Padri Dehoniani – Commento al Vangelo di domenica 1 Novembre 2020 – Le Beatitudini

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Ciò che saremo

In  questa  preziosa  solennità  facciamo  memoria  di  tutti  i  santi, l’incalcolabile  folla  di  fratelli  e  sorelle  che  hanno  saputo  portare a  pienezza  i  loro  giorni  in  questo  mondo  e  sono  già  entrati  nel mistero  della  vita  eterna  e  nella  comunione  con  Dio.  Coloro  che chiamiamo  santi  non  sono  figure  di  un’umanità  eccellente  ed esclusiva,  ma  la  manifestazione  di  quello  che  lo  Spirito  vuole  e può  compiere  per  farci  attraversare  la  «grande  tribolazione»  (Ap 7,14) nella luce e nella prospettiva del Regno.

Il veggente di Patmos – autore del libro dell’Apocalisse – afferma che i santi non sono affatto pochi, anzi sono addirittura «una moltitudine  immensa,  che  nessuno  poteva  contare,  di  ogni  nazione, tribù, popolo e lingua» (7,9). Mentre noi abbiamo sempre uno  sguardo  preferenziale  per  ciò  che  manca  o  appare  limitato, agli  occhi  di  Dio  ciò  che  conviene  porre  in  evidenza  è  sempre  il bene,  il  bello  e  il  vero  che  matura  silenziosamente  nel  santuario della  nostra  umanità,  creata  a  sua  immagine  e  somiglianza.  Per questo,  nel  maestoso  scenario  celeste  dell’Apocalisse,  non  c’è più spazio per alcun individualismo, poiché «tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello» (7,9) e cantavano, anzi gridavano,  un  canto  finalmente  nuovo:  «La  salvezza  appartiene al  nostro  Dio,  seduto  sul  trono,  e  all’Agnello»  (7,10).

 Nessuno  si vanta  né  si  gloria  di  se  stesso,  dei  propri  meriti  o  dei  traguardi raggiunti,  ma  ciascuno  riferisce  il  mistero  della  propria  esistenza unicamente  a  quel  Dio  che  si  è  donato  e  rivelato  sul  trono  della croce.  Non  è  corretto  pensare  ai  santi  come  coloro  che  hanno saputo  realizzarsi  prendendo  il  vangelo  come  norma  di  vita.  Meglio  immaginarli  come  coloro  che,  scoprendo  e  accogliendo  la propria povertà, hanno trovato la felicità nel permettere a Dio di compiere  in  loro  le  sue  opere  di  amore.  Per  questo,  al  termine dei  loro  giorni,  non  cantano  la  propria  gloria,  ma  quella  di  colui che li ha amati.

«Uno degli anziani» (7,13) descrive proprio così questa immensa moltitudine:  «Sono  quelli  che  vengono  dalla  grande  tribolazione e  che  hanno  lavato  le  loro  vesti,  rendendole  candide  nel  sangue dell’Agnello» (7,14). Prendendo a prestito le parole dell’apostolo Giovanni,  potremmo  dire  che  i  santi  sono  le  persone  che  hanno compreso  «quale  grande  amore  ci  ha  dato  il  Padre»  (1Gv  3,1) fino  a  sperimentare  come  questa  offerta  d’amore  –  così  larga  e incondizionata  –  sia  il  dono  necessario  non  solo  per  sentirsi  ma anche  per  «essere  chiamati  figli  di  Dio»  (3,1).  Tuttavia,  «ciò  che saremo  non  è  stato  ancora  rivelato»  (3,2),  perché  restiamo  persone  libere  e  dentro  un  cammino  fragile,  pieno  di  ostacoli  e  di contraddizioni. Pertanto, questa nostra condizione di santità non può che restare come un piccolo seme da difendere e far crescere, attraverso l’esercizio della nostra responsabilità.

Ecco  allora  il  vangelo  delle  beatitudini  (Mt  5,1-12),  a  strapparci dal  triste  inganno  di  pensare  che  per  toccare  il  cielo  con  un dito  –  per  essere  felici  –  bisogna  occupare  un  prestigioso  ruolo sociale,  conquistare  gratificazioni  e  riconoscimenti  attraverso  gli strumenti  del  possesso  e  del  potere.  «Beati  i  poveri  in  spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (5,3): le beatitudini proclamano che la strada verso una pienezza di vita non va cercata fuori, ma dentro  i  confini  della  nostra  realtà;  ci  assicurano  che  non  è  vero che siamo tutti destinati alla felicità, ma esattamente il contrario: la  felicità  è  destinata  a  noi,  da  sempre,  da  Dio  nostro  Padre.  La chiave di un’autentica gioia non sta in cima ai nostri desideri frustrati, ma in fondo alla capacità di accettare la realtà, con le sue tante  luci  e  le  sue  inevitabili  ombre.

 Le  beatitudini  sono  l’invito ad accogliere con gratitudine quello che siamo e quello che stiamo diventando, rifiutando l’illusione che la vita possa migliorare solo quando giunge qualcosa di più grande e di più bello rispetto a quello che abbiamo. La realtà, così com’è, con le sue mancanze e  i  suoi  imprevisti,  può  sempre  diventare  un  luogo  e  un  modo di  felicità,  nella  misura  in  cui  non  ci  stanchiamo  di  sbiancare  il tessuto  della  nostra  umanità  attingendo  ogni  consolazione  dalla misericordia  del  Signore:  «Chiunque  ha  questa  speranza  in  lui, purifica se stesso, come egli è puro» (1Gv 3,3).

Signore Gesù, donaci di essere contenti di noi stessi, senza intristirci per quello che non riusciamo a essere, nella fiducia che la tua promessa d’amore custodisce ciò che saremo. Donaci di comprendere che noi siamo già salvi e santi perché tu ci hai amato nella nostra povertà, e fa’ che pregustiamo ciò che saremo da come oggi lasciamo che tu ci ami.