Sono tantissimi gli elementi di riflessione che questo conosciutissimo e splendido brano di Vangelo ci suggerisce.
Gesù è sulla via che dalla Galilea sale verso Gerusalemme, la meta del viaggio da lui intrapreso con grande decisione (Lc 9,51). Una tappa di questo viaggio è la città di Gerico, zona di confine della provincia romana della Giudea. Mentre Gesù sta attraversando Gerico, entra in scena Zaccheo. “Egli è «un uomo» (Lv 19,2), questa la sua qualità primaria: l’evangelista la evidenzia subito, per chiarire ciò che il protagonista principale del racconto” (E. Bianchi).
Innanzitutto ci troviamo di fronte ad un ricco piccolo, basso. Non solo è un pubblicano, ma un “capo dei pubblicani”, una specie di boss mafioso, il prototipo del peccatore.
La ricchezza non è tutto, non risolve tutti i problemi. Zaccheo è un tracagnotto che per vedere Gesù deve salire su un albero. I suoi soldi non lo privilegiano nell’incontro con il Signore. Anzi per lui occorre uno sforzo supplementare. Ma Zaccheo non ha paura di esporsi al ridicolo: immaginatevi la reazione degli astanti che vedono un uomo importante, un “capo-bastone”, arrampicarsi su un albero…
Zaccheo è desideroso di incontrare il Signore. Non solo è salito su un albero, ma prima si è messo a correre in “avanti” (Lc 19,4), perché il suo cuore ardentemente desiderava vedere Gesù. La sequela del Signore è sempre camminare dietro a Gesù (Lc 7,38; 9,23; 14,27): qui è l’unico caso nei Vangeli in cui qualcuno addirittura lo sorpassa, pieno di zelo!
C’è quindi la disponibilità dell’uomo, ma è sempre il Signore che chiama. È quasi umoristico che Gesù che tante volte levò lo sguardo al cielo come segno di relazione con il Padre (Mc 6,41; Mt 14,19; Lc 9,16; Mc 7,34; Gv 17,1), questa volta alzi lo sguardo e trovi un peccatore su un albero. Gesù lo chiama e si autoinvita a casa sua.
“Gesù vede in lui. Gesù sa andare oltre l’opinione comune, è capace di sentire in grande, di vedere in profondità: vede un uomo dove gli altri vedono solo un delinquente, coglie in ogni suo interlocutore la condizione di essere umano, senza alcuna prevenzione. Il suo nome è Zakkaj, che significa «puro, innocente»: ironia della sorte oppure un altro particolare che ci dice tra le righe ciò che solo Gesù sa vedere in lui?” (E. Bianchi).
Gesù gli dice di scendere “subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua” (Lc 19,5): e poi dirà: “Oggi la salvezza è entrata in questa casa” (Lc 19,9). La risposta alla chiamata va data subito, nell’“oggi”: “Oggi, nella città di David, è nato per voi un Salvatore” (Lc 2,11), annunciano gli angeli ai pastori; “Oggi questa Scrittura si compie nei vostri orecchi” (Lc 4,21), proclama Gesù nella sinagoga di Nazaret; “Oggi con me sarai nel paradiso” (Lc 23,43), promette Gesù dalla croce al buon ladrone. Non possiamo rimandare la conversione ad altra occasione. È da oggi che devo cambiare la mia vita.
Com’è bella l’accoglienza di Zaccheo: è quella di un uomo “pieno di gioia” (Lc 19,6). Zaccheo ha intuito che il Vangelo del Signore è davvero “Lieta notizia”, che seguire Cristo significa entrare in una dimensione di letizia, di felicità, di beatitudine senza fine. Come diceva Sant’Agostino: “Nessuno ci fa felici più che Dio”. Zaccheo ho capito che non sono i soldi a dare la felicità, ma che è l’accoglienza del Signore e del suo Vangelo.
Si noti che Gesù non chiede la conversione di Zaccheo prima di andare da lui. È Dio che fa sempre il primo passo, il suo perdono precede la nostra conversione, il suo amore la nostra risposta d’amore, siamo giustificati gratuitamente in virtù dell’incontro con Cristo, non per le nostre opere, come dirà splendidamente San Paolo nella Lettera ai Romani: “Ora invece, indipendentemente dalla Legge, si è manifestata la giustizia di Dio… per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. Infatti non c’è differenza, perché tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù” (Rm 3,21-25).
I soliti religiosi perbenisti si oppongono al Cristo e si scandalizzano che vada a pranzo da un peccatore. Per gli ebrei consumare un pasto insieme non era solo un gesto banale, ma indicava profonda comunione. Nell’Apocalisse si legge, per indicare un’intimità assoluta: “Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20),
Eppure i Rabbini insegnavano (Talmud Babilonese, Sanhedrin, 25b): “Nessuno si incontri con il peccatore, neanche per condurlo allo studio della Legge”. Il problema infatti non era solo che Gesù avesse delle frequentazioni poco raccomandabili, ma che stando con esse contraesse quell’impurità legale che lo rendeva inidoneo al culto. Gli scribi dei farisei ne erano quindi scandalizzati e “dicevano ai suoi discepoli: «Come mai egli mangia e beve in compagnia dei pubblicani e dei peccatori?»” (Mc 2,16).
