I DOMENICA DOPO LA DEDICAZIONE
Anno B – Rito Ambrosiano – Domenica 24 Ottobre 2021
Il mandato missionario
VANGELO: Marco 16,14b-20. Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo – In quel tempo. 14Il Signore Gesù apparve agli Undici, mentre erano a tavola, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto. 15E disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. 16Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. 17Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, 18prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno». 19Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. 20Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.
Fratelli, sorelle
in questa prima domenica dopo la Dedicazione celebriamo la Giornata Missionaria (del Mandato missionario, 24 ottobre 2021). Siamo a un punto cruciale: o le nostre chiese ritrovano un preciso slancio missionario oppure ci aspetta la decadenza e la fine. In questo senso anche Papa Francesco, parlando dell’urgenza della missione, coniando un’espressione forte e provocatoria, parla continuamente di una chiesa “in uscita”, capace di darsi una mossa in nome dell’evangelo.
Chiesa in uscita
Quand’ero ragazzo la missionarietà della chiesa coincideva con l’entusiasmo di tanti giovani e ragazze che si lasciavano attrarre dal desiderio di andare in terre lontane per annunciare il Vangelo. Mossi da un profondo senso di solidarietà nei confronti di tante popolazioni del terzo mondo, come si diceva allora, attraversate spesso da tante povertà e precarietà. Non ultima la fame e la guerra. Uscivano dunque dalle nostre comunità e là dov’erano inviati, trascorrevano talvolta tutta la loro esistenza. Edificando scuole, ospedali; scavando pozzi e costruendo chiese. E quando, anziani, tornavano poi nelle loro terre di origine, raccontavano le loro avventure.
Talvolta erano provati nella salute, ma sul volto e dalle loro parole s’intuiva una profonda pace e una grande saggezza. Così nascevano tante vocazioni per la missione. Ascoltando quei testimoni ti prendeva un profondo desiderio di imitazione: se è riuscito a fare cose così belle e grandiose per amore di Dio, perché non lo posso fare anch’io? E la visione di chiesa che andava per la maggiore era come spiegata da un duplice orizzonte: la chiesa dell’Occidente cristiano, custode della tradizione e di una dottrina solida, e l’insieme delle chiese del Sud del mondo, giovani e soprattutto più fragili.
Proprio questa visione con il Concilio Vaticano II era destinata a crollare. Così che dalla Missio ad gentes si è passati a una più intensa cooperazione tra le chiese. Così che sta diventando sempre più normale che nelle nostre comunità siano presenti sacerdoti e religiose provenienti dal sud del mondo.
“Il Signore Gesù li rimproverò”
Anzi, il Vangelo odierno annota che “il Signore Gesù apparve agli Undici, mentre erano a tavola, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto”. E forse anche oggi il Signore Gesù, proprio mentre stiamo celebrando le nostre eucaristie, ci rimprovererebbe. Va, infatti, annotato che il Vangelo precisa che i discepoli in quel momento di rimprovero erano a tavola, stavano come celebrando.
Allora Gesù aveva rimproverato i Suoi perché faticavano a credere nella Sua resurrezione. Come del resto avevano faticato a crederLo risorto anche i discepoli di Emmaus e un apostolo come Tommaso. E che dire poi di quella sfiducia un po’ ironica e supponente che altri discepoli avevano manifestato nei confronti di quanto alcune donne avevano raccontato loro dicendo di avere incontrato il Risorto? C’è un continuo dubitare dell’essenziale della fede da parte dei discepoli di allora che si ritrova anche nei dubbi e nelle incertezze che anche noi oggi percepiamo.
Serpeggia talvolta anche nelle nostre comunità una sorta di diffusa stanchezza, quando addirittura non è indifferenza nei confronti delle azioni cristiane più importanti. Come se l’essere un po’ dubbiosi, magari anche un po’ critici nei confronti dei nostri principi e comportamenti derivati dalla fede che professiamo, fosse il segno che ci contraddistingue in modo costante. Come fossimo un po’ sempre indecisi e incerti. Incapaci di lasciarci investire appieno e con entusiasmo dallo Spirito di Gesù morto e risorto.
“Allora essi partirono…”
Accettiamo dunque anche questo amabile rimprovero di Gesù. Lasciandoci ripetere l’indicazione a svegliarci dal torpore. A darci una mossa, una scossa. Come i discepoli di Emmaus che subito si erano alzati per ritornare a rincuorare i loro fratelli asserragliati nel Cenacolo. O come i discepoli descritti dal Vangelo odierno dei quali si dice che, dopo ch’erano stati rimproverati, “partirono e predicarono dappertutto”.
Cosa potrebbe significare anche per noi partire? Senza dimenticare la missionarietà di chi ancora oggi si reca in terre lontane per annunciare il Vangelo, stiamo imparando che c’è un primo annuncio che chiede con urgenza di volgersi proprio a chi ci sta accanto, proprio dentro le nostre case. Esercitandoci in un annuncio evangelico che comporta talvolta una testimonianza silenziosa e discreta più che rumorosa e altisonante. Gli antesignani di questa nuova evangelizzazione hanno percorso tutto il secolo scorso e anche l’inizio del nostro.
Penso a Charles De Foucauld, che ha vissuto la spiritualità della vita nascosta di Nazareth tra i nomadi del Sahara; il monaco Christian De Chergé, in Algeria, trucidato con altri sei confratelli nel 1996; Annalena Tonelli, uccisa in Etiopia nel 2002; e Shahbaz Bhatti, ministro pakistano cristiano ucciso nel 2011. È curioso accorgersi come anche da paesi che hanno sperimentato la loro testimonianza evangelica stiano giungendo nelle nostre terre tanti rifugiati e richiedenti asilo, che ci inducono a un confronto serio, serrato, a una rinnovata generosità capace di accoglienza vera.
don Walter Magni