XI DOMENICA DOPO PENTECOSTE
Anno C – Rito Ambrosiano – 21 agosto 2022
Ascolta, Signore, il povero che t’invoca
Vangelo di Luca 16, 19-31 – In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”»
Fratelli, sorelle,
domenica scorsa Gesù constatava con amarezza “quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio” (Lc 18,24b). Non è la ricchezza in sé che ostacola la salvezza, ma l’uso sconsiderato ed egoistico che gli uomini ne fanno: questo chiude le porte del regno di Dio. E la parabola del ricco gaudente ce lo spiegano bene (XI Domenica dopo Pentecoste, 21 agosto 2022).
Il ricco e il povero Lazzaro
Un uomo ricco e un povero di nome Lazzaro si fronteggiano. Il ricco veste lussuosamente e dà banchetti, totalmente immerso nel suo sfrenato consumismo e in uno spreco che grida vendetta al cospetto di Dio. Il ricco non ha un nome: è semplicemente chiamato “ricco”. Accanto a lui c’è invece “un povero, di nome Lazzaro”, nome che in aramaico significa: “assistito”, “prediletto da Dio”. I poveri, infatti, anche se ignorati e allontanati dallo sguardo dai ricchi, Dio se li porta tutti nel cuore.
Diceva infatti Gesù: “Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio” (Lc 6,20). C’è effettivamente contrasto tra ricchezza e povertà, ma Gesù non intende difendere i poveri per partito preso per disprezzare ideologicamente i ricchi. Non è questo il Suo pensiero. Piuttosto ci sta dicendo che se la ricchezza può diventare una maschera che nasconde la nostra disumanità l’umanità, senza più neppure
poter pretendere il diritto di un nome che ti identifica, quanto la povertà, anche la estrema, agli occhi di Dio conserverà sempre il diritto di un nome che posso guardare e abbracciare. La ricchezza ti illude di appartenere ad un mondo dove vedi solo te stesso; la povertà conserva almeno il diritto e la dignità di potersi rivolgere all’altro stendendo la mano. C’è più umanità nella povertà che si relaziona che in una ricchezza che si raggomitola su sé stessa. Non saranno mai le cose che possediamo o che temporaneamente gestiamo che ci potranno identificare, ma il coraggio di implorare uno sguardo di pietà, la possibilità di una relazione. Per questo Gesù, “da ricco che era, si è fatto povero”(2Cor 8,9).
L’autosufficienza che non vede
Qual è il peccato del ricco? Non tanto il suo stato di ricchezza, ma il non volersi accorgere di Lazzaro. Come il sacerdote e il levita di un’altra parabola di Gesù. Questi, accorgendosi che sul loro cammino stava un uomo mezzo morto e sofferente passano dall’altra parte della strada (Lc 10,25-37). Non volerlo vedere nonostante il realismo insistente che lo caratterizza. Lazzaro infatti “stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe”. Una scena così o accetti di vederla fino infondo, oppure fai zapping col telecomando del televisore e passi ad un altro scenario, più sopportabile, sostenibile, o t’inventi una scusa davanti a un povero sconosciuto che ti si para davanti e brutalmente gli dici un bel “no”. Ci tocca dentro quando sentiamo papa Francesco dire che bisogna saper fare bene anche l’elemosina: «Quando dai l’elemosina al povero, tocchi la sua mano o fai cadere la moneta in modo da non avere un contatto? Lo guardi in faccia o mentre dai il soldo i tuoi occhi guardano già altrove”. E “un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo”, mentre il ricco “fu sepolto”. E la conseguenza per il ricco diventa terribile. Persino la sua implorazione sembra una sorta di pena del contrappasso. “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma” e la risposta di Abramo che si portava in seno Lazzaro sembra inesorabile, senza più alcuna speranza.
Accorgersi dei poveri
Distogliere lo sguardo dall’uomo è il peccato più grave davanti a Dio. Per questo Gesù puà affermare poco prima di morire: “i poveri li avete sempre con voi” (Mt 26,11). Importa continuare ad esercitarsi in uno sguardo misericordioso (Mc 6,34), capace sempre di «divina tenerezza» (M. Bellet). Anzi, il dono, la grazia propria dei discepoli del Signore, è di saper scorgere nei poveri, dentro le piaghe della loro stessa povertà, il volto incarnato di Dio: “Perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi” (Mt 25,35-36). Per questo, “abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, divenendo simile agli uomini” (Fil 2,5-7). San Filippo Neri diceva: “Miei cari, ho da dirvi una bella cosa: al mondo vi sono molti pazzi e molti furbi. I furbi sono quelli che ragionano come Gesù; i pazzi quelli che non vogliono ragionare come Gesù”. E anche madre Teresa di Calcutta ci ricorda che ”tutto quello che si può fare è solo come una goccia d’acqua in un oceano. Ma rifiutando di mettere la mia goccia, l’oceano avrà una goccia in meno. Lo stesso vale per te, basta cominciare. (…). Alla fine della vita non saremo giudicati per le grandi opere che saremo riusciti a realizzare, ma saremo giudicati sull’amore”.
don Walter Magni