che Gesù dà alla parabola non solo ci rivela chi è il seminatore (Dio) e dove sta la forza del seme (è la parola del Regno), ma ci pone di fronte alla varietà dei terreni obbligandoci a un confronto con essi. La diversità con cui i terreni accolgono e fanno fruttare o meno il seme rivela la qualità del cuore dell’uomo. Tutti i terreni accolgono  il  seme;  tutti  ascoltano  la  parola  del  Regno.

Tuttavia un  solo  terreno  dà  la  possibilità  a  questo  seme  di  crescere  e portare frutto. Gesù paragona questo terreno a «colui che ascolta la  Parola  e  la  comprende;  questi  dà  frutto  e  produce  il  cento,  il sessanta, il trenta per uno» (Mt 13,23).  Dunque non è sufficiente ascoltare  la  Parola,  non  basta  accogliere  il  seme;  è  necessario vigilare sulla qualità del terreno, sulla qualità del cuore. La parola del  Regno  può  essere  minacciata,  nel  cuore  dell’uomo,  da  tante forze  e  ostacoli  che  ne  impediscono  la  crescita.  Gesù  ne  elenca alcuni  (cf.  13,19-22):  il  Maligno  che  «ruba  ciò  che  è  stato  seminato»  nel  cuore;  l’incostanza  e  la  superficialità  per  cui  «appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno»; e infine, «la preoccupazione del mondo e  la  seduzione  della  ricchezza  soffocano  la  Parola  ed  essa  non dà  frutto».

 L’efficacia  della  Parola  non  è  messa  in  dubbio,  ma  è d’altra parte condizionata dal tipo di terreno in cui si imbatte. Se non scende in profondità, non può fecondare la vita dell’uomo. Spontaneamente,  di  fonte  a  questa  parabola,  ci  paragoniamo  a questo  o  a  quel  terreno,  coscienti  della  nostra  inadeguatezza  di fronte  alla  Parola  di  Dio  che  viene  seminata  in  noi,  della  nostra incapacità  di  custodirla,  della  nostra  incostanza  e  superficialità, della  nostra  durezza.  Forse  scopriamo  anche  che  il  nostro  cuore è un miscuglio di terreni sterili e fecondi, capace di accogliere la Parola  e  lasciarla  germinare,  ma  anche  resistente  alla  sua  azione.

Tutte queste  reazioni  di  fronte  alla  parabola  sono  vere  e  ci aiutano  a  verificare  il  nostro  rapporto  con  la  Parola  di  Dio.  Ma forse rischiano di concentrare troppo l’attenzione su di noi e alla fine  possono  anche  creare  in  noi  tristezza  e  un  certo  senso  di inadeguatezza:  ma  come  possiamo  essere  quel  terreno  buono che «ascolta la Parola e la comprende» e «dà frutto e produce il cento,  il  sessanta  e  il  trenta  per  uno»  (13,23)?  Il  nostro  sguardo deve  spostarsi  sugli  altri  due  protagonisti  della  parabola:  il  seminatore  e  il  seme.

 Allora  l’orizzonte  che  si  apre  davanti  a  noi allarga  il  nostro  cuore,  ci  libera  dall’angoscia  di  non  essere  mai all’altezza della Parola che Dio ci dona e ci riempie di speranza e fiducia. Si tratta di credere che il seme della Parola abbia la forza di  cambiare  la  nostra  vita,  il  nostro  cuore,  spezzando  resistenze e  durezze,  e  che  Dio  non  cessi  di  donarci  la  sua  Parola  di  vita, senza calcolo, in abbondanza. Se Dio, il seminatore, ci considera capaci di accogliere la sua Parola, la semina in noi anche quando scorge nel nostro cuore rovi e sassi, cioè se lui stesso ha fiducia in  noi,  perché  mai  dovremmo  lasciarci  prendere  dallo  sconforto? La  fiducia  che  Dio  ha  in  noi  ci  rende  consapevoli  che  possiamo essere  davvero  un  terreno  buono,  capace  di  far  maturare  quella vita  che  ci  viene  donata.  Certo  non  viene  annullata  la  nostra responsabilità.  Sappiamo  bene  che  molte  realtà  possono  condizionare o soffocare quella fecondità nascosta in noi. Se il nostro cuore  non  è  custodito,  se  è  incostante,  se  si  lascia  catturare  da preoccupazioni,  se  si  lascia  sedurre  dal  mondo,  può  bloccare  la crescita del seme. Ma forse il seme della Parola, per la sua capacità di fare chiarezza, può anche aiutarci a scoprire nella verità ciò che abita il nostro cuore: e non solo rovi e sassi, ma anche quei desideri buoni che rendono feconda la nostra vita e che la trasformano in quel terreno buono capace di portare frutto.

Padre onnipotente, hai nascosto nella terra del nostro cuore la tua Parola come seme fecondo. Donaci la grazia di custodirla come il tesoro più prezioso, di farla crescere come albero di vita, e di raccogliere da essa il frutto che tu gradisci. Te lo chiediamo per Cristo, tua Parola vivente.

Leggi il Vangelo di oggi

Colui che ascolta la Parola e la comprende, questi dà frutto

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 13, 18-23

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».

Parola del Signore.

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