Rito Ambrosiano – Commento al Vangelo di domenica 19 Giugno 2022 – don Walter Magni

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II DOMENICA DOPO PENTECOSTE

Anno C – Rito Ambrosiano – 19 giugno 2022 

Ti ho cercato, Signore, per contemplare la tua gloria

VANGELO secondo Matteo 6,25-33 – In quel tempo. Il Signore Gesù ammaestrava le folle dicendo:  «Io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro  corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?  Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il  Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può  allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come  crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con  tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e  domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi  dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte  queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate  invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta».

Fratelli, sorelle, 

Agostino scrive che Gesù è “bello nei miracoli, bello nella flagellazione, bello quando invitava a  seguirlo, bello quando non ha disdegnato la morte, bello quando è spirato, bello quando è risorto:  bello sulla croce, bello anche nel sepolcro, bello nel cielo” (Enarrationes in psalmos 44,3). Così come  affascinante è la pagina di Vangelo di questa liturgia (II domenica dopo Pentecoste, 19 giugno 2022). 

La bellezza che salva  

Gesù parlava alla gente con immagini che incantano: “guardate gli uccelli del cielo (…), i gigli del  campo”. Penso alla retorica di tanti discorsi, all’aridità di certi documenti, alla superficialità di certe  immagini della pubblicità e dei nostri media in genere dove evidentemente il fumo prevale  sull’arrosto. A volte manca proprio un po’ di poesia e guizzo di ispirazione. Colpisce poi l’insistenza  con la quale Gesù usa alcuni verbi. In questo caso, per evitarci di cadere in pericolose forme di ansia,  rasentando la depressione, per tre volte ci ripete: “non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che  mangerete e berrete”; “non preoccupatevi dicendo: ‘Che cosa mangeremo? Che cosa berremo?’”“non preoccupatevi per il domani”. E la conclusione ci porta subito su un altro piano: “Cercate  prima il regno di Dio e la sua giustizia”.

Basta ascoltare una pagina come questa e subito ti senti  riconciliato con la vita. Lungo i secoli, la ragione teologica e la bellezza artistica nelle tante  espressioni, hanno declinato e divulgato a loro modo la verità del Vangelo. C’è una bellezza intrinseca  ai vangeli stessi che, prima d’essere tradotta e spiegata nella varietà di tanti linguaggi, merita d’essere  riconosciuta per se stessa. Nell’immediatezza di un primo ascolto, di una prima lettura. In questo  senso il card. Martini affermava che la Bibbia letta e pregata, in particolare dai giovani, sarebbe stata  il libro del futuro del continente europeo, Il libro del terzo millennio (II simposio dei vescovi europei,  2001). Bellezza capace di salvare il mondo (F. Dostoevski, l’Idiota).  

Occuparsi, non preoccuparsi 

Gesù poi declina a Suo modo alcuni verbi. Dice ad esempio: “guardate” gli uccelli del cielo e “osservate” i gigli del campo. Come ci volesse distogliere dall’affanno non solo del superfluo e  dell’inutile, ma anche nei confronti di beni da tutti ritenuti necessari, come il cibo e il vestito. Ma una  distinzione qui va fatta tra l’occuparsi e il preoccuparsi. Non è, infatti, sbagliato occuparsi delle cose  necessarie, facendo tuttavia attenzione a non lasciarsi occupare da queste oltre misura, pre occupandocene oltre il necessario. Subendo, da parte di ciò che è pur necessario, una vera e propria  invasione, un predominio. Quando anche certe urgenze eccedono, si finisce per perdere il volto della  gente, la forza del pianto, la bellezza di un sorriso.

Cosa potrebbe dire Gesù di certe nostre  preoccupazioni? Credo che sorriderebbe amabilmente. Del resto, insistere su certe preoccupazioni cosa ci regala in più della vita? “Chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la  propria vita?”. Anzi, paradossalmente certe situazioni critiche nelle quale finiamo per trovarci  potrebbero nascondere, un dono, una grazia! Come si dischiude l’impensabile dentro un’esperienza  dolorosa o di precarietà profonda. E se pure alcune forme di depressione ci convincono che è  impossibile avere tutto sotto controllo, perché non tornare a sorridere un po’ di se stessi? A volte un  po’ di autoironia è un vero e proprio toccasana. Mentre prendevo un caffè in un bar, mi ha colpito la  scritta stampata su una cartolina del bancone: “Dio esiste. Non sei tu. Rilassati”.  

“Cercate anzitutto il Regno di Dio” 

E contro l’affanno e certe pesanti forme di preoccupazione Gesù ci fa infine un regalo prezioso. Una  volta la chiamavamo la Provvidenza, ma evangelicamente questa ha un nome preciso per Gesù: è la  paternità di Dio su tutto e su ciascuno. Gesù ci attesta che il nostro è un Dio che Si occupa persino  dei dettagli della vita delle Sue creature, uccelli dell’aria e erba del campo compresi. Ecco perché, se  entriamo in questa prospettiva non resta che cercare “anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”. Più che di un anzitutto, qui si tratta propriamente di un prima. Non nel senso di un primato cronologico (prima una cosa e poi l’altra), ma di un primato  assoluto, una paternità divina che presiede l’intera realtà.

Che non lascia nessuno in balia del caso:  “non preoccupatevi dunque dicendo: ‘Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa  indosseremo?’. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che  ne avete bisogno”. Certo, va vinta una sorta di pericolosa illusione che a volte ci prende: “alla ricchezza, anche se abbonda, non attaccate il cuore” (sl 62,11); o anche una pericolosa pigrizia che  ancora ci potrebbe confondere: perché “l’uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali  che periscono” (sl 49.21). Un testo poetico ancora mi rasserena: “È la memoria una distesa / di campi  assopiti / e i ricordi in essa / chiomati di nebbia e di sole. / Respira / una pianura / rotta solo / dagli  eguali ciuffi di sterpi: / in essa / unico albero verde / la mia serenità” (Turoldo, La memoria). 

don Walter Magni