PENULTIMA DOMENICA DOPO L’EPIFANIA
20 febbraio 2022 – Rito Ambrosiano – Anno C
detta «della divina clemenza»
VANGELO. Marco 2,13-17. La chiamata di Levi, il pubblicano – In quel tempo. Il Signore Gesù 13uscì di nuovo lungo il mare; tutta la folla veniva a lui ed egli insegnava loro. 14Passando, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. 15Mentre stava a tavola in casa di lui, anche molti pubblicani e peccatori erano a tavola con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che lo seguivano. 16Allora gli scribi dei farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: «Perché mangia e beve insieme ai pubblicani e ai peccatori?». 17Udito questo, Gesù disse loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».
Fratelli e sorelle,
nelle domeniche che precedono l’inizio della Quaresima la liturgia, come scavando nel cuore stesso di Dio ci racconta della Sua misericordia (Domenica della divina clemenza, Penultima dopo l’Epifania, 20 febbraio 2022). Come anche afferma Paolo nell’Epistola: “ho ottenuto misericordia, perché Gesù Cristo ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità”.
Dio, il misericordioso
Riferendoci ad alcune esperienze religiose non è difficile accorgersi quanto il tema della misericordia sia importante. Dio nell’Islam è anzitutto Allàh, ma subito dopo viene denominato il Misericordioso. il Compassionevole. Caratteristica che ritorna anche nel buddismo per indicare un tratto fondamentale del Buddha. Come se Dio, trapelando nell’anima profonda di ogni creatura
autenticamente umana, dicesse: “miei cari, vi voglio un bene immenso e non posso dimenticare alcun aspetto della realtà che ho creato, immesso nell’essere. E come vorrei che nessuno si sentisse escluso dal mio abbraccio, dal volgere a me anche solo uno sguardo, trovandosi solo o abbandonato, escluso o ferito”. Come se, davanti alla nostra stessa impotenza a risolvere gli infiniti problemi di un mondo attraversato dall’esperienza del male, solo il Suo sguardo misericordioso li potesse acquietare e risolvere.
Sino a raccogliere il grido di un bimbo innocente, sino a sanare certe ferite incolmabili. “Dentro di me c’è una sorgente molto profonda. E in quella sorgente c’è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più sovente essa è coperta da pietre e sabbia: allora Dio è sepolto. Allora bisogna dissotterrarlo di nuovo (…). Dentro di me ci sono due grandi sentimenti basilari: l’amore, un amore inspiegabile, forse non meglio identificabile, perché è un sentimento primigenio nei confronti delle creature e di Dio, o perlomeno di ciò che io chiamo Dio; e alla compassione, una compassione infinita che a volte mi provoca pianti a dirotto” (Etty Hillesum, Diario 1941-1942).
Sguardo che arriva al cuore
E la compassione misericordiosa è anzitutto una questione di sguardo. Dello stesso sguardo di Dio che ad alcuni uomini è data la grazia di saper replicare ed esprimere nei confronti dei propri simili. Come si venisse a evidenziare un tratto stesso della primordiale somiglianza con Dio, come afferma la Genesi. Con quella profondità che sa raggiungere il cuore, senza ferirlo, ma trasformandolo. Lo sguardo di Gesù che “sbarcato, vide una gran folla e ne ebbe compassione, perché erano come pecore che non hanno pastore; e si mise a insegnare loro molte cose” (Mc 6,34) è come quello del Samaritano che, davanti a un malcapitato, “passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui” (Lc 10,33-34).
Forse Gesù è percorso da un sentimento simile, quando il vangelo odierno racconta di Lui, che dopo aver insegnato alle folle in riva al mare, passando vede “Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: ‘Seguimi’. Ed egli si alzò e lo seguì”. Al principio della chiamata non c’è alcun programma preordinato, semplicemente gli dice: “seguimi”. Gesù non è preoccupato di intravedere in Levi un apostolo promettente. Certo la profondità del Suo sguardo coglie nel segno, ma è anzitutto un invito gratuito perché Gesù è disposto persino a vederSi voltare le spalle come nel caso di quel giovane ricco che “udita questa parola, se ne andò rattristato, perché aveva molti beni” (Mt 19,36).
Santi peccatori
Invece Levi di Alfeo “si alzò e lo seguì”. Così, percorrendo le vie più strette del villaggio, Gesù, entra nella casa di un poco di buono. Inviso ai più e invidiato per la sua fortuna accumulata attraverso una infinità di espedienti illeciti. Cosa ci si può aspettare proprio da lui, avranno mormorato i benpensanti. Rincarando la dose al vedere che di gentaglia così ne accorre molta in quella casa: “anche molti pubblicani e peccatori erano a tavola con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che lo seguivano”. Ma è proprio a questa folla di persone amate da Gesù e con le quali pare Si trovi a Suo agio che dobbiamo cominciare a guardare. Posando su ciascuna di loro lo sguardo come ci insegna Gesù. Stando al Vangelo, il santo non è propriamente e anzitutto un campione di perfezione.
Neppure un modello da imitare di fronte a una vita dalla condotta immorale e sregolata. Santo, stando al vangelo di Gesù, è colui che, dopo che lo sguardo di Gesù lo ha raggiunto, accetta di lasciarsi cambiare da Lui. Gesù non rifiuta certe domande degli scribi e dei farisei che “vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: ‘Perché mangia e beve insieme ai pubblicani e ai peccatori?’. Piuttosto risponde: “non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”. Santi secondo il Vangelo di Gesù sono anzitutto dei peccatori che hanno ancora il coraggio di sedersi alla Sua mensa, senza temere le proprie ferite, senza lasciarsi sopraffare dal senso del proprio peccato.
don Walter Magni