Alzarsi
Il tempo che ci prepara a celebrare il grande dono dell’incarnazione, la tenerezza di un Dio che ha voluto trovare dimora «nell’umiltà della nostra natura umana» (prefazio di Avvento) inizia con una nota apparentemente stonata: «Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema?» (Is 63,17). L’angoscioso interrogativo di un popolo esule e smarrito, dopo la deportazione in Babilonia, ha tuttavia la pretesa di essere il piede giusto con cui iniziare il cammino di Avvento.
Forse perché la prima cosa che ha bisogno di essere risvegliata in noi non è tanto la forza di volontà, quanto la coscienza di un esilio in cui ci troviamo. Siamo tutti piuttosto bravi a fare l’elenco delle persone o delle cose da cui ci sentiamo lontani, mentre è sempre meno facile dichiarare la lontananza da una verità con cui sia le cose che le relazioni meriterebbero di essere vissute. A nome di tutti, il profeta Isaia formula un’universale ammissione di colpa: «Nessuno invocava il tuo nome, nessuno si risvegliava [lett. “alzava”] per stringersi a te» (64,6). Il tempo di Avvento comincia con un forte invito ad alzarci, non per simulare una forza di cui siamo sprovvisti, ma per ricominciare a stringerci a quanto il Signore è e desidera donarci.
Proprio una cattiva messa a fuoco del dono di Dio spiega l’esistenza – e pure l’insistenza – di molti nostri vizi, la causa profonda di tante liturgie quotidiane che ci appagano solo per qualche istante, per poi lasciare distese di vuoti e solitudini in fondo all’anima. Questo è il primo regalo dell’Avvento, l’invito a emettere un grido capace di esprimere il nostro bisogno di salvezza. Quel grido che Isaia raccoglie e offre al cielo, a nome di un popolo esausto e triste che, forse come noi, non sembra nemmeno più capace di accendere i desideri più grandi: «Se tu squarciassi i cieli e scendessi!» (63,19).
Il primo effetto di un simile grido potrebbe essere proprio l’apertura degli occhi: non quelli di Dio, abituati da sempre a vegliare su di noi, ma i nostri, non di rado socchiusi e distratti. La parabola evangelica ci aiuta a ricordare in quale situazione tutti ci troviamo senza nemmeno accorgercene: «È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare» (Mc 13,34).
La prima responsabilità da riprendere in mano – sempre – è la fierezza di abitare e condividere una casa dove a ciascuno è stato dato un «potere» e un «compito», adeguato alle proprie capacità. Quando questa cornice si stacca o si impolvera, il quadro può diventare incomprensibile, oppure persino immergerci in un’ansia da prestazione ingiustificata: «Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati» (13,35-36).
Non sapere quando il padrone tornerà, ma essere consapevoli di quanta fiducia e stima abbia nei nostri confronti, è la condizione in cui la nostra libertà può crescere, in una serena complicità con quella degli altri, come noi ospiti graditi e attesi nella casa del Padre. Vegliare non significa vivere agitati e ansiosi, preoccupati che il futuro possa essere peggiore del presente, ma riconoscere di avere un «potere» affidato e imparare a esercitarlo con umile gioia. Se questa domenica la Parola riesce a farci aprire gli occhi e a donarci la libertà di riconoscere e gridare lo stato della nostra vita, per noi può cominciare il tempo di Avvento, il cui fine è rimetterci in piedi e in stato di veglia davanti a un Dio che è «nostro padre, da sempre», che non si stanca mai di essere il «nostro redentore» (Is 63,16).
Così riparte un nuovo anno liturgico: con un grido che si leva, occhi che si aprono, cuori che si scaldano, piedi che si incamminano, al pensiero che «non manca più alcun carisma a voi, che aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo» (1Cor 1,7). Chi accetta il leggero e soave giogo di questo tempo forte può ricominciare a coinvolgersi senza dissolversi, a sognare senza illudersi, a riconoscere in ogni momento un compito da svolgere. Con silenziosa, invincibile speranza.
O Dio, Padre nostro, in questo tempo di Avvento dona a ciascuno di noi di alzarsi, di recuperare la distanza dalla verità e la postura eretta in mezzo agli altri, perché tu sei già sceso a darci fiducia. Fa’ che ricominciamo a esserci e a usare bene il potere che ci hai dato nella casa comune della vita, dove insieme attendiamo la tua venuta. Maranathà!