Il Precursore
Fratelli, sorelle,
nel vangelo di questa domenica (V di Avvento, 10 dicembre 2023) Giovanni il Precursore dice che “in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete”. L’altro è sempre un mistero insondabile, più grande delle nostre attese, dei nostri pregiudizi. A maggior ragione se si tratta di Gesù, figlio dell’uomo e Figlio di Dio. Tanto che anche i Suoi compaesani di Nazaret, che L’avevano visto crescere faticavano a riconoscerLo per quello che era e dicevano: “non è costui il figlio del falegname?” (Mt 13,54).
“Tu chi sei?”
Giovanni, del resto, segnalava a chi lo stava ad ascoltare che non era scontato accorgersi della vera identità di Gesù perché pure lui aveva sperimentato qualcosa del genere. Era stato infatti raggiunto da una delegazione del Tempio, composta da sacerdoti e leviti, che gli avevano fatto una serie di domande: “tu chi sei? (…), chi sei, dunque? (…) Che cosa dici di te stesso?”. Forse Giovanni non s’era mai posto domande del genere. S’era sempre lasciato condurre, sin da ragazzo da un Dio che lo guidava per le sue strade e lui lo lasciava fare senza fare troppe domande. Ma a quel punto doveva pur rispondere.
Pur percependo la fatica a dare risposte soddisfacenti, anzitutto a sé stessi, vale la pena in certi momenti della vita fare la fatica di fermarsi e, come davanti a uno specchio, accettare di dover constatare in noi stessi delle fragilità e dei limiti che forse al momento ci potrebbero persino umiliare. Anche se a Giovanni una sana predisposizione gli derivava dalla consuetudine con le asperità l’essenzialità proprie del deserto. Come aveva fatto anche Gesù prima di buttarSi a predicare, condotto dallo Spirito nel deserto di Giuda (Mt 4,1-11).
Etty Hillesum, giovane ebrea olandese che morirà ad Auschwitz, scriveva nel suo Diario: “In me c’è un silenzio sempre più profondo. Lo lambiscono parole che stancano, perché non riescono a esprimere nulla”. Inoltrarsi in sé stesso, accettando d’essere raggiunti da silenzio che a tratti potrebbe sembrarti persino vuoto. Insignificante e scarnificante, anche questo è Avvento che predispone a meglio accogliere il Dio che viene.
“Io non sono”
E la sua risposta è netta, tutta in negativo: “Io non sono il Cristo” e neppure sono Elia o uno dei grandi profeti redivivo. Giovanni non cede alla tentazione di darsi un minimo d’immagine. Piuttosto si convincerà d’essere semplicemente uno strumento, un segno che, andando oltre sé, continuamente indica Colui che viene.
Al punto che di li a poco sarà lui a favorire che alcuni suoi discepoli si mettano al seguito di Gesù, lasciandolo: “Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: ‘Ecco l’agnello di Dio!’. E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù” (Gv 1,35-37). Come un amico dimentico di sé, tutto proteso a che l’altro si veda e sia pienamente riconosciuto anzitutto dai suoi, nella sua verità, nella sua piena identità.
E sarà ancora Giovanni, poco più avanti, che, forte di questa negativa definizione di sé – “io non sono il Cristo” aveva detto – ribadirà: “Voi stessi mi siete testimoni che io ho detto ‘Io non sono il Cristo, ma sono stato mandato davanti a lui’. Colui che ha la sposa è lo sposo, ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, si rallegra grandemente alla voce dello sposo; perciò la mia gioia è completa. Bisogna che egli cresca e che io diminuisca” (Gv 3, 28-30).
E il segreto che lo portava a sentirsi così, sentendosi al suo posto, era la sua intimità con Dio. Come anche scriveva Etty Hillesum nel suo diario: “Vivo costantemente in intimità con Dio (…). Una volta che cominci a camminare con Dio, si continua semplicemente a camminare e la vita diventa un’unica, lunga passeggiata”.
“Io sono voce”
Ma poi quelli replicano: “chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?’, Rispose: ‘io sono voce’”. Giovanni, dunque, sa d’essere voce. Come intuendo la trama, il senso della sua relazione con Gesù, segnata da una profonda adiacenza. Cosa sarebbe infatti la parola senza una voce? Cosa sarebbe una voce che non dice una parola?
Come se già questo altro non fosse che il preludio del mistero dell’incarnazione di Dio, dove la pochezza dell’umano viene riscattata dalla presenza del Signore che salva? Scriveva ancora Etty Hillesum nel suo Diario: “La strada principale della mia vita è ormai tracciata per un lungo tratto davanti a me e già arriva in un altro mondo”. E a noi resta solo di pregare:
“Vieni di notte, ma nel nostro cuore è sempre notte:/ e dunque vieni sempre, Signore. / Vieni in silenzio, noi non sappiamo più cosa dirci: / e dunque vieni sempre, Signore. / Vieni in solitudine, ma ognuno di noi è sempre più solo: / e dunque vieni sempre, Signore. / Vieni figlio della pace, noi ignoriamo cosa sia la pace: / e dunque vieni sempre, Signore. / Vieni a liberarci, noi siamo sempre più schiavi: / e dunque vieni sempre Signore. / Vieni a consolarci, noi siamo sempre più tristi: / e dunque vieni sempre Signore. / Vieni a cercarci, noi siamo sempre più perduti: / e dunque vieni sempre Signore. / Vieni, tu che ci ami, nessuno è in comunione col fratello / se prima non è con te, o Signore. / Noi siamo tutti lontani, smarriti, / né sappiamo chi siamo, cosa vogliamo: / vieni, Signore. Vieni sempre, Signore” (D. M. Turoldo).
don Walter Magni
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