V Domenica dopo Pasqua
18 Maggio 2025 Anno C – Rito Ambrosiano
Dove la carità è vera, abita il Signore
Giovanni 13,31b-35 – In quel tempo. Il Signore 31Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. 32Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. 33Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire. 34Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. 35Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».
Fratelli, sorelle,
dov’era Gesù quando, preso da un ardore improvviso, decise di regalarci il suo comandamento nuovo? Era nel Cenacolo, nella stanza superiore. Ed era ormai notte, mentre le lucerne regalavano onde di luce silenziosa. E poco prima Gesù S’era cinto i fianchi con un asciugamano e aveva lavato i piedi ai Suoi discepoli (V domenica di Pasqua, 18 maggio 2025).
“Come io ho amato voi”
E poi fu l’ora della cena, l’ultima con i Suoi, quando il boccone intinto, segno di un amore estremo e disarmato, Gesù lo volle dare proprio a Giuda. Questi era uscito da poco, nella notte, e Gesù guardava uno ad uno quelli ch’erano rimasti. Per loro teneva in cuore da tempo parole che avevano il suono, il timbro di un testamento. E diceva così: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri”. E tutto sembrava fosse un chiaro invito a non dimenticare quelle parole così scandite, così chiare. E forse la stessa parola “nuovo“, “un comandamento nuovo”, li lasciava sospesi.
Come si accendesse in chi Lo stava ascoltando un’attenzione insolita, una sensazione diversa. Che se si fossero fermati all’“amatevi” soltanto, avrebbero potuto pensare che l’amare gli altri sino all’amore del nemico fosse un invito che già trapelava in qualche pagina del Primo Testamento. Come sta scritto nell’Esodo: “Quando vedrai l’asino del tuo nemico accasciarsi sotto il carico, non abbandonarlo a se stesso: mettiti con lui ad aiutarlo” (Es 23,5). Ma Gesù non S’era limitato a dire quella sera: “Amatevi gli uni gli altri”. Aveva mosse le parole, come le volesse prolungare e aveva aggiunto: “Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri”. Perché proprio in quel “come io ho amato voi” si racchiudeva tutti il nuovo del Suo comandamento quella sera. Amare gli altri sì, amare anche i nemici, “amarsi gli uni gli altri” ma attenendosi allo stile inconfondibile del “come io ho amato voi”.
“Amatevi tra voi”
E proprio su queste parole si sarebbe dovuta verificare, lungo i secoli, l’identità dei Suoi discepoli: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri”. Forse a qualcuno viene alla mente che la verifica dell’essere un vero credente o no un tempo spesso finiva per essere fatta a partire da ben altri parametri di comportamento. Su una moltitudine di questioni e di cose che con l’amore fraterno che deve assomigliare al Suo avevano ben poco a che fare.
Strano poi che, mentre Gesù ci parla di un comandamento nuovo non faccia tuttavia cenno all’amare anzitutto Dio. Come se il nuovo dell’amore di Dio, proprio quel nuovo che Lui ci ha dimostrato, fosse tutto consegnato e dimostrato nell’“amatevi tra voi”. Tutti, cioè, sapranno che siete discepoli miei, che siete seguaci autentici del Figlio di Dio: “se avete amore gli uni per gli altri”.
Come anche dirà Giovanni poi nella sua Prima lettera: “Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1Gv 4,20), aggiungendo subito dopo “che questo è il comandamento che abbiamo da lui” (4,21), proprio “questo”. E merita notare l’insistenza perché ci riporta ancora al nuovo, a Lui che è il nuovo, la sorgente del nostro amare e del nostro amarci. Infatti, “noi amiamo perché egli ci ha amati per primo”.
E così ancora gli occhi accorrono al come Lui, a “come” Gesù ci ha amati. Non in modo astratto e retorico: con gesti e parole che non ti tolgono il fiato, ma ti allargano il cuore, ti fanno respirare, amando. Amando così come Lui ci ha amati.
“Passò beneficando e risanando”
E noi quando amiamo togliamo il fiato alla gente o la facciamo respirare? Bisognerebbe rincorrere nei vangeli tante parole, tanti Suoi gesti. Si pensi anche solo al gesto di Gesù chinato, che Si mette a lavare i piedi ai Suoi discepoli. Perché così diventa evidente e concreto il Suo invito ad amare “come” Lui ci ha amati. Proprio come aveva appena detto: “voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi” (Gv 13,13-15).
Ecco, dunque, il Suo mandato: pulire piedi, sollevare stanchezze. E quindi: come posso anch’io, oggi, sollevare stanchezze? Quali? E dove, come, quando? E dovremmo continuare a percorrere certe pagine dei vangeli per imparare il come proprio Lui ci ha amati. E non finiremo di farlo. Tanto che anche Pietro nel libro degli Atti, trovandosi a Cesarea nella casa di Cornelio, ebbe a pronunciare un’espressione folgorante, volendo declinare l’amore col quale Lui ci ha amati.
Dicendo che “passò beneficando e risanando” (At 10,38). Come ci volesse stampare bene nella mente cosa significa amare stando al Suo Vangelo. Cioè: passare, beneficare, risanare. E le estensioni di questi verbi sono infinite. Passare cioè sostando, piegandosi sull’altro che incontriamo. Beneficare facendo bene il bene, sino a risanare, spargendo balsamo sulle ferite della gente. E dunque sia proprio così per me, per te, per tutti, ma tenendo lo sguardo fisso su di Lui, continuamente.
don Walter Magni