Commento alle letture del 7 Ottobre 2018 – Dehoniane

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XXVII domenica del tempo ordinario

XXVII settimana del tempo ordinario II settimana del salterio

Una sola carne

Oggi la liturgia domenicale ci propone di fissare lo sguardo sul mistero dell’unità e della comunione, colte nella luce di una duplice e complementare prospettiva. La prima lettura, tratta da Genesi 2, ci chiede di indugiare sul desiderio di Dio: «Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda» (Gen 2,18). Potremmo intendere: che stia davanti a lui, ad altezza di volto. Adamo non può trovarlo nelle altre creature, nei riguardi delle quali deve esercitare il compito, affidatogli da Dio stesso, di imporre il nome.

Questa immagine evoca, nel linguaggio biblico, l’idea di un dominio, di una superiorità. Nelle creature alle quali impone il nome Adamo non potrà trovare un aiuto che gli corrisponda, proprio perché il rapporto che instaura con loro segue una logica di superiorità e non di pari dignità. L’aiuto lo potrà incontrare solamente rinunciando a ogni pretesa di dominio, come simboleggia il sonno al quale si abbandona. A questa creatura non sarà lui a imporre il nome; lo riceverà da altrove: «La si chiamerà donna, perché dall’uomo è stata tolta» (2,23). L’incontro autentico avviene quando Adamo, abbandonando le logiche del potere e del dominio, abbraccia quelle del dono. Dio dona Eva ad Adamo, ma attraverso la ferita che apre nel suo costato, la quale simboleggia che la vita stessa di Adamo deve aprirsi alla logica del dono. Adamo riceve Eva nel momento in cui diventa lui stesso un donatore, reso tale dall’agire di Dio. Ed è significativa la parabola che questa pagina ci fa percorrere: all’inizio Dio promette ad Adamo, per colmare la sua solitudine, un aiuto che gli stia davanti; alla fine del brano, la promessa diviene possibilità di una radicale comunione.

Eva non è solo colei che sta davanti ad Adamo; diviene colei con la quale Adamo può diventare «un’unica carne» (2,24). Le due dinamiche sono inseparabili: si può vivere una comunione vera, fino a divenire una sola carne, solo là dove ci si sa riconoscere l’uno davanti all’altra, nella pari dignità, vincendo ogni tentazione di reciproco dominio o sottomissione. C’è però una seconda forma di comunione che la liturgia della Parola ci rivela. L’autore della Lettera agli Ebrei afferma che «colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli» (Eb 2,11). Qui viene evocato il mistero dell’incarnazione, nel quale il Figlio di Dio scende nella nostra umanità e prende la nostra carne. È lui ora a divenire una sola carne con noi. Si compie in modo definitivo l’alleanza; Dio sposa fedelmente la nostra umanità. Egli diviene il nostro Dio e noi siamo il suo popolo, in un’indissolubilità nuziale.

Le due linee della comunione, che la liturgia ci ricorda, in questo modo si intersecano, e l’una fonda l’altra e la rende possibile. È nell’amore fedele e fecondo con cui Dio, nel Figlio, diviene una sola carne con noi, che un uomo e una donna possono divenire,  in modo altrettanto fedele e fecondo, una sola carne. E l’essere una sola carne dell’uomo e della donna diviene segno trasparente e testimonianza credibile dell’amore fedele e fecondo di Dio  per il suo popolo, per l’umanità intera.

Quando Gesù afferma: «Dunque l’uomo non divida quello che  Dio ha congiunto» (Mc 10,9), non si limita a imporre un precetto  da osservare. Ricorda piuttosto che è questo agire di Dio in noi, questa presenza del suo amore, che nel Figlio venuto nella nostra carne ha raggiunto il culmine della sua rivelazione e della sua efficacia, a congiungere l’uomo e la donna e a rendere possibile  la fedeltà e la perseveranza della loro unione. Più che un precetto da osservare, è un dono da accogliere perché fruttifichi nella nostra vita. Potremo farlo se sapremo riceverlo con l’atteggiamento di Adamo, che dorme e riposa nella fiducia in Dio; o con l’atteggiamento dei bambini, che accolgono il Regno confidando nella fecondità dell’agire amorevole di Dio, non nella conquista dei propri sforzi umani.

Padre santo e misericordioso, noi ti benediciamo per il tuo amore fedele, che desidera consolare le nostre solitudini e donarci la possibilità di dimorare e riposare nella comunione. Tu desideri che noi non separiamo ciò che tu unisci. Aiutaci a comprendere e a credere che il tuo dono è più forte e fedele di tutte le fatiche, incomprensioni, paure, diffidenze, che noi possiamo sperimentare, e che così spesso compromettono in molti modi i nostri legami.

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