Rito Ambrosiano – Commento al Vangelo di domenica 13 Aprile 2025 – don Walter Magni

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DOMENICA DELLE PALME

13 aprile 2025 Anno CRito Ambrosiano

Ecco, o figlia di Sion, il tuo re

Fratelli, sorelle,  

sei giorni prima della Pasqua Gesù era a cena a Betania, in casa di amici. Il mattino seguente raggiunse l’ingresso di Gerusalemme, mentre la folla si stava radunando. Gesù, cavalcando l’asinello che i  discepoli Gli avevano procurato, avanzò nella Città santa, mentre si eleva un canto: “Benedetto colui  che viene nel nome del Signore, il re d’Israele!” (Domenica delle Palme, 13 aprile 2025).  

“Fecero per lui una cena” 

Tutto era iniziato a Betania, una sera. Gesù sapeva che i capi dei farisei Lo stavano cercando, ma era soprattutto preoccupato per la sorte dei Suoi discepoli. “I capi dei sacerdoti e i farisei – infatti – avevano dato ordine che chiunque sapesse dove si trovava lo denunciasse, perché potessero  arrestarlo”. Marta Lo accolse in casa e subito “fecero per lui una cena: Marta serviva e Lazzaro era  uno dei commensali”. Maria, sorella di Lazzaro e di Marta, si era subito resa conto dello stato d’animo  di Gesù. Decise pertanto qualcosa di inaudito e che solo l’amore avrebbe potuto inventare.

“Prese  trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò  con i suoi capelli”.

E tutto questo in silenzio, perché le parole non saranno mai la prova che abbiamo  capito in profondità il mistero di chi amiamo davvero. Valgono molto di più certi silenzi, colmati da  occhi che vedono dentro, arrivando dritti al cuore. E poi c’era quel profumo, accompagnato da tutti  quei gesti di tenerezza! Forse quella sera il bisogno di dire, di commentare era grande, dopo che Gesù  aveva riportato in vita l’amico Lazzaro. Ma tante parole possono anche annebbiare il mistero e ci si  può avviare a celebrare la Pasqua senza capire. Tanto che anche i vangeli registrano che spesso anche  i Suoi discepoli non riuscivano a capirLo davvero. Come se Gesù continuasse a subire la sorte  drammatica del servo sofferente di cui si legge oggi nel rotolo di Isaia: reietto da Dio e percosso,  umiliato e trafitto dagli uomini. Ma che dopo il suo intimo tormento – sta scritto –: vedrà la luce! 

“Lasciala fare” 

E se neppure i discepoli riuscivano a capire in quel momento, Maria, l’amica, lei aveva capito. O se  non aveva capito del tutto, certo ci era andata molto vicina. Perché a farci capire è anzitutto il bene  sincero che vogliamo all’altro, all’altra, a chiunque, a qualcuno. E mentre tutti facevano festa per  Lazzaro suo fratello ch’era tornato in vita, gli occhi di Maria andavano oltre. E cosa avevano visto? 

Cosa avevano intuito spargendo senza misura quel suo prezioso profumo sul corpo del Maestro?  Aveva intuito la contiguità drammatica tra la festa per il fratello, ch’era tornato a vivere e la morte  violenta di Gesù che già in Lui si preannunciava. E che la Sua fosse ormai vicina, imminente, Glielo  aveva letto negli occhi. Perché chi ama sa scorgere dei segni evidenti sul viso della persona amata. E  se nella storia ad ungere i re erano stati dei grandi profeti, qui avviene l’inaudito. E’ una donna che  unge Gesù come Messia, preparandone l’intronizzazione. Proprio questo non potevano capire in quel  momento i Suoi discepoli: che il Messia non fosse da cercare tra i vincenti, i rampanti, ma tra i  perdenti e gli umiliati. CercandoLo come un’amante l’amato, già confitto ad una croce, tra due  malfattori disperati. E Maria L’aveva profumato con la dismisura dell’amore. Solo riconosciuta in  quel suo gesto da Gesù soltanto, dicendo a Giuda: “lasciala fare, perché ella lo conservi per il giorno  della mia sepoltura”. E la smettesse dunque Giuda di parlare di poveri, inutilmente, mentre un povero  autentico già Gli stava davanti, pronto ad essere espropriato della vita, per amore! 

“E tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo” 

E il profumo sembra legare anche altre donne a Gesù. Le ritroviamo, infatti, nel giorno della Sua  morte, a controllare come Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo avevano deposto Gesù nel sepolcro e  poi a preparare tutti quegli aromi e profumi che il giorno seguente, il mattino di Pasqua, avrebbero  portato al sepolcro per l’ultima unzione del corpo di Gesù. Come se in quei profumi si potesse leggere una sfida alla morte, al cattivo odore della morte. Perché più forte della morte è questo profumo! 

Come se di quel profumo, della tenerezza di cui era segno e di quelle mani che lo espandevano sui  Suoi piedi e anche di quei capelli che glieli asciugavano, Gesù stesso ne avesse bisogno profondo, un  bisogno vero. Perché anche questo è il nostro Dio: un Dio che ha bisogno, così come anche noi  abbiamo bisogno, di certe attenzioni, di qualche forma di tenerezza. E così avvenne che anche Maria  quel profumo prezioso di puro nardo, se lo portava ormai nei capelli. Inondata di profumo come la  casa che Lo ospitava. Tanto che tutta “si riempì dell’aroma di quel profumo”. E il pensiero corre così  a tante case, sconvolte anche oggi dal cattivo odore della morte. Dove si continua a fare scempio della vita. Con il sospetto che con la morte si stia scendendo a patti, si voglia far pace con il cattivo odore  della morte. Ma guardando a Lui il bisogno di un capovolgimento s’impone. L’urgenza di tornare ad  inondare la terra del profumo di Maria. Il profumo di un po’ di tenerezza, della bellezza della  dedizione, del gusto della cura per amore. Il profumo della Pasqua che ci apprestiamo a celebrare.   

don Walter Magni