Lettura del Vangelo secondo Matteo 18, 1-10
In quel tempo. I discepoli si avvicinarono al Signore Gesù dicendo: «Chi dunque è più grande nel regno dei cieli?». Allora chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me.
Chi invece scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, gli conviene che gli venga appesa al collo una macina da mulino e sia gettato nel profondo del mare. Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che vengano scandali, ma guai all’uomo a causa del quale viene lo scandalo!
Se la tua mano o il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo e gettalo via da te. È meglio per te entrare nella vita monco o zoppo, anziché con due mani o due piedi essere gettato nel fuoco eterno. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te. È meglio per te entrare nella vita con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna del fuoco.
Guardate di non disprezzare uno solo di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli».
Leggerezza, amici, viviamo con leggerezza questa giornata.
Leggerezza che non è superficialità, ma conoscenza del segreto della Storia, gioia di vivere, consapevolezza di essere amati.
Grande dono che il cristianesimo ha fatto all’umanità, l’amore per i bambini, fino ad allora visti con fastidio, come dei non-ancora-uomini dalla cultura latina e greca e che, grazie alla innovativa visione di Gesù, sono addirittura proposti come modello di discepolato.
Ci spiazza, Dio, ci chiede di cambiare logica, di assumere un’altra prospettiva, un altro sguardo.
Gesù chiede ai discepoli – straniti – e a noi di imitare i bambini.
Non a “tornare” bambini: non parla di una regressione, né fa dell’infanzia un modello, un mito, come se l’essere piccoli fosse in sé un merito e non una condizione inevitabile. Ma “diventare” bambini da adulti significa abbandonare tutte le sovrastrutture mentali, le malizie, i complottismi che abbondano nel nostro mondo. Ed anche una certa determinazione che diventa aggressività, nel lavoro e in ogni ambiente. Come quotidianamente ci ricorda papa Francesco, non dobbiamo avere paura della tenerezza, della compassione. Il bambino si emoziona, si affida, esprime con naturalezza le proprie debordanti sensazioni. Spesso, troppo spesso, il bambino che eravamo è stato zittito, lo teniamo in un angolo, lo obblighiamo a tacere perché lo temiamo. Temiamo le nostre emozioni, abbiamo paura che possano travolgerci e ferirci.
Facciamo per primi esperienza dell’essere trovati da Cristo, accolti e condotti per potere finalmente tornare a sentirci amati ed imparare ad amare.
Paolo Curtaz