II DOMENICA DOPO PENTECOSTE
22 Giugno 2025 Anno C – Rito Ambrosiano
Ti ho cercato, Signore, per contemplare la tua gloria
Matteo 6,25-33 – In quel tempo. Il Signore Gesù ammaestrava le folle dicendo: «Io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta».
Fratelli, sorelle,
la pagina del Siracide della liturgia odierna (II domenica dopo Pentecoste, 22 giugno 2025) pone domande alte, persino ardue: “Che cos’è l’uomo? A che cosa può servire? Qual è il suo bene e qual è il suo male? Quanto al numero dei giorni dell’uomo, cento anni sono già molti”. E si finisce per sentirsi poca cosa, come un frammento, persino parziale nei pensieri. Come avessi a che fare con un Dio tanto grande, creatore di un mondo che non si finisce mai di indagare, di ascoltare.
“Come una goccia d’acqua nel mare…”
Del resto è l’autore stesso, il Siracide, che afferma di sentirsi “come una goccia d’acqua nel mare e un granello di sabbia”, sottolineando che gli anni della sua esistenza altro non sono che “un giorno dell’eternità”. E senti che tutto questo è tanto vero anche per te, per ciascuno di noi. Per questo più consolante si fa la Parola quando, poco più avanti ci ricorda a nostro riguardo:
“Per questo il Signore è paziente verso di loro ed effonde su di loro la sua misericordia. Vede e sa che la loro sorte è penosa, perciò abbonda nel perdono. La misericordia dell’uomo riguarda il suo prossimo, la misericordia del Signore ogni essere vivente”.
A fronte dunque della piccolezza, della pochezza, non viene sbandierato lo scarto, ma la misericordia. Come fossimo anzitutto sfiorati dallo sguardo intenerito di Dio. E si noti la differenza: mentre noi abitualmente cerchiamo d’essere misericordiosi con chi ci sta accanto, Dio lo è sempre e comunque con ogni essere vivente. C’è, tuttavia, un passaggio in questa pagina della Scrittura che sembra nascondere un po’ di pessimismo, quando si legge che “non c’è nulla da togliere e nulla da aggiungere, non è possibile scoprire le meraviglie del Signore”. Come potesse capitare anche al Siracide che le parole gli sfuggano di mano. Come se proprio colui che rappresenta uno tra più affascinanti sapienti del suo tempo, potesse dire che “le meraviglie del Signore non si possono scoprire”. Mentre poco prima ci aveva ricordato che la meraviglia delle meraviglie è proprio la misericordia del Signore, “per ogni essere vivente”. Per la sua gioia, la sua edificazione.
“Guardate gli uccelli del cielo …”
E così siamo ad un altro frammento della Parola che ancora ci sorprende: la bellezza della creazione che Gesù stesso ci invita a guardare con attenzione. Certo, il contesto sembrerebbe imboccare un’altra direzione. Gesù sta parlando infatti di cose essenziali, delle quali occuparci e per le quali spesso ci prende persino l’ansia, come il pane, l’acqua e i vestiti. Cose di cui sentiamo il bisogno per noi e per gli altri. E questo è semplicemente umano e a volte drammaticamente umano. E Gesù certo non disconosce queste nostre necessità, tanto che è proprio Lui che afferma che “il Padre sa che ne avete bisogno”. Poi però la proposta di Gesù subisce un passaggio, un’impennata incredibile.
A fronte della minaccia a riguardo dei beni essenziali per la vita, persino della fatica a reperirli per tutti, Lui ci invita ad alzare lo sguardo. A guardare gli uccelli dell’aria, a osservare i gigli del campo e le erbe verdi dei prati. E non sarà proprio questa una ingenua evasione, una sorta di ingannevole disincanto? No, sembra volerci dire Gesù:
se cogli il canto segreto delle cose, allora sei a un passo per riconoscere la presenza di un Dio non estraneo, che di te si preoccupa, che ti porta nel cuore. E se lasci che questo sguardo, questa luce in te si espanda, allora non sarai invelenito da rimpianti o lamenti fuggendo chissà dove. Starai nella vita quotidiana: schiena dritta, occhi alzati, mani aperte e non arrese.
Come ci stesse suggerendo il rimedio per non camminare nella vita ad occhi bassi, a pensieri bassi. Come invece avviene quando siamo occupati dentro e il cuore è a terra, senza speranza.
“Osservate come crescono i gigli del campo…”
E piace l’uso che Gesù fa di alcuni verbi all’imperativo guardate, osservate! Quanto è prezioso l’invito sul quale ancora le nostre chiese ritornano, ad onorare la domenica. L’eucarestia delle chiese cattoliche, la divina liturgia delle chiese ortodosse e il culto nelle chiese riformate. Ma quanto abbiamo rispettato l’invito proprio di Gesù a celebrare il Suo giorno, la domenica, immergendoci nel creato? Ricorderete che ci veniva anche detto che, mentre le cose del mondo ci sviliscono e ci svuotano, è andando a pregare che ti ritempri davvero. E se ti senti vuoto e abbattuto corri a pregare: ti ritroverai subito ritemprato e carico per averLo incontrato! Ma in radice stanno proprio così le cose?
E perché non fare si che le cose non ti svuotino affatto, ma ti ricolmino, guardandole e osservandole, di senso e di soddisfazione? Perché proprio questo Gesù ci sta proponendo. E le cose non Lo espropriavano affatto, ma Gli colmavano gli occhi di commozione e di bellezza. Come ci dicesse: guardate senza stancarvi, osservate con attenzione ogni creatura! Lasciatevi sorprendere, guardandole, senza fiatare. Ripeti come già ti ho detto di fare il racconto dell’Eucaristia, ma non disattendere il racconto delle mie creature. Tutte da custodire, da riscoprire giorno dopo giorno, riconoscendo anche in esse il trapelare della Sua presenza. “È la memoria una distesa / di campi assopiti / e i ricordi in essa / chiomati di nebbia e di sole. / Respira / una pianura / rotta solo / dagli eguali ciuffi di sterpi: / in essa / unico albero verde / la mia serenità” (Turoldo, La memoria).
don Walter Magni