Paolo Curtaz commenta il Vangelo di domenica 20 Marzo 2022 – Rito Ambrosiano

P

Lettura del Vangelo secondo Giovanni 8, 31-59
In quel tempo. Il Signore Gesù disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liber discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: “Diventerete liberi”?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. So che siete discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi. Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro».
Gli risposero: «Il padre nostro è Abramo». Disse loro Gesù: «Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo. Ora invece voi cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l’ha fatto. Voi fate le opere del padre vostro». Gli risposero allora: «Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!». Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato. Per quale motivo non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alla mia parola. Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna. A me, invece, voi non credete, perché dico la verità. Chi di voi può dimostrare che ho peccato? Se dico la verità, perché non mi credete? Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascoltate: perché non siete da Dio».
Gli risposero i Giudei: «Non abbiamo forse ragione di dire che tu sei un Samaritano e un indemoniato?». Rispose Gesù: «Io non sono indemoniato: io onoro il Padre mio, ma voi non onorate me. Io non cerco la mia gloria; vi è chi la cerca, e giudica. In verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno». Gli dissero allora i Giudei: «Ora sappiamo che sei indemoniato. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: “Se uno osserva la mia parola, non sperimenterà la morte in eterno”. Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?». Rispose Gesù: «Se io glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: “È nostro Dio!”, e non lo conoscete. Io invece lo conosco. Se dicessi che non lo conosco, sarei come voi: un mentitore. Ma io lo conosco e osservo la sua parola. Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia». Allora i Giudei gli dissero: «Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono». Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.

“Se il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero”

Un’affermazione forte, quella di Gesù, una provocazione per i nostri tempi ammalati di originalità, una riflessione inquietante per l’uomo che vuole a tutti i costi essere libero di scegliere.

Il nostro tempo si fa onore di essere diverso dal passato: abbiamo tutti accesso alla cultura, all’informazione e pensiamo – forse giustamente – di avere tutti i termini di giudizio, senza bisogno di dar retta al preside di turno.

Purtroppo questa libertà troppe volte sconfina nel relativismo, nel capriccioso gesto dell’adulto adolescente che vuole provare tutto, dire tutto, senza limiti, senza regole.

E i risultati – ahimé – sono sotto gli occhi di tutti: si rischia di passare da una schiavitù ad un’altra, dall’opprimente giogo della morale cattolica al devastante impero delle proprie passioni.

Gesù invita i giudei diventati suoi discepoli a restare fedeli alle sue parole.

Ascoltare le sue parole, farle proprie, interiorizzarle e viverle ci portano ad essere discepoli di Gesù, a conoscere la verità (su noi stessi, su Dio) e a diventare liberi. Liberi dal peccato, liberi per amare, liberi di scegliere di essere discepoli.

Gesù ha le idee chiare, non ha paura di manifestare il suo progetto, la sua prospettiva.

Il suo messaggio è essenziale: siamo invitati anche noi a non confondere le parole con la Parola, a distinguere, anche e soprattutto nella Chiesa di Dio, l’essenziale dalle cose che ne conseguono.

Quanto è bello poter immaginare di crescere in una libertà interiore sana e salda, per potere orientare la nostra vita, al di là e al di dentro degli eventi, alla sequela del Maestro Gesù!

Eppure, ed è la prima volta che lo noto, la reazione dei suoi discepoli (!) è stizzita: loro non sono schiavi, sono figli di Abramo, non hanno bisogno di un altro padre…

Dietro la loro fede si nasconde, in realtà, un attaccamento alle proprie radici, alla propria identità culturale, non accettano di mettersi veramente in discussione.

La tensione è crescente intorno a Gesù, il discorso del pane di vita sta volgendo al tragico, la durezza degli uditori ha reso il colloquio un rabbioso monologo di accuse pretestuose e sconcertanti.

Facciamo fatica anche solo ad immaginare quanta ostilità Gesù abbia dovuto affrontare, quanta tensione, quanta durezza.

E, alla fine, la parola definitiva e sconcertante di Gesù: “Chi pretendi di essere?”

Già: chi pretendi di essere Nazareno? Cosa vuoi da noi? Cosa c’entri?

E la risposta di Gesù è una staffilata, una bestemmia: “Prima che Abramo fosse Io sono”.

No, amici, non è una sgrammaticatura ma l’affermazione del mistero più inaudito: Gesù è “Io sono”, Yawhé, il nome stesso di Dio. Gesù si attribuisce il nome stesso di Dio, l’impronunciabile, il nome che, se scritto, non poteva essere cancellato, né distrutta la pergamena, il nome che, se letto in pubblico, era sostituito con la parola Adonai, Signore o il battagliero ‘eloim.

Quel nome, che nessuno osava pronunciare, Gesù se lo attribuisce, egli pretende di essere il vero volto di Dio, l’infinito divenuto sorriso, il totalmente altro diventato accessibile.

Questa è la ragione della condanna a morte di Gesù: la sua pretesa di essere la rivelazione di Dio, la sua supponenza, la sua sfrontatezza.

A volte incontro anch’io discepoli così, fratelli che credono di credere ma che, in realtà, sono legati alle proprie abitudini al punto da rifiutare quello che Gesù dice di se stesso e di Dio.

Persone legate fanaticamente al culto dei santi, o convinti della validità delle proprie visioni superstiziose.

Non c’è nulla di più difficile da convertire di un cristiano! E, se devoto, è ancora peggio!

Esagero? Vorrei… 

E noi? Se Gesù ci dice cose sgradite che facciamo, pigliamo delle pietre per lapidarlo?

Paolo Curtaz