VII DOMENICA DOPO IL MARTIRIO
DI SAN GIOVANNI IL PRECURSORE
Anno B – Rito Ambrosiano
Il Signore custodisce la vita del suo popolo
Matteo 13,24-43 – In quel tempo. Il Signore Gesù 24espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. 25Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. 26Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. 27Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. 28Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. 29“No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. 30Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponételo nel mio granaio”».
31Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. 32Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami».
33Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».
34Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, 35perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: Aprirò la mia bocca con parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo. 36Poi congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». 37Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. 38Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno 39e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. 40Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. 41Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità 42e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. 43Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!».
Il seme del Vangelo cresce silenzioso.
Fratelli, sorelle,
c’è un filo rosso che percorre le letture di questa liturgia (VII domenica dopo il Martirio di s. Giovanni il Precursore, 13 ottobre 2024): l’immagine del seme che cresce. Di germogli piantati dei quali importa accorgersi ci parla Isaia e di semi piantati nella Chiesa ci parla pure Paolo nell’epistola. Infine, anche Gesù ci racconta di semi che una volta piantati devono comunque crescere e ci invita a guardare lontano, imparando a vedere il mondo con gli occhi di Dio, con la Sua amorevole pazienza.
Il seme che cresce poco a poco.
E fissando dunque la nostra attenzione sulle tre parabole del Vangelo, Gesù ci racconta anzitutto la storia di un campo dove il seme buono che vi era stato piantato viene seriamente minacciato dalla presenza della zizzania. Poi arriva la storia di un granellino di senape che crescendo diventa un albero rigoglioso. E infine ci ritroviamo dentro una scenetta familiare per Gesù, dove una donna impasta tre misure di farina con un pezzettino di lievito ed ecco che la pasta, fermentando, aumenta e cresce per diventare un pane fragrante.
E in tutti questi racconti ritorna chiara ed evidente l’avventura di qualcosa che sempre cresce e diventa altro. Che è poi l’avventura della nostra esistenza che, partendo dalla piccolezza, giunge a essere grande, adulta appunto. Ed è questa piccolezza di partenza che sconfessa le nostre logiche! Quel bisogno dello straordinario ad ogni costo che non si stupisce più dell’ordinarietà della vita. Della gente che non fa testo perché non fa rumore. Il Vangelo, invece, ci riporta agli inizi di ogni cosa, al cuore di ogni persona. Al silenzio del seme che cresce, del lievito che fermentando accresce la pasta.
Cosi per il Vangelo diventano beati anzitutto coloro che si esercitano a sentire il crescere silenzioso del seme nella terra e il fermentare lento della pasta custodita nella madia! In una stagione come la nostra, che smania di celebrare ossessivamente l’eccezionale, quant’è prezioso l’invito a esercitarsi in controtendenza a scoprire – e magari anche a celebrare – quel ‘poco’ della vita che ci è stato dato, ma che può sempre crescere e diventare, stando al Vangelo.
La forza dentro il seme.
E, stando sempre al Vangelo, potremmo aggiungere che il poco, il piccolo che poi cresce è come abitato da una forza, da una potenza insospettata. Impercettibile se solo si guarda la sua condizione di partenza così minuscola e indifesa. E anche di questo dovremmo imparare a stupirci. Di questo crescere di certe creature che al primo sguardo non gli daresti alcun valore. Imparando a leggervi dentro, come ricorda anche Paolo nell’epistola, l’opera silenziosa di Dio. Come dovessimo imparare di nuovo a sostare davanti a un neonato, a un filo d’erba, al cominciare di un amore, all’avviarsi di una comunità. Sapendo sostenere il senso della sproporzione, aspettando con fiducia che ciascuno proceda col suo ritmo.
Ricordando quanto Gesù dice in un’altra parabola: del seme che “cresce da sé” (Mc 4,26-29). E questo cresce non perché gli stai addosso. Perché, senza imporre alcuna prospettiva a nessuno, va piuttosto favorito in ciascuno l’emergere delle sue potenzialità. “Il regno dei cieli – infatti – è simile a un uomo che ha seminato il buon seme nel campo”. Anzi, il testo greco dice anche di “un seme bello”. E noi caparbiamente continueremo a credere che il seme crescerà proprio perché Dio lo ha seminato perché è buono e bello. E che crescendo poi potrà diventare un albero tanto grande che gli uccelli del cielo faranno dei nidi tra i suoi rami. O, come dice ancora il greco del Vangelo: ci faranno una tenda. Perché il cuore del nostro Dio da sempre ha desiderato fare tenda tra noi: “e il Verbo si fece carne e venne ad abitare tra noi” (Gv 1,14).
“Lasciate che l’uno e l’altra crescano”.
E resta ancora una domanda: “da dove viene la zizzania?”. E alla questione Gesù risponde dicendo: “un nemico ha fatto questo”. Poi, nella spiegazione che segue la parabola, questo nemico sarà inteso come “il demonio”. Ma importa qui la reazione dei servi che si affrettano a dire: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”, mentre il padrone taglia netto dicendo loro: “Lasciate che l’uno e l’altra – cioè la zizzania e il seme buono – crescano insieme fino alla mietitura”.
Un divieto tanto chiaro che tuttavia in duemila anni di cristianesimo è stato troppo disatteso. Nei grandi avvenimenti della storia, come anche in quelli più quotidiani, con facilità ci siamo arrogati – e ancora osiamo – il diritto di giudicare e di estirpare nel cuore della gente. Mentre Gesù sembra dirci piuttosto che la convivenza del buon grano e della zizzania, proprio questa mistura, è una condizione permanente della storia di noi tutti. E questa mescolanza di bene e di male lo dobbiamo poi constatare e accettare anche a partire da noi stessi.
Per il Vangelo di Gesù non abbiamo più bisogno di estirpatori che puntino il dito, al fine di avere davanti un campo immacolato e improbabile, ripulito da ogni impurità. Sta piuttosto nel campo di ciascuno quell’energia che rende uomini e donne non dello strappo, ma della crescita. Continuare a puntare il dito per estirpare chissà che cosa dal cuore della gente creerà solo vuoto e deserto, mentre il Vangelo di Gesù continuerà ad annunciare che Dio ha sempre inteso seminare nel campo del mondo di ciascuno e di tutti un seme buono e bello, aspettando con pazienza che cresca.
don Walter Magni