Rito Ambrosiano – Commento al Vangelo di domenica 17 Settembre 2023 – don Walter Magni

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III DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI IL PRECURSORE

Anno A – Rito Ambrosiano – 17 Settembre 2023

Grandi cose ha fatto il Signore per noi

Luca 9,18-22 – In quel tempo. 18Il Signore Gesù si trovava in un luogo solitario apregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che iosia?». 19Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia; altri uno degli antichi profeti che èrisorto». 20Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo diDio». 21Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno. 22«Il Figlio dell’uomo – disse – devesoffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso erisorgere il terzo giorno».

Fratelli, sorelle, 

Gesù, da grande Maestro, ha la capacità di porre sempre domande importanti. E i vangeli sono colmi  di domande perché ogni domanda è come se fosse una spinta che Gesù stesso fa ai Suoi – e che  l’evangelista rivolge poi al lettore – nel tentativo di renderli partecipi come attori reali nella Sua storiaAnche nel vangelo di oggi (III domenica dopo il Martirio di s. Giovanni il Precursore, 17 settembre  2023) Gesù pone delle domande importanti, che merita riascoltare.  

La rivelazione, un intreccio di domande  

Rendiamoci conto del fatto che tutte le domande che troviamo nei vangeli sono la dimostrazione  dell’originaria natura dialogica della rivelazione. La dimostrazione del desiderio di Dio di voler  intrattenere con l’umanità una relazione di amicizia, di alleanza, di dialogo inclusivo e reciproco. La  domanda posta da parte di Dio ad alcuni uomini in particolare all’inizio della storia della salvezza – si pensi ai dialoghi tra il Signore e Abramo, al rapporto vis-à-vis con Mosè, alla manifestazione  mistica col profeta Elia – è certamente uno dei luoghi del voluto coinvolgimento dell’uomo nella  rivelazione di Sé da parte del Dio di Israele. Cioè una rivelazione divina che è per, con e mai senza l’uomo.

Facendosi domande l’uno all’altro, Dio e l’uomo si manifestano stima e un interesse reale  reciproco e profondo. Si potrebbe persino affermare che la pienezza della rivelazione di Dio all’uomo  trova nell’inscindibilità della domanda e della risposta la sua struttura dinamica più vera. Diventa  così importante rendersi conto in che senso Gesù è definito spesso nei Vangeli come il Maestro. Cioè  come Colui che istruisce i Suoi discepoli – e dunque anche ciascuno di noi, Suoi discepoli oggi – avvalendoSi del metodo della domanda e della risposta. Al punto che qualche esperto ne ha contate  ben 217: la stragrande maggioranza sono domande rivolte ai discepoli (111) o a personaggi religiosi  importanti (51), ma anche alla folla (20), come pure a persone incontrate occasionalmente (34). E  persino andrebbe registrata una domanda drammatica posta da Gesù sulla croce al Padre Suo. 

L’orizzonte orante delle domande di Gesù 

Stando all’episodio evangelico odierno, va registrata una premessa. Si dice, infatti, che Gesù pone ai  Suoi una domanda, mentre “si trovava in un luogo solitario a pregare”. Come si volesse rimarcare  che la preghiera è di fatto l’orizzonte evangelico decisivo, la radice stessa, di tutte le domande che  Gesù pone. Come se la profondità del Suo dialogare con gli uomini, Gesù non l’avesse appresa dalla  frequentazione di qualche scuola rabbinica o di qualche maestro sapiente, ma unicamente dal rapporto  dialogico insondabile, intrattenuto costantemente nella preghiera col Padre Suo.

Si comprende così  in che senso Gesù sa leggere profondamente nel cuore degli uomini, intuendo senza fatica quante  domande si aggroviglino dentro ciascuno di noi. Domande che quasi implorano d’essere quanto prima  riprese ed espresse con parole anzitutto comprensibili a noi, sapendole poi indirizzare a un giusto  interlocutore. Se, infatti, ci si accanisce a tenercele dentro assolutizzandole, ci confonderanno sempre  di più e sempre più difficile sarà avviare un corretto discernimento verso una risposta possibile e  convincente. E così, tutti presi dai nostri pensieri, potremmo rischiare persino di costringere Gesù  dentro schemi ideologici ristretti e inconcludenti. Se, invece, ci si lascia condurre da Gesù e dalle Sue domande, allora si spalanca – per chi si lascia raggiungere – la possibilità che si possano formulare  domande ancora più ampie che ci aprono ad orizzonti prima inavvertiti. Come interrogativi che,  avviati dal cuore di Dio, a Lui ritornano, arricchiti di tutta la nostra libera e confidente adesione. 

Il Suo esigente e consolante domandare 

E così dunque va colto il senso della prima domanda di Gesù rivolta ai Suoi che il vangelo odierno ci  ricorda: “le folle chi dicono che io sia?”. Cosa dice la gente di me? In fondo, misurare le nostre  domande con le Sue significa cogliere tutta la passione di Gesù, il Figlio di Dio, che ci viene incontro,  entrando così nelle misure stesse del Suo annuncio evangelico, della Sua missione. Ma il desiderio  più profondo di Gesù è di raggiungere il nostro cuore. Là dove siamo chiamati a scegliere, prendendo  liberamente posizione nei Suoi confronti.

Così, in modo diretto, senza più alcuna mediazione chiede ancora: “ma voi chi dite che io sia?”. Che significa, lasciando che la domanda arrivi al fondo della  Sua intenzione: ma tu, proprio tu, cosa dici di me? Chi sono io per te? Se solo restiamo nell’orizzonte della risposta di Pietro – Tu sei “il Cristo di Dio” – siamo nell’alveo di una teologia perfetta, che tuttavia non dà ancora soddisfazione piena al cuore assetato d’amore di Gesù. “Una definizione, per quanto esatta, non ha nulla d’impegnativo. La perfetta risposta di Pietro sulla strada di Cesarea, non lo salva dal rinnegare tre volte il Maestro, mentre un generico: Tu, Signore, lo sai che ti voglio bene, questo lo impegna fino alla morte e più oltre” (P. Mazzolari, Impegno con Cristo).

In quel Suo domandare Gesù è più esigente con Pietro e con i Suoi, come con ciascuno di noi. Chiede un affidamento, una confidenza che semplicemente s’abbandona. Eppure basterebbe imparassimo a ripetere ogni giorno a Lui, senza stancarci: “Tu, Signore, lo sai che ti voglio bene” (Gv 21,15-19). 

don Walter Magni