L’amore è un gioco esigente, sublime e doloroso, come tutte le cose che chiedono – e offrono – una misura piena al cuore. L’arte di saperlo vivere con sincerità è, da sempre, tra le cose più difficili da praticare e tramandare. Oggi, poi, questo inevitabile destino della nostra umanità sembra diventato uno «straniero» dentro una cultura che tende a valutare ogni cosa in termini di efficienza e di produttività. La Parola di Dio, naturalmente, ha qualcosa da dire su questo delicato argomento. Sin dai tempi antichi non tiene nascoste le regole del gioco, tutte da ascoltare.
«Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente» (Mt 22,37): ai farisei che lo interrogano sul «grande comandamento» racchiuso nella Legge, Gesù rivela la prima regola del gioco dell’amore. La preoccupazione di dover anzitutto amare Dio corre sempre il rischio di sembrare un indebito trasferimento su piani trascendenti di una realtà molto più afferente alla sfera umana. L’amore – diremmo forse noi – si dovrebbe imparare guardando la terra piuttosto che contemplando il cielo. Amare Dio prima degli uomini non rientra nell’ordine delle opportunità, ma delle necessità, perché solo in relazione al suo cuore possiamo scoprire la misura del possibile – e impossibile – amore a cui siamo continuamente chiamati nella realtà. Fino a quando non siamo in una relazione seria e fedele con il Dio di cui portiamo impressa l’immagine e la somiglianza, qualsiasi tentativo di mettere l’amore al centro rischia di diventare un atto di idolatria, cioè di esaltazione esagerata di qualcuno o di qualcosa che non potrà mai riempire fino in fondo il nostro cuore. Infatti, quando dimentichiamo di coltivare l’amore verso Dio – relazione che ossigena e fonda la trama sempre fragile dei nostri rapporti umani – le nostre relazioni rischiano di ammalarsi. Non sarà che stiamo provando a specchiarci in tanti volti, dimenticando che la nostra prima, fondamentale appartenenza è al dolcissimo volto di «suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù» (1Ts 1,10)? Il secondo monito che proviene dalle Scritture è ricordarci che bisogna amare gli altri perché sono come noi; e noi siamo, o saremo, come loro. Il «forestiero» (Es 22,20), «la vedova o l’orfano» (22,21) non sono solo condizioni spiacevoli che alcuni patiscono, ma figure simboliche in cui tutti possiamo riconoscerci.
Il Signore parla al popolo con estrema chiarezza, invitandolo a non dimenticare ciò che è stato in terra d’Egitto e a non ritenere la prosperità e il benessere come diritti acquisiti, ma come doni ricevuti. Il «dovere» di guardare all’altro come un fratello, con cui condividere la gioia e la sofferenza di vivere, nasce dal fatto che Dio è «pietoso» (22,26) con tutti. E noi non dobbiamo stancarci di assomigliargli in questa forma di attenzione alla debolezza umana che tutti ci accomuna.
La terza regola dell’amore non è scritta, ma implicitamente affermata: l’amore a Dio non è separabile da quello verso il prossimo. Gettarsi nelle braccia degli altri senza prima sapere chi siamo veramente – figli di Dio amati – è un’esperienza che può fare molto male. Amare è davvero il senso e la priorità della vita, ma per poterlo fare occorre quella libertà interiore che rende capaci di donarsi senza mai buttarsi via, di accogliere l’altro senza metterlo continuamente sotto esame. Amare significa coinvolgersi gradualmente e responsabilmente con gli altri. Sia le persone che abbiamo scelto, sia quelle che ci sono capitate accanto. Senza confidare troppo nel bene ricevuto, e senza permettere ai nostri sensi di colpa e di inferiorità di bloccare sul nascere la speranza di una comunione sempre possibile.
Tentare di donare la nostra vita agli altri, senza prima imparare a ricevere quella di Dio, è l’imprudente salto acrobatico che può costare caro a ogni sincero – ma ingenuo – amante. Ma altrettanto illusorio è chiudersi a un amore verso Dio incapace di concretizzarsi in forme di attenzione e di disponibilità verso il prossimo. Non resta che giocare all’amore con sapienza e un pizzico di incoscienza. Consapevoli che una cosa così bella – umana e divina – non può che svolgersi per tutti «in mezzo a grandi prove, con la gioia dello Spirito Santo» (1Ts 1,6).
Signore Gesù, che ci hai fatti per il gioco bello e serio dell’amore, senza nasconderci le sue regole, altrettanto serie e necessarie, donaci di accogliere la parola «amerai» come una tua promessa e una nostra responsabilità. Rendici capaci di pazienza, gradualità, accoglienza della tua vita e del tuo amore, per imparare a scambiarceli senza farci del male.