NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO RE DELL’UNIVERSO
10 Novem 2024 Anno B – Rito Ambrosiano
Ultima Domenica dell’Anno Liturgico
Luca 23,36-43: In quel tempo. 36Anche i soldati deridevano il Signore Gesù, gli si accostavano per porgergli dell’aceto 37e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». 38Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei». 39Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». 40L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? 41Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». 42E disse: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno». 43Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».
Fratelli, sorelle,
ricorre la Solennità di nostro Signore Gesù Cristo re dell’Universo (10 novembre 2024). Un titolo importante che potrebbe incutere qualche soggezione. Ma il Vangelo proclamato in questa liturgia ci riporta a qualcosa di più immediato e familiare. Se non altro perché l’ultima domenica dell’anno liturgico si incrocia da qualche anno con la celebrazione della Giornata mondiale dei poveri.
“Gesù, ricordati di me quando sarai nel tuo regno!”
Una prima cosa colpisce, ascoltando proprio questo Vangelo: che la conclusione della vita di Gesù sia quella di un re, come stava scritto nel cartiglio posto sopra la Sua testa: “questo è il re dei Giudei” (Lc 23,38). Cioè: questo è un povero re, che ti obbliga a metterti in ascolto del povero. Come se alla fine ciò che conta è amare e basta! Amare ascoltando il grido del povero. Perché è questa la conclusione: “alla sera della vita saremo giudicati sull’amore” (Giovanni della Croce).
E un’altra cosa stupisce, stando al Vangelo: che la parola re venga riferita a Gesù quasi esclusivamente nelle pagine che raccontano della Sua passione e morte e che il termine regno venga pronunciata da un malfattore come un’invocazione, una preghiera: “Gesù, ricordati di me, quando entrerai nel tuo regno!”. Riconoscendo la regalità di Gesù proprio nella Sua svestizione, in quella disarmante nudità. Contrariamente ai criteri comuni che ci hanno abituato a riconoscere la regalità, la dignità di qualcuno, anzitutto nella investitura, rivestito di vesti preziose.
Non è così per il Vangelo, dove il ladrone che sta alla Sua destra la regalità la coglie proprio nello spogliamento di Gesù. Che se pure questo confonde e disturba, diventa però rivelazione, svelamento, riconoscimento! Come se proprio la nudità di Gesù crocifisso togliesse ogni distanza. Quella distanza che proprio gli orpelli mondani offuscano e ingigantiscono. Così anche a te vien voglia di pregare dicendo: “Venga il tuo regno Gesù anche per me. Ricordanti anche di me nel tuo regno!”.
“Questo povero grida e il Signore lo ascolta” (sl 43,7)
E se Gesù ha ascoltato il grido di un malfattore avrà ascoltato anche il grido arrabbiato e inespresso e represso dell’altro. Perché stando in croce anche Gesù ha gridato al Padre la Sua solitudine infinita. E l’espressione dell’uno e il silenzio dell’altro diventano come un intreccio, il crocevia di tutte le grida dei poveri del mondo, di sempre. E proprio perché c’è qualcuno che ascolta quel grido – qualsiasi grido – allora ecco che il Regno di Dio avviene e si realizza.
Perché anche il termine grido ci deve far pensare. Noi, gente perbene, che le richieste dai poveri le vorremmo fatte con un po’ più di grazia. E il loro gridare un po’ sguaiato ci disturba. Come anche capita nei Vangeli, quando sono proprio i discepoli che cercano di far tacere quelli che gridano a Gesù. E invece Lui, ad esempio il cieco Bartimeo (Mc 10,46-52), lo vede. E Si ferma e ascolta la sua storia! Mentre noi da loro, da tutti loro più volentieri ci sfileremmo: perché i poveri puzzano, perché i poveri stancano, perché i poveri proprio non li sopportiamo. Tanto sono così insistenti e pretenziosi!
E ci sfiliamo da loro raccogliendoli tutti in espressioni generiche, senza volto. Come poveri immigrati, che ci rubano il lavoro, che potremmo meglio aiutare a casa loro o comunque lontano, altrove. Come non avessero un volto, una storia che merita raccogliere. Benedetti invece coloro che ancora accettano di ascoltare i loro nomi, accarezzando i loro volti, asciugando le loro lacrime, riconoscendo in quella loro nudità la presenza stessa della regalità di Dio che ancora salva.
“Oggi con me sarai nel paradiso”
E ancora noi, a proposito di poveri, ci illudiamo che il dare sia a senso unico. Da noi a loro! E non ci sfiora il pensiero che anche noi abbiamo da imparare! Più si ascoltano certe storie, infatti, e più comprendi di ricevere un regalo, una grazia. In un libro che raccoglie le ultime lettere di Annalena Tonelli – una volontaria italiana uccisa in Somalia, il 5 ottobre 2003 – si racconta di una giovane musulmana poliomielitica, che stava morendo di tubercolosi. Scriveva: “Io andavo a trovarla e non capivo nessuna delle sue parole. Ci capivamo solo con il linguaggio del cuore”.
Aveva due gambine flaccide, sottili, un corpo emaciato da far paura. “E quando venne il momento del passaggio, mi chiese di restare con lei quella notte, in quella cameretta asfittica e lurida dell’ospedale lazzaretto di Wajir. Le lenzuola erano nere, sporche. E lei tossiva incessantemente e io che desideravo solo di rimanere con lei. Così rimasi seduta sul suo letto e pregavo. La sostenevo, la guardavo negli occhi: l’amavo. Ma ad un certo punto crollai e allora lei si tirò su.
Si tolse il cuscino lurido da sotto la testa affranta e me lo offerse. Spirò verso le cinque del mattino, mentre io le tenevo la mano e le sorridevo, alla luce fioca di una lampada a petrolio”. E concludeva: “Forse sono alla fine della vita, ma vorrei passare quello che ancora mi rimane da vivere su questa terra, stringendo la mano di uno che muore, sorridendogli teneramente”. Che ci sia fatta la grazia di tenere gli occhi, umidi e carichi di tenerezza, fissi su quel lercio cuscino, che un poco ci introduca e ci innalzi nel Suo regno!
don Walter Magni