Padri Dehoniani – Commento al Vangelo di domenica 25 Ottobre 2020

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L’amore è un gioco esigente, sublime e doloroso, come tutte le cose che chiedono – e offrono – una misura piena al cuore. L’arte di saperlo vivere con sincerità è, da sempre, tra le cose più difficili da praticare e tramandare. Oggi, poi, questo inevitabile destino della nostra umanità sembra diventato uno  «straniero»  dentro una cultura che tende a valutare ogni cosa in termini di efficienza e di produttività. La Parola  di  Dio,  naturalmente,  ha  qualcosa da dire su questo delicato argomento. Sin dai tempi antichi non tiene nascoste le regole del gioco, tutte da ascoltare.

«Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente» (Mt 22,37): ai farisei che lo interrogano sul «grande comandamento» racchiuso nella Legge, Gesù rivela la prima regola  del gioco dell’amore. La preoccupazione di dover anzitutto amare Dio corre sempre il rischio di sembrare un indebito  trasferimento  su  piani  trascendenti  di  una  realtà  molto più  afferente  alla  sfera  umana.  L’amore  –  diremmo  forse  noi  –  si dovrebbe imparare guardando la terra piuttosto che contemplando  il  cielo.  Amare  Dio  prima  degli  uomini  non  rientra  nell’ordine delle opportunità, ma delle necessità, perché solo in relazione al suo cuore possiamo scoprire la misura del possibile – e impossibile – amore a cui siamo continuamente chiamati nella realtà. Fino a  quando  non  siamo  in  una  relazione  seria  e  fedele  con  il  Dio  di cui portiamo impressa l’immagine e la somiglianza, qualsiasi tentativo  di  mettere  l’amore  al  centro  rischia  di  diventare  un  atto  di idolatria, cioè di esaltazione esagerata di qualcuno o di qualcosa che  non  potrà  mai  riempire  fino  in  fondo  il  nostro  cuore.  Infatti, quando  dimentichiamo  di  coltivare  l’amore  verso  Dio  –  relazione che  ossigena  e  fonda  la  trama  sempre  fragile  dei  nostri  rapporti umani  –  le  nostre  relazioni  rischiano  di  ammalarsi.  Non  sarà  che stiamo provando a specchiarci in tanti volti, dimenticando che la nostra  prima,  fondamentale  appartenenza  è  al  dolcissimo  volto di «suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù» (1Ts 1,10)? Il  secondo  monito  che  proviene  dalle  Scritture  è  ricordarci  che bisogna  amare  gli  altri  perché  sono  come  noi;  e  noi  siamo,  o saremo,  come  loro.  Il  «forestiero»  (Es  22,20),  «la  vedova  o  l’orfano»  (22,21)  non  sono  solo  condizioni  spiacevoli  che  alcuni  patiscono,  ma  figure  simboliche  in  cui  tutti  possiamo  riconoscerci.

Il  Signore  parla  al  popolo  con  estrema  chiarezza,  invitandolo  a non dimenticare ciò che è stato in terra d’Egitto e a non ritenere la  prosperità  e  il  benessere  come  diritti  acquisiti,  ma  come  doni ricevuti. Il «dovere» di guardare all’altro come un fratello, con cui condividere la gioia e la sofferenza di vivere, nasce dal fatto che Dio  è  «pietoso»  (22,26)  con  tutti.  E  noi  non  dobbiamo  stancarci di  assomigliargli  in  questa  forma  di  attenzione  alla  debolezza umana che tutti ci accomuna.

La terza regola dell’amore non è scritta, ma implicitamente affermata: l’amore a Dio non è separabile da quello verso il prossimo. Gettarsi nelle braccia degli altri senza prima sapere chi siamo veramente – figli di Dio amati – è un’esperienza che può fare molto male. Amare è davvero il senso e la priorità della vita, ma per poterlo fare occorre quella libertà interiore che rende capaci   di donarsi senza mai buttarsi via, di accogliere l’altro senza metterlo continuamente sotto esame. Amare significa coinvolgersi gradualmente e responsabilmente con gli altri. Sia le persone che abbiamo scelto, sia quelle che ci sono capitate accanto. Senza confidare troppo nel bene ricevuto, e senza permettere ai nostri sensi di colpa e di inferiorità di bloccare sul nascere la speranza  di una comunione sempre possibile.

Tentare di donare la nostra vita agli altri, senza prima imparare a ricevere quella di Dio, è l’imprudente salto acrobatico che può costare caro a ogni sincero – ma ingenuo – amante. Ma altrettanto illusorio è chiudersi a un amore verso Dio incapace di concretizzarsi  in  forme  di  attenzione  e  di  disponibilità  verso  il  prossimo. Non resta che giocare all’amore con sapienza e un pizzico di incoscienza. Consapevoli che una cosa così bella – umana e divina – non può che svolgersi per tutti «in mezzo a grandi prove, con la gioia dello Spirito Santo» (1Ts 1,6).

Signore Gesù, che ci hai fatti per il gioco bello e serio dell’amore, senza nasconderci le sue regole, altrettanto serie e necessarie, donaci di accogliere la parola «amerai» come una tua promessa e una nostra responsabilità. Rendici capaci di pazienza, gradualità, accoglienza della tua vita e del tuo amore, per imparare a scambiarceli senza farci del male.