Rito Ambrosiano – Commento al Vangelo di domenica 22 Maggio 2022 – don Walter Magni

R

VI DOMENICA DI PASQUA

Anno C – Rito Ambrosiano – 22 maggio 2022

Popoli tutti, lodate il Signore, alleluia!

Giovanni 16,12-22: In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai discepoli: 12«Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. 14Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. 15Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. 16Un poco e non mi vedrete più; un poco ancora e mi vedrete». 17Allora alcuni dei suoi discepoli dissero tra loro: «Che cos’è questo che ci dice: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”, e: “Io me ne vado al Padre”?». 18Dicevano perciò: «Che cos’è questo “un poco”, di cui parla? Non comprendiamo quello che vuol dire». 19Gesù capì che volevano interrogarlo e disse loro: «State indagando tra voi perché ho detto: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”? 20In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia. 21La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. 22Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia».

Fratelli, sorelle,

Dio è amore e proprio perché è attraversato da un amore grande che Gesù risorge e Si fa presente ai Suoi, stando ai vangeli delle ultime domeniche. E in questa prospettiva Gesù ci ha pure invitati ad amarci come Lui. E l’orizzonte d’amore che aspetta da sempre i Suoi discepoli diventa vastissimo, infinto, senza misura (VI domenica di Pasqua, 22 maggio 2022).

“Molte cose ho ancora da dirvi…”

Il contesto è quello dei discorsi della fine, quelli fatti durante l’Ultima Cena. Fatti in poche ore sempre più cariche di confidenze, di sentimenti e di emozione forti, di gesti che da subito assumeranno il tono di un grande e solenne testamento. Come un fiume in piena, stando al Vangelo di Giovanni, Gesù esprime parole che intendono raccogliere il senso ultimo della Sua esistenza. Come se Gesù volesse regalare ai Suoi la sintesi del Suo insegnamento e dei Suoi miracoli. Ma ecco che a un certo punto proprio quell’ora, alla quale tanto Si è preparato, sta per scoccare è così, come volesse finire, afferma: “molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso”.

Come fosse giunto alle soglie della definizione del Suo essere Figlio di Dio che è amore. Come se solo il gesto consapevole del dono di Sé supplisse al limite proprio delle parole. Perché è ormai l’ora dei fatti. Il momento di una testimonianza che solo dall’alto della croce può essere compiuta. Del resto, già alcuni Suoi silenzi cominceranno a trapelare e ad essere così eloquenti: porgendo un boccone a Giuda, che se ne va in fretta da quell’ultima cena o guardando Pietro che Lo sta rinnegando ancora, al sopraggiungere del terzo canto del gallo. Ma anche davanti a Pilato che si stupisce del Suo silenzio. Come disse Isaia: “era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca” (53,7). Non è certo la fine della parola e del senso. Solo il rimando allo Spirito santo, Dio della completezza e della nostra consolazione.

“Tutta la verità”

E questo proprio perché Gesù vuole condurre anche i Suoi al compimento dell’amore. Infatti: “quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità”. Questa pienezza dell’amore, svelata anche al nostro cuore e capace di entrare in consonanza con la nostra intelligenza e le sue domande, è anzitutto un dono. Nessuno ragionamento lo potrebbe intuire o pretendere di poterlo plasmare. Piuttosto, diventa rivelazione piena e solida solo se ci si immette nel flusso della confidenza che Lui ci ha insegnato. Senza opporre resistenze o riserve. Infatti. “Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite” (Gv 8,29).

Davanti all’incedere inesorabile nel limite estremo della morte; dentro un orizzonte dove l’intelligenza e le parole umane restano mute e silenti, la verità piena dell’amore si fa strada se ci fidiamo, se ci affidiamo, come Gesù in croce. Quando altro non poteva che gridare: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc. 23, 46). Anche padre Charles de Foucauld, amava ripetere: “Padre mio, io mi abbandono a Te, fa’ di me ciò che ti piace. Qualunque cosa tu faccia di me, ti ringrazio. Sono pronto a tutto, accetto tutto, purché la tua volontà si compia in me e in tutte le tue creature. Non desidero niente altro, Dio mio; rimetto l’anima mia nelle tue mani te la dono, Dio mio, con tutto l’amore del mio cuore, perché ti amo. Ed è per me un’esigenza d’amore il darmi, il rimettermi nelle tue mani, senza misura, con una confidenza infinita, poiché Tu sei il Padre mio”.

“Non comprendiamo quello che vuol dire”

Resta, tuttavia, la fatica di capire. E mentre Lui parla di una verità che ci supera e allude ad altro e ad un altrove che non sappiamo definire, anche i Suoi discepoli in quell’ultima cena dicono: “non comprendiamo quello che vuol dire”, come in altre occasione era capitato. Una volta, ad esempio, avendo dimenticato di prendere il pane, si domandavano dove l’avrebbero potuto trovare. E Lui a riportarli al miracolo del pane moltiplicato al quale da poco avevano assistito: “ma come, non riuscite a capire, non capite ancora? (Mc 8,14-21). O in quell’altro caso nel quale s’erano accalorati nel discutere su chi tra loro poteva essere il più grande. Allora Gesù che fa? Prende un bambino e lo mette in mezzo dicendo: “chiunque riceve uno di questi bambini nel nome mio, riceve me; e (…) colui che mi ha mandato” (Mc 9,37).

Ci è chiesto, dunque, di cambiare rotta, arrendendoci all’evidenza del Suo amore, oltre le nostre complicazioni. Madre Teresa, in molte lettere al suo direttore spirituale parla di un’aridità indicibile, della notte oscura della fede. Ma pur attraversata dalla netta impressione dell’assenza di Dio, giungeva ancora a scrivere: “se la pena e la sofferenza, la mia oscurità e separazione da te, ti danno una goccia di consolazione, mio Gesù, fa’ di me ciò che vuoi”. Quanto ancora attende d’essere accolto l’amore di Dio? Quanto ancora Gesù aspetta d’essere amato per quello che è? Regalando a Lui ancora anche solo “una goccia di consolazione”. Lui non teme, infatti, i nostri silenzi, le nostre incomprensioni. Attende solo che a Lui ci affidiamo.

don Walter Magni

 

Top