Nel lungo periodo di preparazione alla Pasqua del Signore, periodo di raccoglimento e preghiera per custodire la promessa del Padre, la liturgia oggi ci invita alla festa, per non dimenticare che l’amore è un dono e l’incontro con Dio è un abbraccio avvolgente, perché siamo tutti creature imperfette accolte nella gioia.
Il perdono è il più grande dei doni, perché nasce nell’alveo della tenerezza di un amore premuroso e fedele (v. 20), che dona la libertà dei figli (v. 22) ed apre ad una vita nuova (v. 24).
Sembra ugualmente dedicata ai due fratelli questa parabola, perché tutti e due non conoscono il Padre, ma va riconosciuto, che stando ai versetti introduttivi e al finale aperto riguardo al fratello maggiore, è proprio a lui che sono indirizzate le parole più accorate di questo Padre buono.
Con dolcezza (v. 31: tèknon, figliolo) il fratello maggiore è esortato ad uscire dalla logica retributiva per accogliere quella del dono, perché a nulla vale un rapporto alimentato esclusivamente dal senso del dovere e soffocato dagli obblighi. Non può esserci fede / affidamento se si conta sulle proprie forze.
Solo il perdono è capace di sanare le ferite e ristabilire i rapporti, occorre fare esperienza della propria debolezza per incontrare il Padre e riconoscersi figli.
Si è figli solo dopo aver sentito l’abbraccio del Padre che accoglie le differenze e le fragilità, rendendole luogo di comunione, in quanto rivelatrici della stessa istanza di amore, perdono, libertà.
Se si è figli, si è anche fratelli: l’invito è a rifuggire la tentazione dell’esclusivismo e dello scandalo di fronte ad un amore talmente grande da abbracciare tutti, anche quelli dell’ultima ora (Mt 20, 1-16).
Occorre sapersi riconciliare con le proprie fragilità, riconoscendo che solo affidandole al Signore possiamo sentirci trasfigurati e divenire capaci di guardarle per addomesticarle e conviverci. Allora il nostro cammino incontro al Signore sarà umanamente bello, ammetterà i limiti di cui è connaturato ma sarà anche capace di aspirare al faccia a faccia con Dio.
Soprattutto sarà un cammino insieme agli altri, si misurerà con la pazienza, riconoscerà che il lavoro più serio va fatto nei confronti del male di cui siamo capaci noi stessi, senza arroccamenti sull’inaccettabilità di quello commesso dal fratello.
La ricomposizione della vicenda del fratello minore sta proprio in questa capacità di guardare in faccia il male commesso (vv. 18-19.21); egli ha agito secondo la logica dell’accaparramento, è un peccatore riconosciuto, il suo male è dinanzi a tutti, ma per questo vi è una trasparenza relazionale che può aprire all’ascolto e alla conversione.
Conversione che nasce dal perdono, non dal pentimento (v. 20): il perdono è una vera esperienza di salvezza che inaugura una vita nuova nella comunione (vv. 23-24: occorre fare festa perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita).
Di più: Dio Tramite Cristo ci ha riconciliati a sé e ci ha reso ambasciatori del perdono affidando a noi la riconciliazione reciproca (II lettura): v. 32 “occorre fare festa perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita”.
Non sappiamo se il fratello maggiore sia entrato a festeggiare. Complessa la conversione di chi si sente “vicino” ma ha il cuore altrove. Inammissibili e nascoste agli altri sono le proprie imperfezioni, perché radicate sono le convinzioni, ci si sente giusti, si reclama giustizia. Si è indisponibili all’ascolto.
Se saremo capaci di accogliere il perdono già donato dal Padre tramite il Figlio, saremo veramente figli e fratelli. E potremo gustare la vita in pienezza, desiderare giorni felici, partecipare alla festa.
Monica
Fonte: Comunità Kairos