Rito Ambrosiano – Commento al Vangelo di domenica 14 Gennaio 2024 – don Walter Magni

II DOMENICA DOPO L’EPIFANIA

Anno B – Rito Ambrosiano

Benedetto il Signore, Dio d’Israele, egli solo compie meraviglie

Giovanni 2,1-11 – In quel tempo. 1Vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la  madre di Gesù. 2Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. 3Venuto a mancare il vino,  la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». 4E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è  ancora giunta la mia ora». 5Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». 6Vi  erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta  e centoventi litri. 7E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino  all’orlo. 8Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi  gliene portarono. 9Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua –  chiamò lo sposo 10e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già  bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora». 11Questo, a  Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi  discepoli credettero in lui. 

Fratelli, Sorelle, 

la festa di nozze di due giovani sposi (II Domenica dopo l’Epifania, 14 gennaio 2024) avvia il  primo dei sette segni che, nel Vangelo di Giovanni, tracciano il percorso che porterà Gesù a dare  compimento alla nostra salvezza nel segno supremo della Sua morte e della Sua resurrezione. E tale  è la forza che attraversa questa festa nuziale che, come si dice al termine del racconto, avendo Gesù  manifestato “così la sua gloria (e) i suoi discepoli credettero in lui”.  

“L’inizio dei segni” 

E si potrebbe cominciare col dire che un segno non è un miracolo. Un miracolo è sempre qualcosa  di eccezionale, che incuriosisce per la sua spettacolarità. Un segno, quando avviene, chiede una sua  attenzione: senti subito che è capitato proprio per te; per dirti qualcosa di importante e di decisivo.  Un segno è come un indice che punta in avanti, che intende segnalarti qualcosa di importante e  decisivo per te. E il primo insegnamento che ci viene da questo episodio deriva proprio dal  contesto, dall’orizzonte geografico, territoriale, nel quale queste nozze avvengono.

Ci troviamo,  infatti, nel cortile di una casa di Cana di Galilea, un piccolo e sconosciuto villaggio a pochi  chilometri da Nazareth, dov’era cresciuto Gesù. Perché il nostro Dio Si manifesta volentieri,  trovandoSi a Suo agio, nella ordinarietà dei nostri giorni che trascorrono in modo umile e semplice.  Con questo non si vuole negare l’importanza della dottrina dei segni sacramentali di Dio, cioè della  Sua presenza reale, che riconosciamo collocati anzitutto nelle chiese o nei santuari che raccolgono  le nostre devozioni.

Tuttavia, stando al Vangelo, il primo dei segni, “il principio dei segni” che  manifestano la salvezza portata a noi dal Figlio di Dio, non avviene nel Tempio di Gerusalemme,  ma più semplicemente là dove l’amore di due giovani sposi si avvia. Così come anche Gesù viene  concepito in Maria di Nazareth di Galilea. E questo ci incoraggia pertanto a saper scorgere i segni  della presenza salvifica di Dio anzitutto nella quotidianità dello scorrere dei nostri giorni.  

“Fu invitato alle nozze anche Gesù” 

E cosa cerchiamo di giorno in giorno? Infondo noi tutti siamo sempre alla ricerca di intrattenere  relazioni buone. Noi cerchiamo anzitutto amore. Premurandoci, per quanto ci è possibile, di amare e  d’essere a nostra volta amati. E qui siamo al secondo in-segnamento. Perché, nel contesto di questo orizzonte di un amore dato e ricevuto, Dio ci raggiunge, lasciandoSi persino invitare. Si dice,  infatti, che a quelle nozze anzitutto era invitata “la madre di Gesù”, ma che “fu invitato alle nozze  anche Gesù, con i suoi discepoli”. Proprio come quando cantiamo: “dov’è carità e amore, lì c’è  Dio” o come dirà Gesù nel Vangelo di Matteo: “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io  in mezzo a loro” (18,20). Gesù cioè viene invitato a queste nozze come uno di famiglia.

In un  contesto carico di emozioni e di improvvisate. Dove persino può capitare che qualcuno si sbilanci,  intonando un canto o avviando una danza. Senza tutte le formalità e l’atmosfera compassata di certe  liturgie che non conoscono un sussulto, un trasalimento del cuore, un minimo di passione. Al punto  che Dio stesso potrebbe non riconoscerSi più, sentendoSi così irrigidito. Il nostro Dio, invece, proprio per amore, è uno che Si sbilancia per primo. Sino a dare la Sua vita, sino a morire per amore  nostro. Così come ha fatto con una donna carica di passione e di amore come la Samaritana. Così  come potrebbe fare con ciascuno di noi, se mai Lo invitassimo. Un Dio che non disdegna affatto il  vino buono, se questo ci dà gioia, facendoci intuire l’ebbrezza dell’amore vero. 

“Non hanno più vino”  

E siamo al terzo in-segnamento. Al segno di un’abbondanza che supera ogni aspettativa. Dove non  bastano sei giare di pietra stracolme d’acqua, che solo Lui può trasformare in un vino buono e  spumeggiante. Ma se poi avviene che non c’è più entusiasmo, cosa dire, come possiamo ancora  danzare nelle nostre chiese? Per questo diventa sempre più urgente e decisiva Maria, che sola sa accorgersi di quanto ancora ci manca davvero. Così avvicina Gesù e dice: “non hanno più vino”. E  Lui, senza fare troppe questioni, dice ai servi: “’Riempite d’acqua le anfore”. Guardando a certe  pesantezze delle nostre comunità, non possiamo che ripetere l’invocazione di Maria. Davvero a  volte si ha l’impressione che “non abbiamo più vino”.

Certo dovremo cominciare ad abbandonare  la supponenza di chi ritiene che predisposta la forma, ripetuta la formula, allora è fatta! Andrà soprattutto riscoperta la bellezza di un’eucaristia che non è più un dazio da pagare, una presenza  senza coinvolgimento, come una giara di pietra svuotata dall’abitudine. Una eucaristia domenicale  attraversata dall’ebbrezza che ci deriva dal vino buono che Gesù ci ha regalato: “fate questo in  memoria di me”. Ci renda dunque il Signore come quei servi che eseguono semplicemente quanto  Gesù aveva loro ordinato di fare. Servi umili e silenziosi, che giunti a sera, stanchi, potrebbero  sentirsi un po’ inutili, semplicemente gratuiti e senza pretese. E che non si stancheranno di pregare  così: non abbiamo più vino, ma tu Signore donaci ancora il gusto e la gioia del Vangelo. 

don Walter Magni 

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