Commento al Vangelo di oggi, 9 Giugno 2019 – Gv 14, 15-16.23b-26

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Il commento al Vangelo di oggi è a cura dei padri Dehoniani.

Domenica di Pentecoste (solennità)

VII settimana di Pasqua – III settimana del salterio

Altre lingue

Il racconto della torre di Babele, con cui la liturgia ci introduce nel mistero della Pentecoste attraverso la celebrazione vigiliare, offre una cornice suggestiva per orientare i nostri cuori all’accoglienza di  quel  frutto  pasquale  che,  a  tutti  i  rinati  in  Cristo,  è  già  offerto pienamente nel dono del battesimo: «… e tutti furono colmati di Spirito  Santo  e  cominciarono  a  parlare  in  altre  lingue,  nel  modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi» (At 2,4).

La  possibilità  di  non  confinare  la  vita  in  «un’unica  lingua  e  uniche  parole»  (Gen  11,1)  viene  restituita  «all’improvviso»  (At  2,2) a  quanti,  riuniti  «insieme»  (2,1)  nel  comune  ricordo  del  Signore Gesù, stanno in attesa del compimento della sua promessa: «Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui  vi  insegnerà  ogni  cosa  e  vi  ricorderà  tutto  ciò  che  io  vi  ho detto» (Gv 14,26). Ci si potrebbe chiedere in che cosa i discepoli dovessero  ancora  essere  istruiti  e,  soprattutto,  a  quale  ricordo avessero bisogno di rimanere agganciati.

Collocando la Pentecoste dentro la cornice del racconto di Babele, potremmo dire che forse i discepoli non erano ancora usciti dal sogno prometeico, cioè dall’illusione che Cristo con la sua vittoria pasquale avrebbe ricostruito una nuova «torre» – e un «regno»  (At  1,6)  –  per  Israele,  capace  di  garantire  alla  stirpe  di Abramo  quel  «nome»  apparentemente  indispensabile  «per  non disperderci su tutta la terra» (Gen 11,4).

Pur  segnati  ancora  da  queste  prospettive  idolatriche,  ancora  incapaci di testimoniare la paradossale forza del Regno, i discepoli sono  però  rimasti  «perseveranti  e  concordi  nella  preghiera»  (At 1,14),  uniti  «nello  spezzare  il  pane»  (2,42).  Questa  comunione di  cuori  concordi  e  di  corpi  raccolti  in  una  memoria  condivisa  è sufficiente  a  offrire  un  primo  e  parziale  riscatto  di  quel  tentativo antico di stare in un luogo «la cui cima tocchi il cielo» (Gen 11,4). Se  nel  racconto  di  Babele  gli  uomini  avevano  voltato  le  spalle  a Dio, emigrando dall’Oriente (cf. 11,2), ora è proprio verso il luogo in  cui  il  sole  fedelmente  (ri)sorge,  che  la  comunità  dei  credenti rivolge  ogni  attesa  e  ogni  preghiera.  Non  è  più  una  sterminata «pianura»  (Gen  11,2)  il  luogo  del  comune  ritrovo,  ma  una  semplice  «casa»  (At  2,2),  dove  c’è  spazio  sufficiente  per  condividere una grande speranza, senza che nessuno possa più sentirsi solo:

«E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri  corpi  mortali  per  mezzo  del  suo  Spirito  che  abita  in  voi» (Rm 8,11).

Il «luogo» dove si accede alla grazia della Pentecoste è uno spazio di relazioni in cui nessuno ha più bisogno di farsi e di imporre  un  nome  davanti  agli  altri,  perché  ciascuno  si  sente  ormai investito di una nuova e profonda dignità, in grado di irrobustire tutte  le  fibre  del  cuore:  «E  voi  non  avete  ricevuto  uno  spirito da  schiavi  per  ricadere  nella  paura,  ma  avete  ricevuto  lo  Spirito che  rende  figli  adottivi»  (8,15).  Sopra  una  comunità  di  uomini poveri  irrompe  improvvisamente  la  forza  dell’amore  di  Dio,  con l’impeto  leggero  e  intenso  con  cui  avvengono  le  più  autentiche trasformazioni della nostra umanità: «Apparvero loro lingue come di  fuoco,  che  si  dividevano,  e  si  posarono  su  ciascuno  di  loro, e  tutti  furono  colmati  di  Spirito  Santo  e  cominciarono  a  parlare in  altre  lingue»  (At  2,3-4).

Attraverso  una  presenza  forte  come  il vento,  incandescente  come  il  fuoco  e  potente  come  un  linguaggio,  gli  apostoli  di  Cristo  diventano  uomini  di  annuncio  e  strumenti  di  comunione,  al  punto  che  tutti  i  «Giudei  osservanti,  di ogni  nazione  che  è  sotto  il  cielo»  (2,5),  quel  giorno  riescono  ad ascoltare le «grandi opere di Dio» (2,11) dalle loro labbra. Mentre la  torre  di  Babele  si  era  trasformata  in  un  luogo  di  confusione  e di  solitudine,  la  casa  ricolma  della  memoria  e  dell’amore  di  Dio diventa  una  sorgente  di  amicizia,  comunione,  evangelizzazione. L’unica  lingua,  figlia  di  paura  ed  egoismo,  è  sostituita  da  tante lingue, frutto di amore e di accoglienza. Poiché infiniti sono i linguaggi  con  cui  sa  comunicare  chi  vede  Dio  come  Padre  e  l’altro come fratello. In questa espansione di umanità – sempre – trova compimento la pasqua di Cristo.

Signore risorto, noi cerchiamo sicurezza e riconoscimento nel modo univoco che la nostra storia di dispersione, di solitudine, di appropriazione continua a suggerirci. Ma tu colma i nostri cuori di Spirito Santo: ci renda capaci di parlare le altre lingue della condivisione e della fraternità, di tradurre in altre lingue il nostro desiderio di amare.

Leggi il Vangelo di oggi

Lo Spirito Santo vi insegnerà ogni cosa.

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 14, 15-16.23b-26

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre.
Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».

Parola del Signore

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