Gesù, per stare con i fratelli più bisognosi, non ha paura di rendersi egli stesso “impuro”. E’ questa la sua missione, che Paolo descrive con quelle che i teologi chiamano le “formule paradossali dell’Incarnazione”: “Da ricco che era si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (2 Cor 8,9); “Ciò che era impossibile alla legge, perché la carne la rendeva impotente, Dio lo ha reso possibile: mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e in vista del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne, perché la giustizia della legge si adempisse in noi” (Rm 8,3-4); “Colui che non aveva conosciuto peccato, per noi egli (Dio) lo ha fatto peccato, affinché diventassimo giustizia di Dio in lui” (2 Cor 5,21); “Cristo ci ha riscattato dalla maledizione della legge essendo divenuto per noi maledizione” (Gal 3,13-14); “Dio mandò suo Figlio, nato da una donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, affinché ricevessimo l’adozione filiale” (Gal 4,4-5). Per amore degli uomini, quindi, Gesù non esita a diventare “povero”, “in una carne simile a quella del peccato”, a farsi “peccato”, “maledizione”…
La Legge ordinava: “Quando una donna abbia flusso di sangue, cioè il flusso nel suo corpo, la sua immondezza durerà sette giorni; chiunque la toccherà sarà immondo fino alla sera” (Lv 15.19.25). Ma Gesù si lascia toccare da “una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia” (Mc 5,25): “E non solo si lascia toccare di nascosto, come aveva tentato di fare la donna, ma chiede ad alta voce: «Chi mi ha toccato?» (Mc 5,30); e così proclama a tutti che lui si è lasciato toccare da questa donna e non gli importa nulla dell’impurità legale” (G. Ferretti). Così si lascia toccare e baciare, a casa di Simone “il lebbroso”, da una donna “peccatrice” (Mc 14,3-9; Lc 7,39). Gesù tocca i lebbrosi per guarirli (Mc 1,40-45), rompendo la segregazione legale a cui erano costretti, facendoli risorgere dalla loro morte sociale (Lv 13,45-46)… La Legge imponeva: “Se uno commette adulterio…, l’adultero e l’adultera dovranno esser messi a morte” (Lv 20,10). Gesù invece accoglie l’adultera perdonandola e rimandandola in pace (Gv 8,1-11), invece di lapidarla come comandava la Legge (Dt 22,22-24).
Zaccheo subito capisce che accogliere il Signore significa accogliere i fratelli. Egli era un pubblicano, cioè riscuoteva le tasse per conto dei Romani, e il suo guadagno nasceva dalla cresta che poneva sulla quota che l’oppressore romano gli chiedeva annualmente di portargli. Zaccheo fa una scelta radicale: non solo condivide metà dei suoi beni con i poveri, ma risarcisce quattro volte tanto quelli a cui ha fatto il pizzo. In altre parole, si spoglia totalmente dei suoi beni.
Si noti come la sua affermazione, più che sembrare una limitazione della donazione ai poveri, è invece chiara attestazione del primato della giustizia sulla beneficenza. Egli potrà dare ai poveri solo quando avrà fatto giustizia dei beni fraudolentemente accumulati. È anche da sottolineare che all’atto di giustizia egli accompagna anche una forte espiazione: il restituire quattro volte tanto, che nella Torah è richiesto in un solo caso, quello del furto di un montone (Es 21,37), e nella legge romana solo per i “furta manifesta”, quelli di pubblico scandalo.
Gesù festeggia questa conversione, proclamando ancora una volta di non essere colui che è venuto a giudicare o condannare il mondo, ma colui che è venuto a salvare tutti, affinché nessuno si perda (Lc 19.9-10). “Gesù non è venuto per i più bravi, per coloro che sono giudicati i migliori. Egli è qui per aiutarci nella nostra fragilità e povertà, per correggere coloro che sbagliano, per riportare sulla strada giusta quelli che si stanno smarrendo lungo i sentieri interrotti del nostro tempo, per coloro ancora che si sentono indegni di accedere alla maestà di Dio. Glorifichiamo la sua clemenza e lasciamoci guidare da lui verso la meta della gioia e della pace” (C. M. Martini). Dice Gesù: “Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori” (Mt 9,13); e addirittura: “Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo” (Gv 12,47).
“Attraverso la morte del Figlio in croce… Dio stesso, nelle sue relazioni d’amore…, abbraccia nella sua amicizia tutti gli uomini più lontani da lui e apre la sua vita anche ai peccatori. Più nessuno rimane «fuori della porta» perché Dio è morto proprio «fuori della porta» e non nel tempio frequentato dai pii… La benevolenza divina s’intenerisce mostrando una lacrima di riconciliazione e di attrazione verso l’umanità intera” (A. Fontana).
Carlo Miglietta