Il commento al Vangelo di oggi è a cura dei padri Dehoniani.
Domenica di Pentecoste (solennità)
Indice
VII settimana di Pasqua – III settimana del salterio
Altre lingue
Il racconto della torre di Babele, con cui la liturgia ci introduce nel mistero della Pentecoste attraverso la celebrazione vigiliare, offre una cornice suggestiva per orientare i nostri cuori all’accoglienza di quel frutto pasquale che, a tutti i rinati in Cristo, è già offerto pienamente nel dono del battesimo: «… e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi» (At 2,4).La possibilità di non confinare la vita in «un’unica lingua e uniche parole» (Gen 11,1) viene restituita «all’improvviso» (At 2,2) a quanti, riuniti «insieme» (2,1) nel comune ricordo del Signore Gesù, stanno in attesa del compimento della sua promessa: «Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26). Ci si potrebbe chiedere in che cosa i discepoli dovessero ancora essere istruiti e, soprattutto, a quale ricordo avessero bisogno di rimanere agganciati.
Collocando la Pentecoste dentro la cornice del racconto di Babele, potremmo dire che forse i discepoli non erano ancora usciti dal sogno prometeico, cioè dall’illusione che Cristo con la sua vittoria pasquale avrebbe ricostruito una nuova «torre» – e un «regno» (At 1,6) – per Israele, capace di garantire alla stirpe di Abramo quel «nome» apparentemente indispensabile «per non disperderci su tutta la terra» (Gen 11,4).
Pur segnati ancora da queste prospettive idolatriche, ancora incapaci di testimoniare la paradossale forza del Regno, i discepoli sono però rimasti «perseveranti e concordi nella preghiera» (At 1,14), uniti «nello spezzare il pane» (2,42). Questa comunione di cuori concordi e di corpi raccolti in una memoria condivisa è sufficiente a offrire un primo e parziale riscatto di quel tentativo antico di stare in un luogo «la cui cima tocchi il cielo» (Gen 11,4). Se nel racconto di Babele gli uomini avevano voltato le spalle a Dio, emigrando dall’Oriente (cf. 11,2), ora è proprio verso il luogo in cui il sole fedelmente (ri)sorge, che la comunità dei credenti rivolge ogni attesa e ogni preghiera. Non è più una sterminata «pianura» (Gen 11,2) il luogo del comune ritrovo, ma una semplice «casa» (At 2,2), dove c’è spazio sufficiente per condividere una grande speranza, senza che nessuno possa più sentirsi solo:
«E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi» (Rm 8,11).
Il «luogo» dove si accede alla grazia della Pentecoste è uno spazio di relazioni in cui nessuno ha più bisogno di farsi e di imporre un nome davanti agli altri, perché ciascuno si sente ormai investito di una nuova e profonda dignità, in grado di irrobustire tutte le fibre del cuore: «E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi» (8,15). Sopra una comunità di uomini poveri irrompe improvvisamente la forza dell’amore di Dio, con l’impeto leggero e intenso con cui avvengono le più autentiche trasformazioni della nostra umanità: «Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue» (At 2,3-4).
Attraverso una presenza forte come il vento, incandescente come il fuoco e potente come un linguaggio, gli apostoli di Cristo diventano uomini di annuncio e strumenti di comunione, al punto che tutti i «Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo» (2,5), quel giorno riescono ad ascoltare le «grandi opere di Dio» (2,11) dalle loro labbra. Mentre la torre di Babele si era trasformata in un luogo di confusione e di solitudine, la casa ricolma della memoria e dell’amore di Dio diventa una sorgente di amicizia, comunione, evangelizzazione. L’unica lingua, figlia di paura ed egoismo, è sostituita da tante lingue, frutto di amore e di accoglienza. Poiché infiniti sono i linguaggi con cui sa comunicare chi vede Dio come Padre e l’altro come fratello. In questa espansione di umanità – sempre – trova compimento la pasqua di Cristo.
Signore risorto, noi cerchiamo sicurezza e riconoscimento nel modo univoco che la nostra storia di dispersione, di solitudine, di appropriazione continua a suggerirci. Ma tu colma i nostri cuori di Spirito Santo: ci renda capaci di parlare le altre lingue della condivisione e della fraternità, di tradurre in altre lingue il nostro desiderio di amare.
Leggi il Vangelo di oggi
Lo Spirito Santo vi insegnerà ogni cosa.
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 14, 15-16.23b-26In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre.
Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».Parola del Signore