Commento al Vangelo di oggi, 28 Maggio 2019 – Gv 16, 5-11

C

Il commento al Vangelo di oggi è a cura dei padri Dehoniani.

VI settimana di Pasqua – II settimana del salterio

Liberi dalle catene

C’è una costante che caratterizza il cammino della Chiesa nella storia e che spesso il libro degli Atti sottolinea, soprattutto in rapporto all’annuncio dell’evangelo. Si  tratta  della  persecuzione e della sofferenza come occasione di apertura a percorsi di evangelizzazione inaspettati. Sembra quasi che la violenza, che mira a soffocare la Parola, ne sprigioni invece tutta la forza contagiosa, tanto che l’evangelizzazione è generata e matura grazie  a questa persecuzione: ciò che non ha nulla di ottimale per l’annuncio diventa invece occasione e forza per esso.

Umanamente questa situazione è paradossale, ma misteriosamente obbedisce alla logica di un Dio che opera con potenza nel momento in cui l’uomo sperimenta la sua debolezza e la sua impossibilità ad agire. È in qualche modo il ripetersi nella vita della Chiesa della dinamica pasquale: dalla morte alla vita, una forza che si rivela nella fragilità. E nella sofferenza la predicazione assume tutta la sua autenticità, perché diventa spazio reale in cui può risuonare, senza alcuna ambiguità, la «parola della croce». Così, purificata dalla sofferenza per Cristo, la parola del testimone assume una franchezza sorprendente.

È questa la dinamica dell’annuncio che possiamo scorgere nel racconto che ha come protagonisti Paolo e Sila. Ancora una volta Paolo, nel suo ministero di annuncio, sperimenta la sofferenza del  rifiuto  e  la  violenza  della  persecuzione.  Bastonato  e  gettato in carcere, l’apostolo sperimenta su di sé il mistero della passione  del  suo  Signore.  Apparendo  in  visione  ad  Anania,  il  Signore aveva  preannunciato  le  sofferenze  che  avrebbero  accompagnato il  cammino  di  Paolo:  «Io  gli  mostrerò  quanto  dovrà  soffrire  per il  mio  nome»  (At  9,16).

Ma  proprio  in  questa  esperienza  di  radicale  debolezza,  vissuta  nell’affidamento  della  preghiera,  Paolo sperimenta la potenza di un Dio che interviene per salvare il suo servo:  «D’improvviso  venne  un  terremoto  così  forte  che  furono scosse  le  fondamenta  della  prigione;  subito  si  aprirono  tutte  le porte e caddero le catene di tutti» (16,26). Come ha condiviso la passione  del  Signore  Gesù,  così  ora  Paolo  ne  condivide  la  forza della  risurrezione;  si  rivela  in  pienezza  il  mistero  della  Pasqua, del passaggio dalla morte alla vita.

Ma ciò che sorprende in questo racconto è il fatto che questa esperienza di liberazione sia contagiosa. Essa diventa apertura alla fede anche per coloro che sono lontani, addirittura per coloro che appaiono come i persecutori. E così, anche per colui che teneva in catene l’apostolo, si opera paradossalmente una passaggio dalla morte alla vita, una «pasqua» che spalanca la porta alla fede liberando l’uomo dalle catene della paura e dell’incredulità.

È la vicenda singolare del carceriere che aveva cura di Paolo e degli altri prigionieri. Temendo la fuga dei prigionieri dopo ciò che era accaduto, il carceriere decide di uccidersi. Potrebbe essere il simbolo dell’uomo che non ha speranza di fronte ai fallimenti della  vita,  l’uomo  che  non  crede  che  qualcuno  possa  aprirgli  un cammino  diverso  di  vita.  Questa  strada  senza  sbocco  trova  improvvisamente  un’apertura  grazie  a  una  parola  che  dà  sicurezza e  consolazione.  Paolo  grida  al  carceriere:  «Non  farti  del  male, siamo  tutti  qui»  (16,28).

C’è  una  possibilità  di  salvezza:  la  vita può  aprirsi  a  cammini  di  speranza.  E  questa  porta  aperta  che  fa passare  dalla  morte  alla  vita  è  la  fede  in  Cristo  morto  e  risorto. Stupenda  è  l’immediata  reazione  del  carceriere  a  quel  grido  di Paolo: «Signori, che cosa devo fare per essere salvato?» (16,30). Il  grido  di  Paolo  è  come  uno  scossone,  un’apertura  inaspettata che  risveglia  nel  cuore  dell’uomo  il  bisogno  della  salvezza,  della vita.  E  l’annuncio  dell’evangelo  è  la  risposta  a  questo  bisogno profondo  di  pienezza  e  di  vita:  «“Credi  nel  Signore  Gesù  e  sarai salvato tu e la tua famiglia”. E proclamarono la parola del Signore a lui e a tutti quelli della sua casa» (16,31-32).

Ciò che il libro degli Atti ci racconta continua a ripetersi in tanti modi nell’annuncio della Chiesa e nella vita di ogni comunità cristiana. Oggi, tanti uomini e donne delusi e disperati aspettano questo grido che li chiama alla vita. E non dobbiamo mai dimenticare che spesso il luogo in cui deve risuonare questo grido è quello della sofferenza e della debolezza; solo lì può risuonare con forza la parola della croce.

Signore Gesù, a volte siamo tristi perché non riusciamo a scorgerti presente accanto a noi. La nostra testimonianza ci sembra debole e infeconda. Ma tu non ci hai lasciati mai soli di fronte al mondo; ci hai donato il tuo Spirito, il Consolatore. Rendici consapevoli che solo la sua testimonianza può far risuonare nel nostro cuore quel grido di speranza che apre alla vita.

Se non me ne vado, non verrà a voi il Paraclito.

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 16, 5-11

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Ora vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: “Dove vai?”. Anzi, perché vi ho detto questo, la tristezza ha riempito il vostro cuore.
Ma io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito; se invece me ne vado, lo manderò a voi.
E quando sarà venuto, dimostrerà la colpa del mondo riguardo al peccato, alla giustizia e al giudizio. Riguardo al peccato, perché non credono in me; riguardo alla giustizia, perché vado al Padre e non mi vedrete più; riguardo al giudizio, perché il principe di questo mondo è già condannato».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

Commenti

16 + 15 =

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.