Rito Ambrosiano – Commento al Vangelo di domenica 18 Giugno 2023 – don Walter Magni

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III DOMENICA DOPO PENTECOSTE

Anno A – Rito Ambrosiano – 18 Giugno 2023

Benedetto il Signore che dona la vita

Giovanni 3,16-21 – In quel tempo. Il Signore Gesù disse a Nicodèmo: 16«Dio ha tanto  amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia  la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché  il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già  stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. 19E il giudizio è  questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le  loro opere erano malvagie. 20Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le  sue opere non vengano riprovate. 21Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia  chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio». 

Fratelli, sorelle, 

in questa III domenica dopo Pentecoste (18 giugno 2023) la Parola ci invita a prendere le mosse dagli  inizi della creazione, quando “il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere dal suolo e soffiò nelle sue  narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente”. E perché mai il nostro Dio ci ha creati?  Ci ha riempito di vita, della Sua stessa vita? Altra risposta non c’è se non che ci ha creati per amore.  

“Dio ha tanto amato il mondo” 

Tutti nasciamo come figli, portando nella nostra carne i segni di chi ci ha generato. Ma l’atto  generativo che ci ha immessi nel mondo è preceduto da una intenzione divina – dovuta alla fantasia  dello Spirito santo – che ancora ci incanta, se solo lo desideriamo. Perché è quanto ci siamo abituati  a chiamare vita. Vita che ci attraversa. Che a volte sentiamo pulsarci dentro in modo irrefrenabile,  mentre in altri, invece, temiamo che venga meno. Che tanto si attenui vedendo i segni della malattia  e l’irrigidimento della morte. Che da credenti a Pasqua sentiamo riaffiorare potentemente dal corpo  crocifisso e martoriato di Gesù, come risurrezione di vita. Come vita divina, riprende a pulsare con  una forza che nessuno potrà mai più arrestare e annientare. Come Qualcuno che senti se accetti di  ascoltarLo ancora. Come una presenza che non si impone, eppure ti porti dentro. Tanto che il libro  della Genesi osa affermare che l’uomo è stato creato a sua immagine e somiglianza. E forse qualcosa  di simile aveva percepito Andrea, un ragazzo affetto da una disabilità che gli impediva persino i  movimenti più semplici, come vedere e parlare. Morto a 16 anni, il 13 luglio 2009. Attraverso il suo  computer scriveva: “chiunque mi sta a chiedere come mi sento, io, difettoso nel corpo ma non nella  mente e nel cuore, io rispondo: chi può dirlo fra noi chi è più felice? (…). Sì, decisamente benedetta  la mia nascita. Non un giorno solo ho pensato che sarebbe stato meglio non essere nato. Sono grato  alla vita e voglio che si sappia. Lotta sì, ma avendo come meta il cielo” (Avvenire, 29/772009). 

“da dare il suo Figlio unigenito” 

Dunque; “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”. Da una paternità capace di  tanto amore perché “ha tanto amato”, deriva un’unica grande verità: che la Sua intenzione più  profonda è solo quella per puro amore di Sé, di donarci Suo Figlio: “da dare suo Figlio unigenito”.  Teologicamente potremmo anche cercare di rinvenire le ragioni per le quali Dio da sempre ci ha  amati, sino a volerci regalare Suo Figlio. Ma per quanto si cerchi di inoltrarci in questo campo, non finiremo mai di cercare. Come si può spiegare un dono tanto grande? Un dono, piuttosto, anzitutto lo  si accoglie, lasciando che ci avvolga la gioia semplice e profonda che un dono così grande può  comportare. Come un Dio che non vuole affatto competere con noi, ma ha solo il desiderio d’essere  un amante. Armato solo di tenerezza e di una compassione senza fine. Come Colui che non essendo 

paragonabile a noi, accetta che noi ci paragoniamo a Lui, dopo che a noi si è fatto simile. Che senza  trattenersi gelosamente nella sua divinità, Si è piuttosto annientato, entrando definitivamente nella  nostra condizione umana, sperimentando la nostra umanità più intimamente di quanto noi potremmo  fare con noi stessi. E neppure ha voluto mettersi al nostro posto per prenderSi cura dei poveri o per  cambiare alcune cose del mondo riorganizzandole o volendo aggiustare il mondo sostituendoSi a noi.  La buona notizia, il Vangelo, è che Dio è venuto anzitutto a condividere la nostra condizione umana  per amore nostro, per amore soltanto (cf. H. Nouwen, Réflexions sur la compassion). 

“Perché il mondo si salvi attraverso di Lui” 

E non dimentichiamo quanto ancora Gesù precisa a Nicodemo quella notte: che “Dio non ha mandato  il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui”. Così che,  oltre al fatto d’essere anzitutto dono, Dio Si qualifica per essere soprattutto salvezza. Gesù, infatti,  non ha passato l’esistenza giudicando, ma declinando in continuazione parole e gesti di un amore che  salva e redime. Una passione per la nostra salvezza e la nostra gioia che è stata riversata nelle pieghe  e nelle piaghe della storia degli uomini. Senza imporSi e senza pretese, ma solo proponendoSi: “Dal  di fuori non si salva; lamentandosi non si salva: condannando soltanto non si salva nessuno. Cristo è  verità, giustizia, amore incarnato, cioè fatto uomo fra gli uomini e per gli uomini. Il nostro mondo ha  bisogno di Gesù Cristo, in un tipo di santità che viva e operi nel suo cuore stesso” (P. Mazzolari). 

Così la salvezza si sintetizza anzitutto nell’essere in Lui: “perché il mondo si salvi per mezzo di Lui”,  cioè stando in Lui, ritrovandosi in Lui. E non è questione anzitutto di chissà quale presa di coscienza,  di chissà quale consapevolezza mentale. Perché la Sua vita già ci pulsa dentro e ci appartiene. Anzi  ci appartiene in pienezza da quando Lui S’è fatto come uno di noi, rompendo ogni barriera e qualsiasi  distanza. Perché l’amore è il pane quotidiano della vita. E se non c’è, altro non resta che tristezza e  morte. Credere all’amore così come Lui ce l’ha rivelato, senza cadere nelle strettoie di un giudizio  senza scampo e misericordia. Che il mondo ancora e sempre “si salvi attraverso di Lui”.  

don Walter Magni