Commento al Vangelo di oggi, 29 Giugno 2019 – Mt 16, 13-19

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Il commento al Vangelo di oggi è a cura dei padri Dehoniani.

Ss. Pietro e Paolo, apostoli (solennità)

XII settimana del tempo ordinario
Proprio

Una testimonianza nella carità

Fin dall’antichità, la tradizione iconografica cristiana ha scelto di rappresentare gli apostoli Pietro e Paolo assieme, in modo qua  si speculare, mettendoli così in una particolare relazione con la Chiesa, e soprattutto con Cristo. Spesso collocati l’uno di fronte all’altro, aprono i due gruppi degli apostoli nelle rappresentazioni dell’Ascensione e della Pentecoste, oppure li ritroviamo in questa posizione nelle raffigurazioni del collegio apostolico. In molti affreschi sono raffigurati mentre reggono l’edificio simbolico della Chiesa oppure in un abbraccio fraterno, segno di quella carità   che deve animare incessantemente la vita dei discepoli di Cristo.

Perché questa insistenza, espressa dalla tradizione liturgica e iconografica della Chiesa, di rappresentare assieme questi due apostoli? Certamente questi due apostoli hanno avuto un grande rilievo nella vita della Chiesa fin dalle origini e hanno reso la loro testimonianza a Cristo nella stessa città, Roma. Ma rappresentare assieme Pietro e Paolo è anzitutto una scelta ecclesiale, un modo significativo di concepire la Chiesa. La Chiesa è comunione, è espressione visibile di quell’unità nella diversità che è il mistero stesso di Dio; non è fatta di figure solitarie che dominano e catturano in se stesse la pienezza dei carismi. La diversità dei ruoli   di Pietro e di Paolo nella vita della Chiesa e nell’annuncio dell’evangelo deve essere salvaguardata, ma sempre nella comunione e nella complementarità.

La Chiesa ha incessantemente bisogno, per il proprio dinamismo e per la sua crescita, di due principi di   cui Pietro e Paolo sono le figure simboliche: il ministero dell’autorità al servizio della comunione e dell’unità e il carisma della profezia, nell’ascolto attento dello Spirito che apre continuamen te frontiere e cammini per l’annuncio dell’evangelo. Ma pur nella diversità dei ministeri che  questi  due  apostoli  rappresentano,  c’è un elemento che unisce profondamente la loro esperienza di discepoli: è l’amore appassionato e senza riserve che essi hanno nutrito per Gesù, per colui che all’improvviso li ha incontrati e afferrati sul cammino della loro vita, per colui che li ha pazientemente plasmati chiamandoli alla sua sequela, per colui che li    ha amati offrendo per essi il dono della sua vita. Pietro e Paolo sono per ciascuno di noi, per tutta la Chiesa, un’icona vivente di questo amore appassionato per Cristo.

Ci soffermiamo solo sull’esperienza di Paolo. La chiamata di Paolo  alla  sequela  rivela  il  tessuto  profondo  di  quest’uomo:  è  radicale  e  ha  bisogno  di  essere  messo  con  le  spalle  al  muro,  di esser buttato giù dal suo piedistallo per convincersi di chi lo sta chiamando  (cf.  il  racconto  riportato  in  Gal  1,11-20,  la  seconda lettura della messa vespertina). Paolo è l’uomo che ha una reale forza  di  intelletto,  di  spirito;  è  un  combattente  che  ha  bisogno di misurarsi con la forza di un altro, riconoscere che l’altro è più forte  di  lui  e  accettare  la  propria  debolezza.  E  quest’altro  che  lo vince è Cristo. E dal momento in cui Paolo apre gli occhi alla luce di  Cristo,  sarà  radicalmente  e  totalmente  per  Cristo.

Se  alla  fine della  sua  vita,  da  buon  lottatore,  potrà  dire:  «Ho  combattuto  la buona  battaglia,  ho  terminato  la  corsa,  ho  conservato  la  fede» (2Tm 4,7), dirà queste parole non tanto a partire dalla sua forza, ma  dalla  consapevolezza  che  qualcuno  lo  ha  afferrato  per  pura grazia, lo ha preso in mano e lo ha ricostruito con la forza del suo amore,  trasformandolo  in  testimone  della  debolezza  della  croce, quella  parola  in  cui  si  rivela  la  potenza  di  Dio:  «Il  Signore  però mi  è  stato  vicino  e  mi  ha  dato  forza,  perché  io  potessi  portare  a compimento l’annuncio del Vangelo […]. Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli» (4,17-18).

Credo sia proprio questa la testimonianza che Pietro e Paolo ci danno assieme dal giorno in cui la loro vita è stata trasformata dall’incontro con Cristo: è nella nostra umanità che Gesù pone incondizionata fiducia ed è con questa umanità, che noi spesso sentiamo debole e insicura oppure resistente e ribelle all’azione della grazia, che Gesù vuole costruire la sua Chiesa.

O Padre, la forza della fede di Pietro sostenga la tua Chiesa. Il fuoco della parola di Paolo infiammi il suo annuncio. L’amore con cui il tuo Figlio ha accolto la debolezza dei tuoi apostoli renda sempre la tua Chiesa umile strumento di perdono e di misericordia.

Leggi il Vangelo di oggi

Tu sei Pietro, a te darò le chiavi del regno dei cieli.

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 16, 13-19

In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti».

Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».

E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».

Parola del Signore

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