Agli esordi della sua vita pubblica, abbiamo seguito in Luca un Gesù che offre la sua interpretazione della Scrittura di sabato in sabato, prima nella sinagoga di Nazaret, poi nella sinagoga di Cafarnao e nelle varie sinagoghe galileiche. E’ partita da qui per l’evangelista la corsa della parola: dai luoghi istituzionali dell’ascolto della Torah. Tutto il capitolo quarto, iniziando dal tu per tu con l’avversario nel deserto, e a seguire in Galilea, è dunque risuonato della Parola.
Ma ora c’è una svolta. Dopo aver sperimentato il rifiuto dell’ascolto (a Nazaret) e la reazione isterica dello spirito cattivo che si acquatta indisturbato tra i rotoli della tradizione (a Cafarnao), la Parola di Gesù inizia a risuonare all’aperto, sulla riva del lago, nei territori della vita. Parola in uscita, tra lavoro e ferialità. Parola richiesta dalle folle, che gli si addossano non alla ricerca di guarigione, ma affamate di una buona notizia per i loro bisogni profondi, di un lieto annuncio di salvezza che avviene nella persona del nuovo rabbi. “Ecco, verranno giorni in cui manderò la fame nel paese; non fame di pane né sete di acqua, ma di ascoltare le parole del Signore” (Am 8, 11). E questa Parola percorre la prima parte del brano, dalla ricerca di uno spazio onorevole per la sua proclamazione, realizzata poi sulla barca di Simone, cattedra inusitata per un insegnare inusitato, sino al saziare di sé le folle sedute a terra, come il giorno in cui saranno saziate di pane.
Qui, a questo punto del racconto, in una sequenza forse più realistica1, Luca sposta la Vocazione dei primi apostoli, o meglio, del primo apostolo. Infatti, da parola per tutti, ora diventa parola che interpella un riluttante Simone, con un invito che gli appare assurdo: lui, già tornato deluso a riva, e a mani vuote, dalla rituale pesca notturna, “Maestro, non abbiamo preso nulla”, si sente ora sfidato ad una inversione di rotta. Eppure, nell’amarezza del fallimento, proverà a fidarsi di questa parola di autorità (rema), ad ascoltarla nel profondo, dove viene invitato. Credere al vangelo è fidarsi di lui, di questo predicatore che irrita le sinagoghe, ma affascina i poveri, che trovano nelle sue parole e nei suoi gesti la risposta al loro bisogno di vita. Simone è già irretito dal fascino di Gesù, di colui a cui un giorno confesserà: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna” (Gv 6,68).
Allora l’obbedienza alla sua parola dà spazio all’opera grande del Signore. Alla luce di colui che è con loro, la pesca si rivela stupefacente, frutto di sinergia: la parola di Gesù, divenuta efficace nella fede operosa di Simone, apre la rivelazione del divino. Ed ancora continua a bruciare Simone, a leggergli dentro, portando a galla tutto il suo umano carico d’inadeguatezza e di fallimento. Solo in essa, infatti, si diventa consapevoli di peccato. Allora davanti l’epifania di Dio in quel Maestro, riconosciuto ora col titolo di Signore, Simone ha uno scatto contraddittorio. Da un lato gli si avvicina, gettandosi alle sue ginocchia, dall’altro tenta di respingerlo, perché non si può vedere Dio e sopravvivere.
«Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono … eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore delle schiere», dice Isaia (6,5). Così, nel pronunziare le parole di un’ultima resistenza, “esci da me” 2, Simone (per la prima volta chiamato anche Pietro3), riconosce che Gesù, entrando nella sua barca, ha preso possesso della sua vita, del suo destino. La sua parola si è impadronita di lui per sempre. E a questa consapevolezza offre accoglienza il Signore con un misericordioso “Non temere”, la stessa rassicurazione dell’angelo a Zaccaria e a Maria, davanti eventi che cambieranno loro la vita. Perché la tua storia continua, convertita e veramente realizzata in un futuro aperto. Contrariamente a Marco che accentua il valore trasformante del suo invito alla sequela (“vi farò diventare pescatori di uomini” 1,17), Gesù legge in Simone la sua vera identità, già nascosta nella sua fibra umana, perché “Gesù svela pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione 4), che è vocazione alla fraternità, sempre. Infatti, da ora “catturerai vivi uomini” (lett.), li strapperai alla fanghiglia oscura del male (semiticamente: il mare), che abita il profondo degli uomini, per permettere loro di vivere da liberati. È il programma risuonato a Nazaret: “rimettere in libertà gli oppressi” (4,18).
Quella moltitudine di pesci diventa immagine della moltitudine di infelici, privi di un senso, da strappare concretamente ai marosi della insignificanza per restituirli alla vita piena. Orizzonte da trasmettere sempre e a tutti, a fronte di ogni rischio, sarà questa la missione degli apostoli e della Chiesa. La fondante vocazione a seguire lui, tipica degli altri sinottici, si è inverata qui in una stringente vocazione a salvare uomini.
Conquistati da questo appello, che si è fatto carne nella loro stessa esperienza, “lasciarono tutto e lo seguirono”.
Raffaella
Fonte: Comunità Kairos