Rito Ambrosiano – Commento al Vangelo di domenica 16 Ottobre 2022 – don Walter Magni

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DEDICAZIONE DEL DUOMO DI MILANO
CHIESA MADRE  DI TUTTI I FEDELI AMBROSIANI

Anno C – Rito Ambrosiano – 16 Ottobre 2022

Rendete grazie al Signore, il suo amore è per sempre

Luca 6, 43-48 In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: 43«Non vi è albero  buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono.  44Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia  uva da un rovo. 45L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal  suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda.  46Perché mi invocate: “Signore, Signore!” e non fate quello che dico? 47Chiunque viene a me e ascolta  le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile: 48è simile a un uomo che, costruendo una  casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta la piena, il fiume investì  quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene.

Fratelli, sorelle, 

a partire dalla domenica della Dedicazione (16 ottobre 2022), il Tempo dopo Pentecoste percorre  l’ultimo tratto dell’anno liturgico, fissando l’attenzione sulla bellezza del Duomo di Milano, la nostra  Chiesa cattedrale. Il titolo liturgico ci regala inoltre l’immagine di una Chiesa che si estende sull’intero  territorio diocesano: Dedicazione del Duomo di Milano, Chiesa Madre di tutti i fedeli ambrosiani.  

L’albero e i frutti 

La prima immagine che il Vangelo di Luca suggerisce è quella dell’albero che dà frutti. Nella Bibbia la  realtà dell’albero è citata molto spesso, carica di una intensa capacità simbolica. Potremmo ricordare  l’Albero della vita piantato nel giardino terrestre, secondo il Libro della Genesi. C’è il Salterio che nel  Salmo paragona il credente a un albero che, in forza della sua capacità di estendere le radici verso il  torrente che gli scorre accanto, ha foglie sempre verdi e produce frutti abbondanti e squisiti.

E si  potrebbero ricordare anche gli alberi evocati nei vangeli: il sicomoro sul quale sale Zaccheo o il  granellino di senape – ricordato da Gesù – che, pur così microscopico, una volta piantato diventa un  albero tanto grande che persino “gli uccelli del cielo si annidano tra i suoi rami” (Mt 13,22) e “possono  ripararsi alla sua ombra” (Mc 4,32).

E infine va ricordato l’albero della croce, strumento supremo della  nostra redenzione in grado di regalarci il frutto più bello e compiuto della nostra fede: la vita che  scaturisce dalla resurrezione di Gesù. Com’è possibile che un albero antico e provato come quello che  la Chiesa rappresenta dia ancora frutti buoni? Perché è rimasta e resta saldamente radicata, innestata  all’albero che Dio ha piantato per sempre sulla nostra terra: “Ecce lignum crucis in quo salus mundi  pependit: venite adoremus!” (Canto gregoriano del venerdì santo). Solo alimentandosi allo Spirito del  Crocifisso la Chiesa potrà continuare a dare frutto. E “il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace,  pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5,22). 

Bocca e cuore 

Un’altra immagine del Vangelo odierno riguarda il rapporto tra bocca e cuore: “L’uomo buono dal  buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la  sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda”. La misura qualitativa delle molte parole che  ancora la Chiesa proclama al mondo è data dalla capacità di attingere al cuore di Cristo Gesù che la  abita. Quante parole scorrono dalle nostre predicazioni, nelle catechesi, nei documenti e nelle  programmazioni pastorali. Dobbiamo tornare a radicare le nostre molte parole a quella sorgente viva di  senso che è la Parola.

Permane purtroppo il rischio di un certo vaniloquio ecclesiastico che fa sì che tante parole pronunciate nelle nostre chiese non trasmettano più la forza trasformante della Sua misericordia  e della Sua pace. È alla Parola di Gesù che bisogna sapere continuamente ritornare. La stessa  proclamazione della Parola andrebbe meglio curata, permettendo a chi ascolta di percepirne la forza  attraverso il vibrare stesso della voce di chi la legge.

La Chiesa, diceva nella Mater et magistra papa  Giovanni XXIII, “non è chiamata anzitutto a essere esperta di tutto, ma a parlare a tutti trasmettendo dal  profondo del suo cuore la misericordia amante del Suo Signore”; e ancora: “la chiesa è come la vecchia  fontana del villaggio, che disseta le varie generazioni. Noi cambiamo, la fontana resta”. Prima di  pretendere di parlare nelle nostre comunità, importa aver ascoltato e assimilato la Parola, permettendole  anzitutto di compiere in noi la sua corsa.  

La casa sulla roccia 

E la terza immagine evangelica rievoca la casa costruita sulla roccia: “chiunque ascolta la mia parola  e la mette in pratica, è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto  le fondamenta sulla roccia”. Rapportata alla Chiesa, l’immagine di una casa fondata sulla roccia ci  dovrebbe portare anzitutto a considerare la solidità delle sue fondamenta.

Invece nel tempo è avvenuta  una strana inversione: quello che era e doveva essere il riconoscimento della grandezza di Dio si è mutato  nell’immagine di una Chiesa forte e potente, persino battagliera. Come invece ci ricorda oggi la Lettera  di Pietro: è Gesù “la pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio”. Lui la pietra  angolare che sorregge la Chiesa lungo la storia, non il contrario.

Gesù è il fondamento crocifisso che  comporta il seme della vittoria sicura sulla morte, in forza della Sua resurrezione. Ed è in forza di Lui  che la Chiesa diventa capace di curare le ferite, di riscaldare il cuore dei fedeli, creare vicinanze concrete  e prossimità autentiche. E, se fosse necessario, anche una Chiesa “ospedale da campo dopo una battaglia” (Francesco, 21 settembre 2013).

Cominciando e ricominciando sempre dal basso, come ha fatto e  insegnato Gesù: “si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla  vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con  l’asciugamano di cui si era cinto” (Gv 13,4-5). Questa è la Chiesa forte e sicura entro la quale Gesù vive  ed opera chiamandoci continuamente a stare con Lui.

don Walter Magni