Padri Dehoniani – Commento al Vangelo di domenica 6 Dicembre 2020 – II domenica di Avvento

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Noi aspettiamo

Il corpo, la voce, i gesti del grande precursore di Gesù, che dominano il vangelo di questa domenica, ci impediscono di proseguire il cammino verso il Natale prima di aver risvegliato in noi quella sete di giustizia che il Signore Dio ha scritto in modo indelebile nei nostri cuori: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri» (Mc 1,3). Il grido con cui si apre il Vangelo di Marco vuole essere un dito puntato non contro, ma verso la radice – incancellabile – di un’alleanza mai revocata tra Dio e Israele, segno di quel vincolo ancor più radicale tra la vita divina e quella umana in attesa di manifestarsi nel suo destino ultimo: «Allora si rivelerà la gloria del Signore e tutti gli uomini insieme la vedranno, perché la bocca del Signore ha parlato» (Is 40,5).

La figura di Giovanni è la porta stretta nella quale dobbiamo avere la pazienza di introdurre il nostro desiderio di rimanere in relazione con quel Dio che non ha mai voluto modificare, ma piuttosto assumere la nostra umanità per poterle restituire il sigillo di un’originaria dignità: «Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico» (Mc 1,6). L’urgenza di una sincera «conversione per il perdono dei peccati» (1,4), di cui il Battista è struggente icona, non è altro che la condizione più semplice per saper cogliere la venuta del Signore in un modo rispettoso tanto della sua volontà di raggiungerci, quanto del nostro bisogno di essere toccati e risanati nella nostra capacità di desiderare una vita grande.

Tuttavia, la volontà di entrare in uno spazio di conversione non può essere esercitata in un modo ansioso, ma soltanto in una profonda «pace», lontano dall’inutile senso di «colpa» (2Pt 3,14). C’è una segreta dolcezza da scoprire nel forte richiamo che l’Avvento fa al nostro cammino discepolare, di cui si fa interprete il cuore dell’apostolo Pietro quando ricorda ai cristiani che Dio «è magnanimo con voi, perché non vuole che alcuno si perda, ma che tutti abbiano modo di pentirsi» (3,9).

Il Vangelo di Marco, che accompagna la riflessione orante della Chiesa in quest’anno liturgico, è capace di suscitare una forte consolazione nel nostro «cuore», ricordandoci che la nostra vita – così come siamo stati capaci di portarla avanti finora – può continuamente tornare a sperare: «La sua tribolazione è compiuta, la sua colpa è scontata, perché ha ricevuto dalla mano del Signore il doppio per tutti i suoi peccati» (Is 40,2). La doppia razione ricevuta, a causa delle nostre infedeltà, non è da intendersi solo come un castigo, finalizzato ad appesantire i nostri giorni, ma soprattutto come l’inattesa e inaudita compagnia di un Dio felice di aggiungere la sua vita alla nostra, per poterne portare insieme il peso e la gloria: «Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo» (Mc 1,8).

La voce di Giovanni nel deserto prepara i nostri passi a un cammino in cui occorre solo provare a tornare con fiducia nel giardino della creazione, per scoprire che il tempo è ancora tutto dalla nostra parte se siamo disposti a viverlo come attesa di Dio e delle sue promesse, per quante smentite e ferite il nostro cuore possa aver accumulato: «Una cosa non dovete perdere di vista, carissimi: davanti al Signore un solo giorno è come mille anni e mille anni come un solo giorno» (2Pt 3,8).

La conversione da compiere, con tempismo e fiducia, è soprattutto un profondo cambiamento nel modo di pensare a Dio, smettendo di immaginarlo come uno che «ritarda nel compiere la sua promessa» (3,9) per noi e per il mondo intero. Quella che a volte ci sembra essere un’incomprensibile «lentezza», nel modo in cui il Signore guida la storia e gestisce gli eventi, può essere meglio interpretata come la grande «dolcezza» di chi non desidera altro che tutti facciamo ritorno alla terra (della) promessa: «Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri» (Is 40,11). Non ci resta che rimetterci in cammino, accanto e insieme a tutti, con la consapevolezza di essere custoditi e accompagnati in una meravigliosa attesa: «Noi […] aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia» (2Pt 3,13).

O Dio, Padre nostro, noi aspettiamo non l’evento risolutivo che sembra sempre in ritardo, ma la realizzazione certa della tua promessa. Noi aspettiamo non di scontare tutte le colpe accumulate, ma la pace e la dolcezza di un’alleanza irrevocabile, rivelata dalla tua e dalla nostra carne. Per questo noi ti aspettiamo. Maranathà!

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