II DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI IL PRECURSORE
Anno A – Rito Ambrosiano – 10 Settembre 2023
Beato il popolo che cammina alla luce del tuo volto
Giovanni 5,19-24, Il Padre ha dato ogni giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre – In quel tempo. 19Il Signore Gesù riprese a parlare e disse: «In verità, in verità io vi dico: il Figlio da se stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa allo stesso modo. 20Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, perché voi ne siate meravigliati. 21Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole. 22Il Padre infatti non giudica nessuno, ma ha dato ogni giudizio al Figlio, 23perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato. 24In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita».
Fratelli, sorelle,
se lo smarrimento diventa sempre più intenso e i pensieri si confondono, importa non barattare ciò che vive di luce riflessa con la fonte e la sorgente della luce. Anche nella Parola proposta in questa domenica (II dopo il Martirio di s. Giovanni il Precursore, 10 settembre 2023) il profeta Isaia afferma con forza che “non il sole e la luna, ma il Signore sarà per te luce eterna”.
“Il Signore sarà per te luce eterna”
Isaia si stava rivolgendo al popolo di Israele in esilio a Babilonia, mentre coltivava grande nostalgia per Gerusalemme, distrutta da Nabucodonosor (586 aC). Così s’era diffuso il desiderio profondo di poterla rivedere ricostruita più grande e più bella. In questo contesto Isaia pronuncia parole di promessa e di consolazione: “Tu chiamerai salvezza le tue mura e gloria le tue porte. Il sole non sarà più la tua luce di giorno, né ti illuminerà più lo splendore della luna. Ma il Signore sarà per te luce eterna. Il tuo Dio sarà il tuo splendore”.
Anche per noi oggi, a fronte della fatica nei confronti del futuro che ci aspetta, riemerge istintiva una forte nostalgia per un passato che di certo non può tornare. E la retorica di certe espressioni – “si stava meglio quando si stava peggio” o “com’erano buone le cipolle d’Egitto” – non risponde alla questione di fondo. A fronte di forti disagi sociali e valoriali, non si sa cosa pensare, mentre aumenta il bisogno di evasione che non paga e la ricerca di refrigerio a buon mercato diventa sempre più scontata.
Persino la natura, con i suoi sbalzi climatici ci confonde, rendendoci più disillusi nei confronti dei nostri strumenti di previsioni. E in questo contesto trasognato le parole di Isaia ci obbligano a maggior ragione a ricalibrare i parametri esistenziali di riferimento. Come ci ripetesse: Tu che hai comprensibilmente chiamato “salvezza le tue mura e gloria le tue porte”, sappi che “il sole non sarà più la tua luce di giorno, né ti illuminerà più lo splendore della luce”: solo “il Signore sarà per te luce eterna, Il tuo Dio sarà il tuo splendore”.
“Saranno finiti i giorni del lutto”
E la parola di Isaia diventa più precisa quando, nell’orizzonte consolante del Signore, “luce eterna”, profetizza che, con la ricostruzione, finiranno “i giorni del lutto”. Giorni che a noi non sembrano finire affatto, se solo si considera il persistere del gusto di morte che dimostrano le decine di guerre che ancora oggi sosteniamo, senza sapere quali diritti stiamo difendendo regalando a piene mani la morte! Soprattutto questo lutto sembra diventato indecifrabile anche per molti credenti, facilmente avvolti da una sorta di ansia nei confronti della morte, diventando troppo spesso incapaci di esprimere parole di consolazione autentica.
Come se davanti all’esperienza della morte fossimo tutti senza parole capaci di un senso sostenibile, se non di una speranza affidabile. E nello stesso tempo è proprio la fede alla quale apparteniamo che inquieta e sovverte tutti i nostri accomodamenti esistenziali e i nostri ottundimenti. Dove infatti i discepoli del Signore si rendono presenti è inevitabile che una certa inquietudine s’imponga. Ci dobbiamo convincere del fatto che la nostra fede non è mai un approdo accomodante, ma un orientamento sicuro – sai bene da chi stai andando -, senza esimerti da una traversata faticosa.
“Chi non ha la grazia di credere è tentato dall’incertezza e dal timore del niente. Chi ha la grazia di credere è travagliato dalla luce stessa che gli fu comunicata. Il mio ideale, che non è fatto su misura e che mi supera infinitamente, è anche il mio tormento. La parola di Dio che è dentro di me, non la posso più rifiutare o adattare ai miei gusti, imborghesendola” (Pensieri, P. Mazzolari).
“Beato il popolo che ti sa acclamare”
Per questo il salmo responsoriale più volte ci ha fatto ripetere: “Beato il popolo che cammina alla luce del tuo volto”, proclamando così la beatitudine di un popolo credente che può ritrovare la sua vera gioia in quanto torna con decisione ad acclamare al suo Signore, invocando da Lui il dono della salvezza. C’è bisogno che nelle nostre chiese si torni a riaffermare la verità di Gesù, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo. Perché sempre a Lui, nostra speranza, bisogna tornare! Così come concretamente Lui stesso ci ha ricordato nel Vangelo odierno: “in verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita”.
Ritorni forte e decisa l’urgenza di andare all’essenziale, alle questioni che contano. Oltre i numeri e le statistiche che solo vedono invecchiare e morire senza seguito, i fedeli abituali delle nostre chiese. L’essenzialità di un popolo, di uno stato, di una nazione – ma anche e soprattutto di una chiesa – che, sempre più confusa nel suo ordinario modo di procedere, si lasci davvero avvolgere dalla beatitudine propria di chi, molto semplicemente, riattiva il gusto dell’acclamazione di lode al Signore nostro Dio, affidandosi a Lui, unica nostra Speranza.
Il mondo aspetta che continuiamo ad acclamare ad alta voce e senza vergogna le lodi del nostro Dio, abbandonando l’inconcludente e triste descrizione delle sole nostre miserie e fatiche. Mettendo nelle Sue mani, le solo affidabili, le sorti della nostra esistenza e della esistenza del mondo intero.
don Walter Magni