IV DOMENICA DOPO PENTECOSTE
Anno B – Rito Ambrosiano
Il Signore regna su tutte le nazioni
Matteo 22,1-14 – In quel tempo. Il Signore 1Gesù riprese a parlare loro con parabole e disse: 2«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. 3Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. 4Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: “Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. 5Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; 6altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. 7Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. 8Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; 9andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. 10Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. 11Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. 12Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. 13Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. 14Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».
Fratelli, sorelle
Sta scritto nel Vangelo che “Gesù riprese a parlare in parabole” (III domenica dopo Pentecoste, 16 giugno 2024). Gesù discuteva con gli scribi e i farisei, ma con la gente preferiva invece raccontare e raccontare parabole, prendendo spunto da qualche episodio di vita o da quelle immagini che Gli erano rimaste negli occhi. E così finiva per parlava a tutti, anche ai Suoi oppositori e pure a ciascuno di noi che ancora oggi Lo stiamo ad ascoltare.
Il servizio prezioso di chi invita
E Gesù comincia dicendo: “il regno dei cieli è simile a un re” che aveva deciso di fare una grande festa di nozze per suo figlio. Chissà chi Gliel’aveva dato un tale spunto che fissa la nostra attenzione su un re tanto premuroso nell’organizzare le nozze del figlio, che subito invia i servi a chiamare degli invitati che hanno ben altro a cui pensare.
Rifiuto strano che tuttavia non frena il re che a sua volta decide di inviare altri servi ad altri invitati, con l’impegno di spiegare che tutto è ormai pronto e che basta venire! Ma la reazione dei nuovi invitati si fa volgare e persino violenta, al punto che alcuni “presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero”. Così, tra la figura del re tutto preoccupato delle nozze del figlio e una schiera innumerevoli di invitati che disertano l’invito, ecco emergere questo gruppo di servi disposti a pagare con la vita l’annunciare un Dio che “ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito” (Gv 3,16).
Servi per amore, servi senza paura, chiamati continuamente a disseppellire un Dio fatto così, semplicemente. Come anche scriveva la giovane Etty Hillesum in una notte di mistica rivelazione: “Una cosa diventa sempre più evidente per me, e cioè che tu non puoi più aiutare noi, ma che siamo noi ora a dover aiutare te, perché solo così riusciamo ad aiutare noi stessi. L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, che è anche l’unica cosa che ancora conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini” (Diario 1941-1943).
“cattivi e buoni”
E in questo susseguirsi di inviti ad oltranza, ecco che dalle labbra di Gesù fuoriesce un’espressione che forse ancora stona e ci fa pensare. I servi, infatti, usciti per la terza volta dal palazzo del re, cominciarono a radunare “tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni”. Al punto che “la sala delle nozze si riempì di commensali”. Che pure rientrano nella strategia d’invito del re, se, come verremo a sapere, proprio Suo Figlio si farà la fama d’essere “un mangione e un beone, amico dei pubblicani e delle prostitute” (Mt 11,19).
Perché poi la questione finisce qui: avere a che fare con un Dio che non fa discriminazioni e sa stare con tutti. Anche con quelli che noi giudicheremmo indegni. Sta scritto, infatti: “cattivi e buoni”. Quasi che i peccatori avessero un diritto di partecipazione al banchetto delle nozze del figlio da riaffermare mentre il celebrante annuncia forte l’invito: “beati gli invitati alla cena del Signore: ecco l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”.
Come a dire che la festa di Dio tra gli uomini, la Sua eucaristia, non è anzitutto per chi si ritiene sano, perché Gesù non è “venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori” (Mc 2,17). E se “solo Dio è buono” (Mc 10,18), noi siamo un impasto di bene e di male che Lui non Si è vergognato di amare. “Non sono – infatti –venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo” (Gv 12,47). LasciamoLo fare questo Dio caparbio con ciascuno di noi. LasciamoLo fare ad oltranza, secondo la misura del Suo cuore, dal cuore continuamente uscirà sangue ed acqua.
Rivestirsi di Lui, continuamente
Particolare, tuttavia, non irrilevante in questa parabola resta anche quello della veste nuziale. Il re, infatti, è entrato nella sala nuziale per incontrare tutti gli invitati, ma ecco che s’accorge che uno non indossa l’abito giusto della festa. E proprio questo lo indispettisce e lo indigna profondamente, sino a volergliene chiedere conto: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”.
Se grande è il sogno che Dio ha nei nostri confronti, se immense sono le Sue attese, un segno di compromissione, di adesione da parte nostra avrà il diritto di pretenderlo. Abbiamo a che fare con un Dio che non ci considera dei burattini inerti, dei piccoli robot da manovrare a piacimento. Solo ci chiede un sussulto, un fremito del cuore nei Suoi confronti. Come solo accettasse di sentirSi dire all’infinito: “O Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa, ma di’ soltanto una parola e io sarò salvato” mentre in fila ci inoltriamo verso l’altare per rivestici di Lui, come direbbe Paolo ai Romani: “rivestitevi del Signore nostro Gesù Cristo” (13,14), per riempirci di Lui, come ripeteva con insistenza ai Colossesi: “Rivestitevi di sentimenti di misericordia” (3,12).
Penso al momento commovente nel quale il celebrante ancora affida ai neobattezzati una veste bianca, dicendo: “vi siete rivestiti di Cristo… questa veste sia segno della vostra nuova dignità” (Gal 3,27). Che grazia grande questo continuo rivestirci di Lui. Passare una vita intera, giorno dopo giorno sentendomi Suo, sentendoLo mio, con me, continuamente. Che altro desiderare? Tu sei tutto per me Signore.
don Walter Magni