Commento al Vangelo di oggi, 3 Luglio 2019 – Gv 20, 24-29

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Il commento al Vangelo di oggi è a cura dei padri Dehoniani.

S. Tommaso, apostolo (festa)

XIII settimana del tempo ordinario
Proprio

Gemello

Possiamo dire che la figura dell’apostolo Tommaso abita il nostro immaginario  discepolare  quasi  per  farci  sentire  meno  soli  nella inevitabile  fatica  a  credere.  Questo  apostolo  ci  diventa  particolarmente caro, quando ci sembra troppo arduo ricominciare a credere  nonostante  la delusione  e  il  rammarico.  Tommaso  diventa  per ciascun  discepolo  un compagno  di  viaggio  con  cui  ci  si  sente  a proprio  agio.

Con  questo  apostolo  ci  si  sente  più  alla  pari,  tanto che  possiamo considerarlo  come  il  «Didimo-gemello»  di  ciascuno di noi. La sua capacità di manifestare fino in fondo il proprio disappunto, fino a dichiarare apertamente la sua mancanza di fiducia, ci fa sentire meno strani nel nostro bisogno di protesta che talora ci spinge persino a impuntarci: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la  mia  mano  nel  suo  fianco,  io  non  credo»  (Gv  20,25).

Celebrare la  sua  festa  è  l’occasione  per  dare  spazio  alla  parte  di  noi  che crede  con  fatica  e  fatica  a  credere  senza  perdere  la  fede.  Poiché la fede,  passata  e  purificata  nel  crogiolo  del  mistero  pasquale,  è radicalmente provata dall’esperienza del fallimento di ogni immaginazione messianica. Solo così può diventare una fede di relazione personale: «Mio Signore e mio Dio!» (20,28). Tutta la forza di questa  professione  post-pasquale  sta  nell’aggettivo  possessivo  che diventa,  come  già  per  Maria di  Magdala  nel  giardino  della  tomba vuota, un aggettivo di intimità.

Ogni esperienza di intimità obbliga sempre a fare i conti con la ricchezza e la povertà di una relazione. Il  voler  vedere  di  Tommaso  è  una  scuola  di fede  piuttosto  che un  segno  di  incredulità.  Le  garanzie  che  Tommaso richiede,  e  le condizioni  che  mette  alla  sua  adesione  personale  a quanto  gli altri discepoli gli raccontano, riguardano se stesso e lo riguardano in  prima  persona.  Da  buon  ebreo  Tommaso  ha  un  così  grande rispetto per Dio da non poter concedere la sua adesione di fede a chicchessia  e  a  qualsivoglia  condizione.

Così  pure,  ha  rispetto  di se  stesso  per  timore  e  amore  del  Creatore.  La fede  non  solo  non è  contraria  alle  esigenze  dell’intelligenza,  ma  esige l’uso  e  lo  sviluppo della ragione. Come spiega mons. Bouchez: «La fede non è pura irrazionalità. Salto nel vuoto e nell’assurdo, slancio di una coscienza cieca, movimento puramente affettivo, fiducia disordinata, “fideismo” come si direbbe oggi».

1 Tommaso ci ricorda che la fede non  è  adesione  a  una  notizia  credibile per  l’autorità  di  chi  ce  la trasmette – oggi potrebbero essere i mass media di ogni genere – ma è un rischio personale. Si tratta di un’adesione che passa per una revisione generosa delle proprie posizioni e una rilettura onesta  delle  proprie  ferite  nella  relazione  con  se  stessi,  con  gli  altri, con Dio. Il contatto diretto e intimo con le piaghe del Risorto non ci crocifigge  nel  complesso  di  colpa.

Il  tocco  che  il  Crocifisso  vivente ci dona di sperimentare risuscita in noi una nuova possibile forma  di  relazione  personale.  La  profondità dell’intimità  ritrovata ci  permette  di  essere  edificati  sul  medesimo «fondamento»  (Ef 2,20), ma insieme agli altri. Come dimenticare che l’intimità rovente con il Cristo risorto ci rende veramente e durevolmente fratelli!

Signore risorto, donaci di accogliere serenamente il discepolo gemello che portiamo dentro di noi e fa’ che la nostra adesione di fede sia l’esperienza più intima e vera di cui siamo capaci e di cui siamo desiderosi. Non lasciare che siamo discepoli seriali, ma discepoli unici.

1   R. Bouchez, Il est la résurrection et la vie, Parole et Silence, 2007, 85.

Leggi il Vangelo di oggi

Mio Signore e mio Dio!

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 20, 24-29

Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

Parola del Signore

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