Rito Ambrosiano – Commento al Vangelo di domenica 20 Giugno 2021

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IV DOMENICA DOPO PENTECOSTE

Anno B – Rito Ambrosiano – 20 giugno 2021

Il Signore regna su tutte le nazioni

VANGELOMatteo 22,1-14 In quel tempo. Il Signore 1Gesù riprese a parlare loro con parabole e disse: 2«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. 3Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. 4Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: “Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. 5Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; 6altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. 7Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. 8Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; 9andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. 10Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. 11Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. 12Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. 13Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. 14Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».

Fratelli, sorelle

Il Vangelo di oggi comincia dicendo che “Gesù riprese a parlare loro con parabole” (IV domenica dopo Pentecoste, 20 giugno 2021). Gesù, che sa come parlare al cuore della gente, muovendola dentro e facendola sussultare, si mette a raccontare ponendo all’inizio di ogni parabola come un ritornello che ne segnali il verso, l’orizzonte di una interpretazione: “il Regno dei cieli simile a…”.

“Venite alle nozze”

Gesù ha da poco terminato di raccontare due parabole. Quella dei due figli invitati dal padre a lavorare nella vigna, concludendo che le prostitute e i pubblicani ci passeranno avanti nel Regno di Dio (Mt 21,31), e quella dei vignaioli che non consegnano il dovuto al padrone e gli uccidono il figlio, pur di ereditare la vigna. E la conclusione è diretta: il padrone darà quella vigna ad altri vignaioli (Mt 21,41). Dopo la figura di padre e di un padrone, protagonista di un altro racconto è un re, tutto intento a organizzare al meglio la festa di nozze di suo figlio. Redige la lista degli invitati e manda a ciascuno un invito personalizzato. Gli invitati declinano l’invito. Allora il re decide di rivolgersi alla gente della strada: la sua soddisfazione sarà di riuscire a vedere piena la sala preparata per le nozze. Si tratta chiaramente di un re esigente, caparbio, uno di quelli che non si arrendono. Che non si stanca di allargare i suoi orizzonti per raggiungere lo scopo. Un’idea fissa, per la quale non bada a spese. E tutto per suo figlio, che neppure compare nel racconto. Ma per lui è disposto a tutto. Non va perso questo particolare. L’accento di tutto il racconto sta nel farci intendere che il Padre per Suo Figlio ha fatto tutto. Senza badare a spese. “Perché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna. Infatti Dio non ha mandato suo Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Gv 3,16-17).

“cattivi e buoni”

In questo susseguirsi di inviti a oltranza, ecco però una nota che ci confonde. I servi, infatti, usciti per le strade cominciano a radunare “tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni”. Ed è così che “la sala delle nozze si riempì di commensali”. Quel re condivide lo stile di vita di Suo Figlio, tanto che chiameranno il Figlio in modo poco edificante: mangione e beone, “amico dei pubblicani e delle prostitute” (Mt 11,19). Il punto, infatti, è avere a che fare con un Dio che non discrimina. Amante di tutti. Anche di coloro che noi volentieri giudicheremmo indegni. E sta scritto così: “cattivi e buoni”. Quasi i cattivi avessero il diritto di uno sguardo di predilezione da parte di Dio. Qui si fa fatica ad arrivare. L’invito che il celebrante fa prima di ricevere la Comunione non è scontato: “Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo. Beati gli invitati alla cena dell’Agnello”. Non ci convince che l’Eucaristia sia per tutti coloro che si riconoscono peccatori, bisognosi della Sua misericordia. Mi ha sempre colpito un’espressione di un santo monaco del V° secolo, Giovanni Cassiano: “Non dobbiamo rifiutare la Comunione col pretesto di ritenerci peccatori: ma anzi, accostiamoci ad essa con maggior frequenza, per la guarigione dell’anima”. Si è molto insistito sull’importanza di accostarsi all’eucaristia in modo degno come ci ha raccomandato Paolo (1 Cor 11,27-32). Poi, di fatto, molti hanno trovato il pretesto per continuare a ritenersi indegni, giungendo a saltare regolarmente la Messa, mentre tanti si accostano senza discernimento.

L’abito nuziale

Particolare non irrilevante nella strategia del racconto è, infine, la veste nuziale. Il re entra nella sala nuziale per incontrare tutti gli invitati, ma subito s’accorge che uno non indossa l’abito nuziale. Questo lo indigna e gli domanda: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Se grande è il sogno che Dio ha nei nostri confronti, immense le attese, un segno a Lui lo dobbiamo pur dare. Dio non ci ha mai considerati dei burattini inerti, un giocattolo inerte da manovrare a piacimento. Urge nei confronti del Suo banchetto una presa di posizione. Un sussulto di libertà. E l’abito nuziale, la nostra sincera predisposizione a convertirsi a Lui e al Suo Regno ne è il segno evidente. Per sé nessuno sta chiedendo chissà cosa, quali sforzi sovrumani.

Ci è chiesto un atto di sincerità con noi stessi e con Lui, dicendo la verità profonda della risposta del Centurione (Mt 8,8): “Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa: ma di’ soltanto una parola e io sarò salvato”. Paolo direbbe: “Rivestitevi del Signore nostro Gesù Cristo” (Rm13,14) e ancora: “Rivestitevi di sentimenti di misericordia” (Col 3,12). Penso anche a quando il celebrante riveste i battezzati della veste bianca dicendo: “vi siete rivestiti di Cristo.(…): questa veste bianca sia segno della vostra nuova dignità”. Che grazia grande questa investitura. Passare una vita intera a rivestirci di giorno in giorno di Lui. Essere cristiani comporta un rapporto vitale con la persona di Gesù come un vestito bello e prezioso indossato ogni giorno. Felici e gioiosi della Sua inestimabile presenza.

don Walter Magni