Rito Ambrosiano – Commento al Vangelo di domenica 11 Maggio 2025 – don Walter Magni

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IV Domenica dopo Pasqua

11 Maggio 2025 Anno CRito Ambrosiano

Nelle tue mani, Signore, è tutta la mia vita

Fratelli, sorelle,
nel brano di Giovanni proposto dalla liturgia odierna (IV domenica di Pasqua, 11 maggio 2025), due parole ritornano con particolare insistenza: amore e amicizia. Parole che sulle labbra di Gesù non erano dette tanto per dire qualcosa di carino. Non erano astratte: evocavano pezzi di storia. Così come anche in noi al sentirle si accendono storie, ritornano visi, per poi sconfinare col cuore.
“Nelle tue mani, Signore, è la mia vita”

Mi sono chiesto se non sia stato anche per un desiderio di concretezza o per sfuggire a una certa astrattezza, che Gesù parlando d’amore abbia voluto fare un richiamo alla vita: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici”. Come ci fosse un rapporto inscindibile tra amore e vita, qualcosa di fontale, di essenziale, di inesauribile, senza misura.

Un amore che si traduce subito in vita concreta: occhi che intravedono, mani che sfiorano, gesti che tangibilmente consolano e ridanno vita, ti fanno respirare. E merita sostare brevemente, volendola quasi sfiorare, sull’immagine delle mani, sull’amore che si fa mani.

Così come ci ricorda il salmo responsoriale di questa liturgia, quando ci ha fatto ripetere con dolce insistenza: “Nelle tue mani, Signore, è la mia vita”. E così succede che una parola o un versetto ti si stampa dentro. E intuisci che amare ed essere amati è esperienza di mani, un sentire il calore delle mani.

Anche nell’ora più faticosa, quella del morire, che grazia sarà sentirsi sfiorare da una mano? Icona di Dio che ci tiene stretti nelle sue. Anche Gesù del resto, dopo che aveva dato un alto grido sulla croce, aveva sentito amore di mani. Come scrive Luca: “Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Detto questo, spirò”.

Le mani che ti tolgono dalla solitudine; mani come immagine di un’attenzione, di una cura, di una delicatezza da consegnare alla parola amore perché sia una parola vera, tangibile e concreta. Perché non sia sfibrata, impallidita, svuotata: sì, nelle tue mani, Signore, è tutta la mia vita!

“Vi ho chiamato amici”
E in questa luce, uno squarcio d’emozione si apre ascoltando il brano degli Atti di questa liturgia che ci porta a Cesarea, nella casa di Filippo, il settimo dei diaconi. Lì Paolo aveva trovato ospitalità. E ecco che il giorno dopo il suo arrivo, giunse Àgabo a profetizzare che a Gerusalemme i Giudei avrebbero legato Paolo per consegnarlo ai Romani.

Così quella casa fu piena di commozione, di pianto, di insistenze perché Paolo non salisse a Gerusalemme. Perché l’amore vero a volte si fa pianto. Tanto che Paolo si sentì spezzare il cuore e disse loro: “‘Perché fate così, continuando a piangere e a spezzarmi il cuore? Io sono pronto non soltanto a essere legato, ma anche a morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù’.

E poiché non si lasciava persuadére, smettemmo di insistere dicendo: ‘Sia fatta la volontà del Signore!’”. Tu leggi e non puoi non sognare una chiesa che diventi come la casa di Filippo a Cesarea. Dove non ci sia ombra alcuna di paternalismo, di patriarcato, di dominio, di soggezione. Ma solo affetto sincero, stima profonda, riconoscimento dei doni che ciascuno ha nel nome di Dio.

Come quando Gesù parlava ai Suoi con il cuore in mano: “Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi”. Sulle labbra di Gesù nemmeno la parola amico era una parola tanto per dire. E ripercorrendo i vangeli a questo riguardo si possono scoprire cenni preziosi, luminosi sull’amicizia, così come la intendeva Gesù.

Il fiordaliso nel campo di grano
Certo, l’amicizia appartiene all’amore, ma ha un suo timbro, un suo canto. E anche l’amore incondizionato richiesto da Gesù ai Suoi non scolorisce l’amicizia. Che sempre dice reciprocità, complicità di pensieri, di visioni, di sentimenti, di parole e di silenzi, di visibile e di sommerso ad un tempo.

D. Bonhoeffer direbbe in una sua poesia che in un campo di grano cresce pure il fiordaliso che “nessuno lo ha piantato, / nessuno lo ha innaffiato, / indifeso cresce in libertà”, come l’amico per l’amico.

Per questo oggi vorrei dire “Grazie, Signore, per gli amici che ci hai dato. Che ci fanno sentire amati senza un perché. Che hanno sempre la dote speciale di farci sorridere. Che, pur chiedendoci poco, sanno tutto di noi. Sanno il segreto delle piccole cose che ci fanno felici.

Grazie per coloro che sentiamo profondamente al nostro fianco, ovunque ci troviamo: fidi, benevoli, esigenti, complici di memorie e di progetti, che condividono con noi inquietudini, afflizioni, lutti e anche confidenze gioiose, speranze indimenticabili.

Grazie per quelle e quelli senza i quali camminare nella vita non sarebbe la stessa cosa. Che ci sopportano quando il mondo pare un posto incerto. Che ci spronano al coraggio con la loro sola presenza. Che ci sorprendono di proposito, perché trovano sbagliata troppa routine. Che ci fanno vedere l’altro lato delle cose. Che possono rimanere in silenzio al nostro fianco e questo non ci disturba, diventa anzi una forma straordinaria di comunione. Che fanno arrivare fino a noi, Signore, l’imprevedibilità del tuo cuore. Grazie Signore” (card. J. Tolentino Mendonça).     

don Walter Magni