Carlo Miglietta – Commento al Vangelo di domenica 27 Marzo 2022

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LA SALVEZZA È GRATUITA

La parabola del “figliol prodigo” o meglio, come viene ora chiamata, del “padre misericordioso” o del “padre modello”, è stata definita “la perla delle parabole”, “il Vangelo del Vangelo”.

Molto spesso questa parabola è stata letta come un cammino di conversione indicato ai discepoli. In realtà al suo centro c’è la teologia di Paolo, di cui Luca era collaboratore e medico, sulla giustificazione per la sola grazia di Dio e non per le opere della Legge, e la difficoltà da parte della componente giudeo-cristiana della prima Chiesa di accettare che fosse annunciata ai pagani una salvezza che non passava più dall’osservanza della Legge di Israele ma solo dall’adesione a Gesù. Fu un processo lento, laborioso e non certo indolore passare da una religiosità fatta di osservanza a prescrizioni e decreti a una Fede in un Dio Misericordia che gratuitamente salva tutti, ebrei e pagani, buoni e cattivi, giusti e peccatori.

Analizziamone la splendida dinamica. Sconcertante è l’atteggiamento del padre: “A una logica elementare la sua può apparire più incoscienza che bontà, ma egli rifiuta persino di indagare sui progetti, sulle intenzioni del secondogenito. Il suo comportamento rischia di essere tacciato di debolezza, è invece solo frutto di un grande (cieco) amore” (O. da Spinetoli). Il padre della parabola  non fa nessuna minaccia, non lancia nessuna scomunica: gli lascia aperta la porta del suo amore. Il figlio prodigo, giunto al fondo del suo percorso di abiezione, è attirato dall’amore e dalla dolcezza della casa paterna, anche se neanche lui ha compreso fino a dove arriverà la bontà del genitore, e spera di poter rientrare in casa al massimo come servo. Letteralmente il testo afferma: “Essendomi alzato (anastàs) andrò da mio padre” (Lc 15,18): si usa il verbo anìstemi, il verbo della resurrezione, che in greco si dice anàstasis, e che il padre riprenderà al v. 24. Tornare al Padre è risorgere, e la resurrezione è proprio la partecipazione piena alla vita del Padre.

Ma perché decide di tornare? Per interesse: “Io qui muoio di fame!” (Lc 15,17). Siamo abituati a meditare su questa parabola prima del sacramento della Riconciliazione o in occasione di qualche liturgia penitenziale: ma “bisogna subito sfatare una mitologia che vede in questo «ritorno / rientro in sé» il principio di una conversione, al punto di presentare il «figliol prodigo» come modello del convertito. Non è così…! Il figlio non pensa al padre e al suo dolore, non è pentito di ciò che ha scelto e fatto. Egli, di fronte a tutte le porte chiuse, intravede una sola possibilità: usare e sfruttare ancora una volta il padre… Il momento della conversione è ancora lontano. Avverrà solo quando la gratuità di cui si era preso gioco lo avvolgerà del tutto nuovo: allora non avrà nemmeno bisogno di chiedere perdono, perché il perdono personificato dal padre lo aspettava già, prima ancora che lui partisse” (P. Farinella).

La salvezza non avviene per i nostri meriti ma solo per l’infinita misericordia di Dio!

IL PADRE PRODIGO!

“Il padre commosso gli corse incontro” (Lc 15,20): per la cultura orientale un padre, o chiunque eserciti l’autorità, che si metta a correre perde la sua onorabilità (Sir 19,27; Pr 19,2). Inoltre “il figlio è un guardiano dei porci, è impuro. Ebbene, il padre gli si getta al collo lo stesso… Il padre accetta di prendersi la lordura, l’impurità del figlio, pur di trasmettergli la vita” (A. Maggi).

Il figlio comincia a recitare la formula di pentimento che aveva precedentemente elaborato, ma “il padre… non lo lascia finire…, impazzito di gioia: «Questo mio figlio era morto… ed è risuscitato! Era perduto… ed è stato ritrovato! Mio figlio! Mio figlio!»” (R. Reviglio). “I Vangeli fanno capire che la cosa più inutile è chiedere perdono a Dio: mai Gesù invita i peccatori a chiedere perdono a Dio, perché Dio mai perdona, perché mai si sente offeso. Dio è amore e concede il suo amore a tutti, indipendentemente dalla loro condotta. Se è vero che mai Gesù invita a chiedere perdono a Dio, insistentemente invita gli uomini a chiedere perdono agli altri” (A. Maggi).       

Le azioni poi che il Padre compie verso il figlio prodigo ci lasciano davvero stupefatti. Il figlio dissoluto non solo viene immediatamente riammesso in casa, ma è anche subito reintegrato in tutti i diritti di prima, con un vero rito di investitura, attraverso tre simboli: la veste, segno di dignità, l’anello al dito, cioè il sigillo, con cui il figlio poteva compiere tutti gli atti giuridici e amministrativi (era la firma sul conto bancario, la carta di credito a valenza illimitata, era il libretto degli assegni), e i calzari, segno di adozione filiale (Dt 25,7-10). Il figliol prodigo è ora ufficialmente proclamato Signore, Padrone, e colui che darà una discendenza al padre. 

È ben comprensibile la reazione del figlio maggiore, il quale vede il restante capitale ora ridiviso in due, e che a lui, sempre ligio al lavoro e all’obbedienza nella casa paterna, toccherà ormai solo un quarto dei beni che il padre aveva all’inizio. Il figlio maggiore si sente profondamente leso nei suoi diritti: se facesse ricorso a qualunque tribunale contro questa abnorme ripartizione ereditaria, vincerebbe certamente la causa. Ma la logica del Padre non è quella della giustizia umana: è quella dell’amore, del perdono incondizionato, della grazia assoluta.

Il Padre è modello di Amore anche verso il figlio perbenista e giustizialista: “Il padre allora uscì a pregarlo (parekàlei)” (Lc 15,28). Fa lui il primo passo, uscendogli incontro; inoltre egli, che non aveva fatto nessun discorso al figlio minore quando questi se ne voleva andare, ora supplica, scongiura il primogenito a recedere dal suo irrigidimento.

Luca non ci suggerisce nessun epilogo della storia. Forse perché vuole ricordare a tutti i suoi ascoltatori che ciascuno di noi può essere sia il figlio dissoluto e peccatore che il fratello giustizialista che non lascia spazio alla misericordia del Padre. Forse in ciascuno di noi ci sono tutte e due queste dimensioni.

“Il primo passo di ogni conversione è proprio il rivedere l’idea che ci facciamo di Dio: non è un controllore esoso e vendicativo, ma una casa accogliente dove si fa festa con musica e danze” (D. Pezzini). “Di «prodigo», esagerato, qui c’è solo il Padre” (P. Curtaz).

Carlo Miglietta