II DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI
SAN GIOVANNI IL PRECURSORE
Anno C – Rito Ambrosiano – 11 Settembre 2022
La vigna del Signore è il suo popolo
Lettura del Vangelo secondo Matteo 21,28-32 – In quel tempo. Il Signore Gesù disse: 28«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. 29Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. 30Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. 31Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. 32Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».
Sorelle, fratelli
la parabola di questa domenica (II dopo il Martirio di s. Giovanni il Precursore, 11 settembre 2022) racconta di due figli che rispondono in modo diverso all’invito del padre ad andare a lavorare nella vigna. Il primo acconsente ma poi non ci va e il secondo dice no ma pentito alla fine va. Tuttavia, non dimentichiamoci mai di quel Figlio che ama fare sempre ciò che piace al Padre Suo (Gv 8,29).
La paura di dire “sì”
Mentre Gesù raccontava questa parabola, pensava probabilmente al Suo popolo, continuamente dibattuto tra fedeltà alla Legge del Signore e attrazione esercitata dalla religiosità idolatrica dei popoli pagani che circondavano la terra d’Israele. Tuttavia Gesù, più che distinguere rigidamente tra ebrei credenti e pagani idolatri, voleva colpire al cuore la doppiezza e la falsità tipica di certi religiosi di alto rango che amavano nascondersi dietro una pratica rituale puntigliosa e ineccepibile, mentre il loro cuore, più che rivolto al Signore, andava in ben altre direzioni. Anzi, forse Gesù aveva davanti proprio la figura di certi capi religiosi, dato che lo stesso evangelista Matteo annota che in quel momento stava parlando “ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo” (Mt 21,23).
Ma il rischio, la tentazione della doppiezza – quella tra il tra il dire e il fare – è un’esperienza nella quale tutti cadiamo. Perché abbiamo paura di dire di sì. Perché se accetto, Signore, dove mi condurrai? Abbiamo paura di dover firmare in bianco, di dire un “sì” che poi reclama altri “sì”. E alla fine non siamo più in pace! Così ci buttiamo in situazioni rumorose, nella speranza di non sentire più la Sua voce. Ma Lui non ci dà scampo, mentre Si infiltra negli interstizi più silenziosi e bui della nostra esperienza. E, come anche dice il salmo, non ci resta che pregare così: “Signore, mi hai afferrato e non ho potuto resisterti. / Sono corso a lungo, ma tu mi inseguivi. Mi hai raggiunto. / Mi sono dibattuto, hai vinto. / I miei dubbi sono spazzati, i miei timori svaniscono. / Perché ti ho riconosciuto senza vederti, / Ti ho sentito senza toccarti, ti ho compreso senza udirti” (M. Quoist).
“Chi sono io per giudicare?”
Vien da pensare piuttosto che Gesù ami guardare con benevolenza e persino con predilezione, proprio chi d’istinto direbbe subito di no: non ci sto ad andare nella Tua vigna, ad assumermi un servizio che non potrà che comportare fastidi. Perché Ti conosco. Mi porterai là dove l’amore è sempre più intenso e alle sue pretese irresistibili non ti puoi più sottrarre. In fondo si tratta in genere di persone che hanno dovuto imparare a convivere con certe precarietà; provando un senso di vergogna al pensiero di una sin troppo facile incoerenza. Per questo, dunque, Gesù commenta la parabola dei due figli affermando che “i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio”! Se non altro perché i pubblicani e le prostitute, dopo che avevano ascoltato la predicazione di Giovanni Battista, erano stati poi presi da un profondo senso di contrizione e di pentimento. Propriamente: “gli avevano creduto”. Stando davanti a lui, avevano intuito la gravità e complessità della loro condizione morale.
E mentre resta vero per tutti che in certe situazioni morali complesse è umanamente difficile, se non impossibile, cambiare vita di colpo, a Gesù basta che qualcosa cominci a smuoversi dentro di noi, facendo spazio lentamente e inesorabilmente a Lui. Per questo importa essere molto cauti nei nostri giudizi e nel nostro facile sentenziare. “Chi sono io per giudicare?” aveva pur detto papa Francesco. Cauti nel giudizio, dunque, asteniamoci da ogni forma di sentenza. Importa permettere a Dio di poter ancora attraversare ogni ferita. Anche la più scostante.
Unifica il nostro cuore!
Ma pure ci sono sempre anche coloro che con immediatezza giocheranno a dire il loro sì a parole, anche se già si intuisce che i fatti che seguiranno andranno per ben altra strada. Certo non abbiamo a che fare con persone dotate di uno spirito religioso profondo. Spesso amano ricoprirsi di una facciata che vorrebbe essere accattivante e benevola nei loro confronti, nella consapevolezza di continuare a vivere in modo spericolato all’insegna di una superficialità che nasconde una inquietudine profonda. Sono quelli del “sissignore”, “ma certo, non si preoccupi!”. Con quel modo fumoso di riferirsi a Dio, di citarlo, di ostentare i suoi segni e simboli senza pudore, asservendoLo poi ai propri scopi. Sbandierando un’appartenenza religiosa formalmente ineccepibile, mentre il cuore cavalca ben altre praterie.
Ci ricorda, infatti, Matteo che “molti mi diranno in quel giorno: ‘Signore, Signore, non abbiamo noi profetizzato in nome tuo e in nome tuo cacciato demòni e fatto in nome tuo molte opere potenti?’ Allora dichiarerò loro: ‘Io non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, malfattori!’” (7,21-22). Non ci resta che pregare, pregare incessantemente perché il Signore guarisca e unifichi il nostro cuore di figli. Lasciandoci guidare ancora una volta dal salmo: “insegnami la tua via; io camminerò nella tua verità; unisci il mio cuore al timor del tuo nome” (86,11). Aiutami ad andare oltre certi scollamenti interiori, certi scoraggiamenti senza fine; oltre l’impazienza rigida nei confronti di certi fratelli, oltre la non sopportazione dei miei limiti. In te Signore è la mia pace (Ef 2,14).
don Walter Magni