Il commento al Vangelo di oggi è a cura dei padri Dehoniani.
VI settimana di Pasqua – II settimana del salterio
Liberi dalle catene
C’è una costante che caratterizza il cammino della Chiesa nella storia e che spesso il libro degli Atti sottolinea, soprattutto in rapporto all’annuncio dell’evangelo. Si tratta della persecuzione e della sofferenza come occasione di apertura a percorsi di evangelizzazione inaspettati. Sembra quasi che la violenza, che mira a soffocare la Parola, ne sprigioni invece tutta la forza contagiosa, tanto che l’evangelizzazione è generata e matura grazie a questa persecuzione: ciò che non ha nulla di ottimale per l’annuncio diventa invece occasione e forza per esso.
Umanamente questa situazione è paradossale, ma misteriosamente obbedisce alla logica di un Dio che opera con potenza nel momento in cui l’uomo sperimenta la sua debolezza e la sua impossibilità ad agire. È in qualche modo il ripetersi nella vita della Chiesa della dinamica pasquale: dalla morte alla vita, una forza che si rivela nella fragilità. E nella sofferenza la predicazione assume tutta la sua autenticità, perché diventa spazio reale in cui può risuonare, senza alcuna ambiguità, la «parola della croce». Così, purificata dalla sofferenza per Cristo, la parola del testimone assume una franchezza sorprendente.
È questa la dinamica dell’annuncio che possiamo scorgere nel racconto che ha come protagonisti Paolo e Sila. Ancora una volta Paolo, nel suo ministero di annuncio, sperimenta la sofferenza del rifiuto e la violenza della persecuzione. Bastonato e gettato in carcere, l’apostolo sperimenta su di sé il mistero della passione del suo Signore. Apparendo in visione ad Anania, il Signore aveva preannunciato le sofferenze che avrebbero accompagnato il cammino di Paolo: «Io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome» (At 9,16).
Ma proprio in questa esperienza di radicale debolezza, vissuta nell’affidamento della preghiera, Paolo sperimenta la potenza di un Dio che interviene per salvare il suo servo: «D’improvviso venne un terremoto così forte che furono scosse le fondamenta della prigione; subito si aprirono tutte le porte e caddero le catene di tutti» (16,26). Come ha condiviso la passione del Signore Gesù, così ora Paolo ne condivide la forza della risurrezione; si rivela in pienezza il mistero della Pasqua, del passaggio dalla morte alla vita.
Ma ciò che sorprende in questo racconto è il fatto che questa esperienza di liberazione sia contagiosa. Essa diventa apertura alla fede anche per coloro che sono lontani, addirittura per coloro che appaiono come i persecutori. E così, anche per colui che teneva in catene l’apostolo, si opera paradossalmente una passaggio dalla morte alla vita, una «pasqua» che spalanca la porta alla fede liberando l’uomo dalle catene della paura e dell’incredulità.
È la vicenda singolare del carceriere che aveva cura di Paolo e degli altri prigionieri. Temendo la fuga dei prigionieri dopo ciò che era accaduto, il carceriere decide di uccidersi. Potrebbe essere il simbolo dell’uomo che non ha speranza di fronte ai fallimenti della vita, l’uomo che non crede che qualcuno possa aprirgli un cammino diverso di vita. Questa strada senza sbocco trova improvvisamente un’apertura grazie a una parola che dà sicurezza e consolazione. Paolo grida al carceriere: «Non farti del male, siamo tutti qui» (16,28).
C’è una possibilità di salvezza: la vita può aprirsi a cammini di speranza. E questa porta aperta che fa passare dalla morte alla vita è la fede in Cristo morto e risorto. Stupenda è l’immediata reazione del carceriere a quel grido di Paolo: «Signori, che cosa devo fare per essere salvato?» (16,30). Il grido di Paolo è come uno scossone, un’apertura inaspettata che risveglia nel cuore dell’uomo il bisogno della salvezza, della vita. E l’annuncio dell’evangelo è la risposta a questo bisogno profondo di pienezza e di vita: «“Credi nel Signore Gesù e sarai salvato tu e la tua famiglia”. E proclamarono la parola del Signore a lui e a tutti quelli della sua casa» (16,31-32).
Ciò che il libro degli Atti ci racconta continua a ripetersi in tanti modi nell’annuncio della Chiesa e nella vita di ogni comunità cristiana. Oggi, tanti uomini e donne delusi e disperati aspettano questo grido che li chiama alla vita. E non dobbiamo mai dimenticare che spesso il luogo in cui deve risuonare questo grido è quello della sofferenza e della debolezza; solo lì può risuonare con forza la parola della croce.
Signore Gesù, a volte siamo tristi perché non riusciamo a scorgerti presente accanto a noi. La nostra testimonianza ci sembra debole e infeconda. Ma tu non ci hai lasciati mai soli di fronte al mondo; ci hai donato il tuo Spirito, il Consolatore. Rendici consapevoli che solo la sua testimonianza può far risuonare nel nostro cuore quel grido di speranza che apre alla vita.
Se non me ne vado, non verrà a voi il Paraclito.
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 16, 5-11In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Ora vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: “Dove vai?”. Anzi, perché vi ho detto questo, la tristezza ha riempito il vostro cuore.
Ma io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito; se invece me ne vado, lo manderò a voi.
E quando sarà venuto, dimostrerà la colpa del mondo riguardo al peccato, alla giustizia e al giudizio. Riguardo al peccato, perché non credono in me; riguardo alla giustizia, perché vado al Padre e non mi vedrete più; riguardo al giudizio, perché il principe di questo mondo è già condannato».C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.