Commento alle letture del 6 Ottobre 2018 – Dehoniane

C

S. Bruno, monaco (memoria facoltativa)

Lodare in ogni tempo

A distanza di pochi giorni torniamo ad ascoltare la preghiera di lode e di benedizione che Gesù innalza al Padre. Dopo averla meditata nella versione di Matteo, torniamo ad ascoltarla nella versione di Luca. Il confronto tra i due vangeli consente di cogliere una differenza importante: il differente contesto esistenziale in cui Gesù innalza al Padre il suo inno di lode.

In Matteo appare evidente che la situazione che Gesù sta vivendo è colorata dalle tonalità scure del rifiuto, dell’incomprensione, della diffidenza. Gesù sta sperimentando il primo rigetto da parte di quel popolo al quale il Padre lo ha inviato, e soprattutto da parte dei suoi capi. In Luca il contesto è più positivo e luminoso. I settantadue discepoli sono tornati dalla loro missione pieni di gioia, perché il loro operato è stato fecondo ed efficace. Anche i demoni si sono loro sottomessi nel nome di Gesù (cf. Lc 10,17).

Ebbene, le due prospettive, proprio nella loro diversità, sono preziose, se le accostiamo l’una all’altra. Matteo e Luca, infatti, con il loro diverso modo di raccontare, ci  aiutano  a  comprendere che Gesù rimaneva capace di lodare e ringraziare il Padre, sia quando le cose andavano bene, sia quando andavano meno bene, o deludevano le attese, frustravano le speranze. Tanto di fronte all’esperienza del successo, quanto di fronte a quella del fallimento, Gesù rimane capace di lode, perché comunque si lascia sorprendere dal modo di agire del Padre, anche se è, anzi soprattutto se è, diverso da come egli stesso lo aveva presupposto e immaginato.

Da dove nasce questo atteggiamento? Da cosa è generato? Lo intuiamo dalle parole che Gesù rivolge ai discepoli, invitandoli  a rallegrarsi non perché i demoni si sottomettevano a loro, ma perché i loro nomi erano «scritti nei cieli» (10,20). Per Gesù fondamentale non è il successo del proprio operato, o di quello dei discepoli, ma la qualità di relazione e la profondità di comunione con il Padre che è nei cieli, che esso permette di attuare. A Gesù non interessa il successo o il fallimento; non sta lì a calcolare i risultati prodotti dal proprio agire, i frutti che ha saputo generare. Ciò che gli interessa è agire in comunione con il Padre, in obbedienza alla sua parola, secondo i suoi criteri di discernimento e di giudizio. Per questo motivo rimane capace di lode e di ringraziamento tanto nei tempi del successo quanto in quelli dell’insuccesso. Il suo bene, la sua felicità e beatitudine, dipendono infatti dalla relazione che intrattiene con Dio, e del cui agire vuole rimanere trasparenza, al di là del calcolo di ciò che è in grado di produrre, o dei risultati che riesce a conseguire.

Questo è ciò che Gesù desidera per sé e per i suoi discepoli. Anche per noi. È anche ciò che Giobbe giunge a riconoscere, al termine della sua terribile prova. Non trova molte risposte al perché di ciò che ha dovuto patire. Ed è bene che sia così: il male non ha giustificazioni plausibili. È l’assurdo, il non senso. Se non fosse così, se avesse un significato, se fossimo in grado di trovargli una giustificazione, non sarebbe più il male, diventerebbe qualcosa d’altro e di diverso. Ciò che Giobbe comprende è che Dio è innocente, e che anche lui è rimasto innocente e giusto davanti a Dio, nonostante tutte le parole degli amici, che lo inducevano a riconoscersi colpevole. Soprattutto, ciò che Giobbe giunge a comprendere è che Dio non è rimasto lontano o indifferente, ma era presente nella sua prova e l’ha condivisa con lui. Ora gli occhi di Giobbe possono vedere il Signore. Giobbe può cioè comprendere che è possibile vivere anche l’esperienza terribile della prova, del dolore, del male senza senso, rimanendo in comunione con il Signore, perché il Signore rimane comunque vicino alla nostra vita. Allora, anche le parole della maledizione, che pure Giobbe è giunto a pronunciare contro Dio, possono trasformarsi nelle parole della benedizione. Quelle che Gesù innalza al Padre.

Padre, siamo sempre smaniosi di calcolare i frutti del nostro impegno, di vedere e verificare la fecondità dei nostri sforzi. Tu ci chiedi di distogliere lo sguardo da tutto questo, per alzarlo verso il cielo, fissarlo in te. Infatti, è la comunione con il tuo amore che dobbiamo desiderare, non il successo delle nostre imprese. Converti il nostro cuore e il nostro sguardo, perché i nostri occhi imparino a gioire per la bellezza della tua rivelazione.

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Vangelo

Lc 10, 17-24
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, i settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome».
Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».
In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo».
E, rivolto ai discepoli, in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

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