VI DOMENICA DOPO PENTECOSTE
Anno C – Rito Ambrosiano – 10 Luglio 2022
Ascoltate oggi la voce del Signore
VANGELO secondo Giovanni 19,30-35 – In quel tempo. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito. Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate.
Fratelli, sorelle,
nella liturgia di questa domenica (VI dopo Pentecoste, 17 luglio 2022), ritorna spesso il termine alleanza che accompagna l’intera storia della salvezza. Dall’alleanza stabilita da Dio con Abramo e i suoi discendenti sino alla nuova alleanza definita da Gesù in termini evidentemente eucaristici: “questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati” (Mt 26,28).
“È compiuto”
Ed è proprio in Gesù che la storia complessa e persino drammatica dell’alleanza biblica tra Jawhè e il suo popolo trova pieno compimento nel sacrificio della croce, al momento della morte, quando “dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: ‘È compiuto!’. E, chinato il capo, consegnò lo spirito”. E davanti a questa scena non abbiamo più parole. Non c’è altro da dire, da spiegare. E altro non resta che chinare il capo e piegare le ginocchia in semplice e profonda adorazione. E lo stesso evangelista Giovanni commenta la scena dicendo: “chi ha visto né dà testimonianza (…) egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate”. Come intuisse che in quel grido, in quelle stesse parole sta la chiusa e il senso di tutta l’esistenza di Gesù; del Suo vangelo: di tutto quanto ha raccontato e fatto lungo le strade della Palestina. Anzi Gesù così muore, proprio “perché anche voi crediate”. Come si potesse percepire in occasione di ogni eucaristia celebrata in qualsiasi parte del mondo la profondità del Suo mistero che ancora si compie. Perché Lui, che dapprima S’era incamminato verso di me, ora semplicemente entra in me. Prende casa e abita proprio in me e in ogni credente che a Lui osa guardare senza distogliere lo sguardo. Il Suo compimento che in noi S’adagia, che proprio in noi che all’Eucaristia osiamo partecipare giunga a compimento, trovando il suo vero senso, il suo pieno compimento appunto. In un abbraccio senza fine. Come un invito a ripetere le Sue parole, i Suoi gesti, il Suo stesso sacrificio, continuando nella storia la Sua nuova ed eterna alleanza d’amore.
In Lui ci ha redenti
Così non è difficile accorgersi che in questo struggente bisogno di Dio di starci accanto, Gesù Si consegna totalmente, tutto a noi, per noi. Nulla trattenendo per Sé: “facendosi obbediente sino alla morte, e alla morte di croce” (Fil 2,8). In questo modo proprio la Sua morte diventa il sigillo della nuova e definitiva alleanza con gli uomini di questo mondo. E ciò che va colto e non andrà perduto è la sostanza, la tonalità d’amore gratuito che pervade questa Sua offerta sacrificale. Desiderio di incontro, bisogno di comunione di Dio con noi che proprio in noi s’acquieta e trova ristoro e pace. Quasi Dio stesso in Gesù potesse ripeter guardando a noi tutti dall’alto della Sua croce: “Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!” (Lc 12,49-50). Mentre diventano reali le parole pronunciate durante l’ultima cena: “Questo è il mio corpo dato per voi (…). Questo è il calice della nuova alleanza nel mio sangue, versato per voi” (Lc 22,19-20). Così Gesù non ci regala soltanto la salvezza da qualcosa, ma propriamente la Sua redenzione, che è molto di più. Gesù non ci salva dall’esperienza della morte, ma compie in noi con la Sua morte il miracolo della redenzione, trasformando la nostra debolezza in forza, la precarietà nella bellezza della Sua presenza, ciò che in noi è maledetto in benedizione, il tradimento in un atto d’amore; il pianto in danza, la veste di lutto in abito di gioia, la mia stessa carne nella Sua, per sempre.
Portare a compimento
Gesù ha pronunciato dall’alto della croce sette parole, sette espressioni che sono come una sorta di spiegazione di quanto Gesù stava compiendo con la Sua morte. Parole di perdono, parole di accoglienza, parole di affidamento al Padre che non finiremo mai di ripetere e fare nostre. Solo le parole del compimento – tutto “è compiuto” – non le potremo pienamente adeguare se non in Lui e in forza di Lui. Del resto, nel momento estremo della nostra morte ce ne andremo lasciandoci alle spalle cominciamenti, incompiutezze e tante inadempienze. Mi colpisce sempre l’espressione che il Vescovo pronuncia in occasione dell’ordinazione: Dio porti a compimento l’opera che ha iniziato in te (Fil 1,6). Donandoci la vita Dio ha avviato in ciascuno un’opera tanto grande della quale potremmo anche non avere piena consapevolezza. La stessa libertà di appassionarci e rischiare in imprese che solo in Lui potrebbero trovare un senso. Stando a una tradizione rabbinica Dio, rivolgendosi a Mosè, in ragione del compito affidatogli di liberare il suo popolo, facendolo entrare nella Terra promessa, gli dice, poco prima della morte: “Non spetta a te compiere l’opera, ma non sei libero di sottrartene” (Pirqè Avot 2,16). Don Andrea Santoro, qualche giorno prima di essere assassinato (5 febbraio 2006) scriveva: “Sono qui per abitare in mezzo a questa gente e permettere a Gesù di farlo prestandogli la mia carne. Si diventa capaci di salvezza solo offrendo la propria carne. Il male del mondo va portato e il dolore va condiviso, assorbendolo nella propria carne fino in fondo, come ha fatto Gesù”.
don Walter Magni